Uno dei temi tradizionali della commedia, fin dalle sue antiche origini teatrali, è un amore ostacolato e alla fine trionfante. Ma se l’ostacolo era un tempo costituito dalle norme sociali o dall’intromissione di un illustre prepotente, oggi, in società meno repressive, esso è a volte “interiorizzato”, risiede cioè nella psiche dei due amanti.
Un esempio è la commedia che Maria Sole Tognazzi ha costruito intorno al legame amoroso tra due donne mature, nel film Io e lei.
La convivenza tra le due protagoniste è armoniosa. Eppure un ostacolo tra loro c’è, dapprima quasi impercettibile. Ma nello sviluppo del racconto si manifesta con sempre maggiore evidenza; si ingigantisce fino a compromettere quasi irreparabilmente quella relazione.
Il problema è che una delle due donne non è stata da sempre omosessuale, e tuttora non ama definirsi tale. È stata sposata con un uomo dal quale ha avuto un figlio; e soltanto da pochi anni ha abbandonato la sua famiglia per unirsi a una donna.
Si intuisce – il film, su questo punto, è reticente o, se preferite, pudico – che la loro unione è anche, e pienamente, carnale. Eppure ecco: quando il riflettore dell’opinione pubblica sembra posarsi sulla coppia (la convivente è un’ex-attrice di successo), la madre di famiglia si irrigidisce, cade in preda al malumore. E i gesti che scandiscono la convivenza sono improntati, da parte sua, a un certo riserbo, perfino a una vaga scontrosità.
L’altra, più a suo agio con se stessa, più sensuale, e dotata di buon senso popolare, la asseconda, non la costringe a una discussione che potrebbe guastare il loro accordo.
Ma quando quella resistenza sfocia in un tradimento con un uomo, quel nodo, tutto psicologico appunto, dovrà essere affrontato e sciolto.
I due personaggi, nei loro caratteri complementari, sono tratteggiati con sottigliezza (merito anche delle due attrici che li interpretano: Margherita Buy e Sabrina Ferilli).
Come avviene in certi classici della commedia americana, l’appartamento in cui le due donne convivono è ampio e confortevole; e lascia intuire di per sé che il quadro di vita che offre il film è almeno in parte idealizzato. (Non a caso la vicenda è coronata da uno smagliante lieto fine). E tuttavia l’ambientazione non obbedisce soltanto a una convenzione di genere cinematografico. Maria Sole Tognazzi riesce a rendere il calore “intimo” di quell’appartamento; un calore sprigionato da una convivenza davvero armoniosa e consolidata dal tempo. Così quando una delle due donne si trasferisce nel suo studio di architetto e poi in casa di un uomo, la si avverte istintivamente fuori posto.
La crisi di un amore è sempre dolorosa. Ma è forse nelle relazioni tra persone omosessuali – per le quali la possibilità di un rapporto stabile, di tipo coniugale, che possa manifestarsi pubblicamente, è una conquista in fondo recente – che quel dolore precipita più facilmente nella disperazione, come se ripiombassero in antichi sconforti. Di questo particolare disorientamento, Sabrina Ferilli, nella fase finale del racconto, riesce a essere un’interprete molto efficace.
Gianfranco Cercone
(da Notizie Radicali, 14 ottobre 2015)