Di un bevitore tardi ravveduto
Au dernier rendez-vous
Nel ricordo di Edward Hopper
Queste parole costituiscono il titolo con l’esplicitazione dell’argomento (il bevitore tardi ravveduto all’ultimo appuntamento con la vita) e la dedica alla memoria di Edward Hopper il pittore americano della notte, dei bar illuminati dalla forte luce artificiale, ma, soprattutto, delle grandi e incolmabili solitudini dell’uomo.
1
Nella prima delle due strofe l’autore ci parla di una serata al bar di Teddy: in un’atmosfera cupa e malinconica viene efficacemente espresso un profondo disagio attraverso la figura del bevitore.
Inizialmente si ha quasi l’impressione di assistere alla scena, che sembra svolgersi davanti a noi, grazie anche all’uso, insolito in poesia, del discorso diretto. Il protagonista appare da subito turbato, forse dal solito ambiente (bar di Teddy: lo chiama così perché è un cliente abituale del locale) ma sicuramente anche dal mondo che lo circonda e dalla sua vita in generale. È quasi tramortito e avanza a stento nel locale vuoto. Proprio nel momento della richiesta del cameriere si intravede un lume di speranza, una sorta di riscatto del poeta nei confronti di un mondo così opprimente da poterlo annientare: viene infatti chiesta dell’acqua, simbolo della vita, e qui mezzo di redenzione. Essa genererà uno sconquasso nella vita del protagonista, così come avviene ora nella reazione del cameriere, personaggio ancora legato a quel passato desolante che il protagonista fugge. Questi è colpito dallo strano atteggiamento del poeta tanto da essere “tramortito dal dileggio inatteso”.
Non c’è uno schema fisso di rime, i versi sono sciolti e liberi. Nonostante questo le parole, e dunque le immagini, sono legate tra loro attraverso l’uso di allitterazioni, come ad esempio cliente-inclemente, e con rime interne. Sono molto frequenti soprattutto queste ultime (banco-zinco, incerto-deserto, ganga-infanga) e la loro musicalità conferisce alla strofa compattezza e unità.
Particolarmente ripetuto è anche l’enjambement (banco/ di zinco, ganga/ degli avventori, tramortito/ dal dileggio). Questa spezzatura del periodo rafforza l’idea di confusione e frammentazione della volontà e dei sentimenti dell’alcolizzato.
Drammaticità è inoltre espressa attraverso l’uso di particolari verbi e aggettivi: infatti l’autore si trascina verso il banco, al quale approda remigando; il suo passo è incerto e il suo occhio tramortito dallo scherno inatteso.
La seconda strofa è molto simile alla precedente per la presenza di enjambement, metafore, rime interne e allitterazioni ma presenta una particolarità nell’essere scritta in corsivo e tra parentesi: questo è l’espediente utilizzato da Mascioni per attrarre maggiormente l’attenzione del lettore sulle parole, che acquistano valore di avvertimento. Come un passero impigliato in una rete, l’autore si sente in balia del caso; il tempo rivelatore passa e porta con sé ognuno di noi. Esso, come un ragno, cattura tramite la ragnatela il poeta sofferente incapace di muoversi (di rimediare al suo passato).
Ricompare l’idea dell’acqua come mezzo di purificazione: attraverso i raggi riflessi dalle “gocce imperlate” il poeta intravede un barlume di salvezza (forse nella vita ultraterrena).
Ora nel bar di Teddy è quasi sera
- Hi! - mi fa rauco al pulpito del banco
di zinco nello scroscio delle luci
cui remigando approdo e mi trascino,
il passo incerto
spinto nel deserto
di seggiole tradite dalla ganga
degli avventori in corsa sulle strade
del mondo che si infanga. - Che ti servo? -
- Acqua - rispondo - acqua minerale -.
E lui rigira l’occhio blu nel vuoto
del suo regno spettrale, tramortito
dal dileggio inatteso, con le dita
artigliate allo scotch che già proteso
offriva il sorso di consolazione
all’usata tristizia del cliente
esperto del trascorrere inclemente
dei giorni sino all’ora del ristoro
cui provvede la fiamma inviperita
di un madido bicchiere.
(Ma pare fosse il divagante gioco
di ore consunte a un frullo
di paura, da passero impigliato
nella rete del tempo
scorciato.
Avviluppato nella ragnatela
che pigra oscilla
al barbaglio di gocciole imperlate
da un falso sole, da un brillare inerte
fra la ramaglia sotto cui s’oscura
la chiazza verde e in fiore
di una chiara radura).
NOTE:
titolo. Au dernier rendez-vous: All’ultimo appuntamento
v. 4 Remigando: Remando, battendo lentamente le ali nel volare (da collegarsi all’immagine del passero nella seconda strofa, nei versi n. 22, 23). Il verbo trascino indica che il protagonista è quasi obbligato a proseguire.
vv. 5-6 La rima baciata incerto-deserto sottolinea la solitudine del poeta; egli è solo ed incerto è l’avvenire. Vorrebbe condividere con qualcuno il suo stato d’animo ma il bar è vuoto.
v. 7 Ganga: Banda, combriccola.
v. 8 Avventori: Clienti di un locale pubblico.
v. 11 Vuoto regno spettrale: Teddy sembra essere il proprietario di un luogo privo di concretezza. è qui che si affollano tutte le paure ed i timori del protagonista, ma è pure l’unico luogo dove potersene liberare, anche solo per un istante, grazie ad un bicchiere di scotch.
v. 12 Tramortito: L’atteggiamento del protagonista risulta anomalo e quasi incomprensibile (v. 13: inatteso).
v. 13 Dileggio: Derisione. Il ristoratore si sente quasi schernito dalle parole del poeta.
v. 15 Sorso di consolazione: Il bicchiere di scotch è un mezzo per dimenticare gli avvenimenti spiacevoli ma questa azione benefica è temporanea.
vv. 17-18 La rima baciata cliente-inclemente mette in relazione l’uomo e il tempo. Quest’ultimo è perfido e tiranno e l’uomo non può fare altro che sottostare ad esso e cercare di farlo passare nel migliore dei modi possibili.
v. 19 Fiamma inviperita: Fiamma animata da una rabbia astiosa. Il bicchiere sembra riempire di colpo l’animo di colui che lo assapora ed invece non sta facendo altro che avvelenarlo e proporgli un mondo fittizio e ricco d’illusioni dal quale risulta molto complicato uscire.
v. 20 Madido: Bagnato sulla superficie.
v. 22 Consunte: Consumate.
vv. 22-23 Frullo di paura: Frullo si riferisce al rumore degli uccelli quando si levano in volo: perciò l’espressione esprime il frullo di un passero impaurito.
vv. 24-25 Tempo scorciato: Il tempo che è sempre di meno.
v. 26 Avviluppato: Ingarbugliato.
v. 28 Barbaglio: Bagliore intenso.
v. 29 Inerte: Che non agisce, immobile.
v. 30 Ramaglia: Insieme di rami e di frasche tagliati da un albero per la ripulitura.
Significativo nel rendere la drammaticità dell’atmosfera cupa e malinconica è la pressante ripetizione di consonanti dure, come ad esempio della T (nei versi n. 5, 6, 7 e 11, 12, 13, 14 e 16, 17) e della R (nei versi 3, 4 ,5 ,6 ,7, 8 e 12 , 14, 15, 16, 17, 18). Molto frequente è anche l’uso della S (nei versi 5, 6, 7, 8 e 15, 16, 17, 18).
