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Bisogna che l'uso delle armi sia breve. E meglio se se ne può fare a meno 
Poi la storia dei carri armati confortanti e le uscite di Prodi
Abu Mazen
Abu Mazen 
14 Novembre 2006
 
Gli eventi arrivano ovattati nelle aule e tali restano. Peraltro l'informazione non aiuta a ristabilire le vere proporzioni delle cose, dato che lascia passare in due giorni le elezioni statunitensi e quasi non parla della Palestina. Mentre i cessi parlamentari occupano per giorni e giorni pagine di giornali e schermi Tv. La scorsa settimana tutto ciò ha avuto una dimostrazione molto brutta, sia per il silenzio sulle elezioni in USA che per le vicende di Gaza. Come gruppo avevamo chiesto che il governo venisse in aula per riferire: e così è stato. D'Alema era a Kabul per studiare i modi per uscire dalla trappola afgana ed è venuto in aula il viceministro Intini, che ha dato della terribile vicenda una relazione molto sobria precisa quasi fredda, ma sostenuta da una forte indignazione: insomma la migliore esposizione possibile dalla quale veniva fuori limpida la responsabilità incancellabile del governo israeliano e i ristretti margini di trattativa e di riequilibrio che restano e ai quali bisogna perciò attaccarsi. Si tratta infatti di ottenere una pronuncia alle N.U., fare pressione perché i palestinesi mettano da parte le loro legittime divisioni e costituiscano un governo di unità nazionale tra Abu Mazen, Fatah, Hamas e insomma tutti e che si cominci a trattare per il rientro delle truppe israeliane, la messa in sicurezza della popolazione palestinese. Era giovedì pomeriggio e in aula ci siamo ritrovati forse in 20, una vergogna! Gli interventi sono stati per lo più equilibrati e non senza passione anche da parte dell'opposizione, ma anche molto ripetitivi e sempre o quasi squilibrati verso Israele.
Sono convinta che chi ha lottato contro lo sterminio tentato degli Ebrei da parte di Hitler e di Mussolini oggi è in grado di criticare Israele senza reticenze né punte di antisemitismo, mentre chi ha la coda di paglia sbraca a favore di Israele oppure si lascia prendere da più o meno velate forme di pregiudizio e ostilità verso Ebrei e Arabi. (Un ricordo della loro cultura razzista infine). Come sempre la dimostrazione che non si hanno pregiudizi verso qualcosa si vede dal fatto che la si può anche criticare senza problemi: chi non ha nessuna forma di antisemitismo può criticare un Ebreo, un governo fatto di Ebrei e uno stato che li rappresenta; chi non ha forme di antisemitismo può anche criticare i Palestinesi (gli Arabi sono il più grande gruppo umano semitico) senza problemi per qualcosa che hanno fatto o detto, non perché sono Ebrei o Arabi. 
In questo momento siamo in grado di dire che bisogna spingere i Palestinesi ad appoggiare il tentativo di Abu Mazen di costituire un governo di unità nazionale e che la richiesta da avanzare alle N.U è che Israele rispetti le deliberazioni, si attesti entro i suoi confini e non minacci la sopravvivenza del popolo palestinese, costretto a Gaza in condizioni non definibili: soprattutto smetta di chiamare "incidenti" delle "rappresaglie di stato" addirittura "preventive" una figura "giuridica" che non esiste non più di quanto esista la guerra preventiva o umanitaria.
Sembra insomma che il modello Libano debba essere seguito, adattandolo alle circostanze. La stessa pressione su Kabul perché accetti una conferenza internazionale con tutti i soggetti presenti va in questa direzione. Se riusciamo a tenere la trattativa, sia pure garantita militarmente, in primo piano e quindi le armi prendono un ruolo di sfondo e minore, riusciamo a cambiare musica per davvero. Non sarebbe nemmeno possibile cominciare a costruire i corpi civili di pace se non si vedesse un margine di trattativa possibile e accettata. Non avrei il coraggio di inviare lì dove le armi continuano a sparare delle persone inermi, non vedrei possibilità di usare i corpi civili di pace, se non dove già almeno le armi siano state "ridotte" a un puro ruolo di garanti della tregua. A me pare che la strada che avevo intravista per un progressivo degrado dell'uso delle armi da Iraq ad Afghanistan a Libano sia corretta e apra una prospettiva nella quale si può dispiegare l'iniziativa politica.
Per la quale bisogna che ogni soggetto presente sia accolto e messo in condizione di agire e di essere giudicato. La terribile selvaggia barbara scorciatoia delle armi non serve a nulla se non a imbarbarire tutto. E non scorcia nemmeno.
Anche il diritto delle popolazioni invase di difendersi -anche con le armi- deve essere messo sotto giudizio critico a partire dalle esperienze degli scorsi anni.
Chi ha resistito anche in armi ha sconfitto anche potenti eserciti, ma è rimasto spesso nella stessa deriva militarista e crudele. Si vedano la Corea, il Vietnam, l'Algeria, l'Afghanistan, e via via la Guerra del Golfo l'Iraq e la Palestina.
Resistere in armi specialmente se la vicenda dura a lungo, serve per vincere militarmente, ma non politicamente. È ormai di comune esperienza che nessun esercito regolare ha mai più vinto una guerra dopo la seconda mondiale: né gli Usa in Corea, né Francia e Usa in Vietnam, né la Francia in Algeria, né i Sovietici in Afghanistan, né il padre Bush nel Golfo, né il figlio in Iraq e Afghanistan e che l'esercito israeliano, uno dei più potenti e motivati del mondo non è riuscito a venire a capo di un popolo senza terra, come i Palestinesi. