Morirei se alla voce del tuo dolore
dilatato il cuore mi perdessi
nel veder tremare la mia solitudine
sul fondo della tua anima
per sentire nelle mie lacrime
il tuo ascolto silente.
Vivrei di te lasciandomi svanire
baciando il vento scritto sull’onda
smossa dal turbamento del divenire.
Morirei se pensassi che alla fine
potendo respirare il tuo inizio
mi impedissi d’amarti nel vero
con la fragilità tremante della tua assenza.
Vivrei se capissi d’esser nata dal tuo amore
quando nessun amore vero nasce
se prima non si muore
Rosaria Chiariello
Nella sterminata galassia delle emozioni e dei sentimenti ama muoversi Rosaria Chiariello; i suoi stilemi ormai sono riconoscibili, forgiati con estrema cura e delicatezza, struggenti come in tale Morire.
Un lavorio inteso della parola rispecchia l’immenso tormento interiore nel rendere esplicito, in grafemi, tale suo sentire che, chiunque legga, sa che è autenticità. Il daimon platonico sembra la abbia pervasa (comunione che mette in contatto due anime, prese dal dio, en-thousiasmo); è una tensione continua, protratta sino allo spasmo: un abbandono in quanto ci si distacca da un bene o da una condizione inferiore o inautentica per salire -ascesi- verso una nuova dimensione, autenticità d'essere sé. Per questo si trema, il corpo stesso risente di questo sconvolgimento pervaso dall’alito vitale o pneuma. Bisogna, per innalzarci - e empaticamente congiungersi all’altro come possibilità di realizzarsi come un sé compiuto (dalla dualità all’uno) -, essere amore. Da qui il morire, il seppellire le vecchie abitudini, la vita trascorsa per viversi in modo completamente diverso, vero. È un incipit -vita nova- che ricorre nell’autentica poesia d’amore, di emozioni che alitano, che permeano chi vive tale sentimento, dilatando e aprendo nuovi orizzonti. Muore l’io per divenire sé. (Enrico Marco Cipollini)