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3
Il protagonista della poesia viene inizialmente paragonato, attraverso una metafora, ad un angelo che ripiega le ali dopo aver tentato vanamente di aprirle. Forse Mascioni vuole riferirsi a se stesso, costretto a disilludersi nel momento in cui scopre di essere malato, oppure alla fase di chiusura interiore e di vergogna in cui aspetta la risposta del barista dopo avergli comunicato che non potrà più bere. Qui, infatti, si inserisce il discorso diretto di un barista che, con tono scherzoso (ma non privo di una punta di sadismo) gli fa notare il suo stato: nella conversazione si può percepire l’imbarazzo reciproco sottolineato dai versi seguenti (“indaga tetro il barman soccorrevole, incapace d’altro conforto eccetto la parola”), che indica come il barman non trovi modo per consolare il protagonista o per distrarlo; sono versi aspri, resi efficacemente dall’allitterazione della “t” e della “r”. Si può notare come, tramite il discorso diretto, il lettore venga immediatamente proiettato all’interno della scena e, dentro di essa, nell’animo del bevitore, espediente che accentua in tal modo il realismo caratteristico del componimento. Un “ma” posto ad inizio frase, a sottolinearne la funzione avversativa, introduce un nuovo momento: il senso di sconvolgimento dei primi versi è percepito dall’“anima astemia” che sembra invocare e implorare (il climax ascendente evidenzia l’insistenza) un attimo di tranquillità per l’amico stremato che si deve togliere il vizio (“che si svezza”) del bere.
“…che veleggia senza approdo nel vento, sbrindellato veliero…”: l’autore si paragona ad un veliero che veleggia senza meta, senza attrezzature, su di un mare sconosciuto (quello della malattia).
“al vorticare di una gelida bora”: questi versi, di lettura difficoltosa per i suoni, riportano alla fatica e al dolore del “veliero in lotta” contro qualcosa di sconosciuto, contro il gelido vento che lo conduce sempre più lontano, in un luogo senza approdo.
Angelo affranto, ripiegate l’ali
vanamente rialzate-Eccoti infine
malmesso al punto giusto!-indaga tetro
il barman soccorrevole, incapace
d’altro conforto eccetto la parola
talmente poco avvezza
privata del suo oggetto familiare
al mite colloquiare. Ma un alito di pace
l’anima astemia pare invochi e implori
dell’amico stremato che si svezza:
che veleggia
senza approdo nel vento, sbrindellato
veliero in lotta da beccheggio sghembo
sopra ignoti marosi. Al vorticare
di una gelida bora.
NOTE:
vv. 1-2 Con una metafora Mascioni paragona l’ignoto protagonista della poesia ad un angelo che, dopo aver ripiegato le ali vanamente alzate, si ferma affranto. Si noti inoltre come l’allitterazione della lettera “a” dia un efficace senso di ampiezza.
vv. 5-8 In questo tratto l’autore aumenta la velocità e la scorrevolezza del discorso attraverso rapidi enjambement e la mancanza di segni di punteggiatura.
vv. 7-8 Si noti la rima interna “familiare/ …colloquiare”.
v. 10 I due punti a fine verso perdono il loro usuale valore esplicativo, fungendo da semplice congiunzione coordinante asindetica.
vv. 12-15 La poesia si chiude con una larga e pungente metafora attraverso la quale l’autore confronta l’ignoto protagonista, ubriaco, ad un veliero con le vele a brindelli, che tenta con tutte le sue forze di resistere alla vorticosa irruenza della tempesta.
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5
La poesia presenta uno schema irregolare di strofe, i versi sono liberi e sciolti. Per dividere ogni strofa l'autore crea degli spazi che isolano alcune parole e ricordano un poco i modi della poesia visiva.
Le rime sono irregolari, sono rare e spesso interne.
Le parole sono cupe, con la presenza delle lettere “s” o “r” che hanno suoni duri, forti, atti a esprimere il turbamento.
Tutta la poesia è una metafora che sta a significare una lotta del protagonista con se stesso, contro la sua malattia.
Nei primi versi il protagonista mette in luce il putridume che ha attorno; la dissonanza dell'orchestra può essere intesa come un contrasto che inquieta l'animo umano e fa sorgere le paure che per uno strano contrasto si armonizzano tra loro. Le maschere rappresentano l'uomo che, tenendo atteggiamenti stupidi, “truccandosi”, nasconde le paure generate dall'animo; il teschio roso sta a indicare la morte, truccata.
Poi l'autore paragona a un pugile l'uomo impossibilitato a ribellarsi ad una vita che mette tutti costantemente alla prova, non lascia tregua e non consente altro che il subire, e perdere, perché non ci si può sottrarre alla morte, in nessun modo. Bisogna quindi “apprestarsi docilmente” “al finale di carriera”, alla lotta (questa metafora fa pensare alla malattia che perseguita Mascioni) e alla morte che egli non può sconfiggere.
Nell'ultima strofa si dice che la ridda è altrove e chi si crede vivo festeggia invece un afflitto carnevale, nell'illusione di vincere (il carnevale è simbolo di maschere, di finzione).
Le pungenti ammaccature fanno pensare alla malattia che ormai ha debilitato il poeta fino ad arrivare al pietoso knock-out, ovvero alle morte, che porta alla fine di tutte le sofferenze.
Egli conclude ammettendo la sconfitta di fronte alle malattia, che ha lacerato molto di più il suo “io” interiore che il suo “io” fisico e afferma che ognuno deve pagare le conseguenze della presunzione...
Il riferimento ad un testo del filosofo greco Anassimandro e la citazione del termine greco “hybris” testimoniano la formazione classica del poeta e la sua profonda conoscenza della filosofia greca.
Pareva la città cimiteriale
la sentina che accoglie il putridume,
il ristagno rimosso dalla luce
che spande artificiale
il fragile patema
che conduce
la dissonanza dell'orchestra
umana
a un sin-fonico coro
do paure. Al virtuale
esistere di maschere addestrate
a bischere movenze, al minuetto,
al viso infarinato,
al belletto che cela il teschio roso
spolverato dal velo verdeazzurro
di ogni bieca cantaride up to date.
La recita mi scaccia,
boxeur che a una gragnuola
di colpi di rimessa va alle corde,
la faccia enfiata,il fegato avvilito
dal pugno che lo sballa che lo morde.
Sfuggito al clinch letale, graziato per un pelo
dalla conta che frena la buriana
il ring già si allontana e approdo pesto
all'urgente compieta
che al pugile sconfitto agra si impone
la sera del finale di carriera
cui docile mi appresto.
La ridda è altrove e chi si crede vivo
festeggia il proprio afflitto carnevale:
io mi tergo il sudore e a poco vale
fasciare le pungenti ammaccature:
il pietoso knock-out verrà da dentro,
mi affloscerà ferendo il centro stesso, il baricentro,
del reo confesso che all'ordine del Tempo
- insegna Anassimandro -
sa di pagare il fio
dell'hybris che presume
dirsi Io.
NOTE:
v. 1 Sentina: Cantina.
v. 5 Patema: Affanno dell'animo, passione interna, ansia.
v. 7 Dissonanza: Contrasto di suoni.
v. 12 Bischere: Stupide.
v. 14 Belletto: Nome generico per indicare ogni cosmetico usato per curare e abbellire il viso.
v. 16 Bieca: Malvagia.
Up to date: Aggiornato.
v. 17 Boxeur: Pugile.
v. 17 Gragnuola: Serie.
v. 19 Enfiata: Gonfia, riempita di lividi.
v. 21 Clinch: nel pugilato è il corpo a corpo serrato.
v. 22 Buriana: Grande movimento caotico.
v. 23 Pesto: Percosso.
v. 24 Compieta: Cortesia.
v. 25 Agra: Aspra.
v. 28 Ridda: Gran confusione di persone.
v. 30 Tergo: Pulito.
v. 37 Hybris: Presunzione, tracotanza, violazione del limite e del giusto mezzo. Fin dai tempi omerici era considerato l’errore umano più grave.
Per una lettura di Grytzko Mascioni
3 – SEGUE...
Cristina Pedrana e Gianluca Moiser (a cura di)
Tanto per dire non è stato invano
I ragazzi del Liceo Donegani di Sondrio leggono Grytzko Mascioni
Associazione “Grytzko Mascioni”, 2007, pagg. 188