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Gianfanco Cordì. La “pura x” di Massimo Cacciari come ousía del “Labirinto filosofico”
25 Ottobre 2015
 

All’inizio c’è una «pura X». C’è un incognita. C’è un incognita che però è come se fosse l’incognita di tutte le incognite. Una questione irrisolta che è, insieme, tutte le questioni filosofiche possibile. Un incognita assoluta. Questa «pura X» è oggetto di un «fare segno». Questa incognita cioè viene indicata da qualcos’altro. Esiste un altro qualcosa che ci guida, nel Labirinto filosofico (Adelphi, 2014) di Massimo Cacciari, verso, nei dintorni di, questa «pura X». Platone, nel Sofista, ci informa che l’unica domanda che muove il lógos è sempre la stessa: che cosa è l’ente? Che cosa è la ousía dell’ente? Naturalmente occorre fidarsi del «testo metafisico». Il libro di Massimo Cacciari si avvale di un metodo labirintico per esporre le proprie tesi. «Occorre, allora, immaginare a rovescio il disegno del labirinto». Inoltre: «il centro qui è soltanto la stazione di partenza e l’interesse consiste nello svolgersi del problema che ne costituisce il cuore lungo le diverse vie». E ancora: «queste vie si intersecano, si ritrovano e si dividono, a volte sembrano scomparire, procedere sotto traccia, a volte si fanno segno o indizio, per altri percorsi». A che scopo Cacciari porta sulla scena un labirinto? Per inseguire, ancora una volta, il risultato di determinare che cosa è quella «pura X». Il discorso, in questo caso, sembra iniziare proprio da quella «pura X». Seguiamolo.

Come definire la ousía? Quale è la causa della ousía? Quale è la scaturigine dalla quale le cose stesse (che abbiamo davanti) e i fenomeni (le cose per come ci appaiono) hanno origine? Intanto uno degli altri strani fili che compongono il tentativo di uscita da questo labirinto ci conduce all’Aghaton. Ovvero al Bene. Da esso, parrebbe, potrebbero dipanarsi fenomeni e noumeni. Ma questo Uno è diade: identità indisgiungibile di pensiero e pensato, identità e diversità, movimento e quiete. Ovvero, in qualche modo, reale relazione indissolubile tra lógos e Cosa in sé. Ma la «pura X» è l’indicibile, l’indecifrabile, il non risolvibile. È la perenne domanda – mentre la «traccia» che questa domanda deposita sull’interrogare e potenzialmente pure nell’interrogato è il filo d’Arianna che consentirebbe, forse, di uscire da questo labirinto – che percorre e determina tutta la filosofia dell’Occidente è: che cosa c’è al fondo delle cose? Quale è il collegamento fra il dire e la causa che fa dire il dire? Perché il dire non riesce a dirle completamente? Che cosa eccede sempre il senso della cosa e fa si che l’esprimerla non riesca a esprimerla completamente? L’ente, qualsiasi ente, è sempre almeno due cose: la sua presenza immediata e la causa (che lo ha reso quell’ente che è). Il lógos è sempre il dire qualcosa e la causa di questo dire. Insomma siamo sempre di fronte a una «puro X». C’è, nel «Labirinto filosofico» in quanto metodo, qualcosa che sfugge. Sembra quasi che nell’idea di finitezza (che caratterizza ogni ente) ci sia qualcosa che la trascenda. Qualcosa di infinito nel finito. Immanuel Kant ci ha insegnato che nel concetto di noumeno si definisce la stessa intuizione sensibile. Nelle parole di Massimo Cacciari: noumeno è «una cosa “astraendo dal nostro modo di intuirla”». Seguendo la traccia di quel segno, che appariva all’inizio, rispetto a cui la «pura X» era chiamata in causa, giungiamo dunque alla «lettera». Cioè che la cosa è in sé e per sé (senza ulteriori determinazioni). Senza ulteriori interpretazioni siamo di fronte a una lettura che ha carattere ri-velativo. Cioè, nel labirinto tutte le vie, che sono «rivolgentesi su se stesse» e che «spesso per avanzare ritornano sui propri passi» costituiscono adesso un luogo. Questo luogo è la lettera: cioè che la Cosa in sé è nel suo essere Cosa in sé. La sua lettura più immediata. La sua immediata presenza. Ma, in questo caso, rimane ancora da ricercare la causa. Ora, il «testo metafisico», soluzione di quella «pura X» di partenza, è costituito da un insieme di tracce (fili d’Arianna) e di segnali (che fanno segno a quella «pura X») che ne eccedono la «lettera». C’è qualcosa più della stessa Cosa in Sé: ovvero – detto così non avrebbe senso – nell’ente c’è qualcosa che sovrasta l’ente (la sua causa). Però, tutte queste tracce e tutte questi segnali si possono ri-velare solo nella lettera. Siamo così giunti ad un punto fermo: la cosa consiste nei diversi modi di dirla all’interno del «testo metafisico». Ma questi diversi modi di dirla sono già un labirinto. Ed ecco che in Massimo Cacciari il metodo stesso diventa la soluzione che si stava cercando. La «pura X» coincide con il «Labirinto filosofico». Passando attraverso il «testo metafisico» – ingarbugliato, complesso, intricato – si arriva alla eterna domanda del filosofare: che cosa è l’ente? Ma la risposta a questa domanda è già contenuta all’interno del «testo metafisico». La complessità non deve far dimenticare mai la «lettera». E la «lettera» deve lasciare sempre tracce, indici, rimandi, segni simboli.

 

Gianfranco Cordì


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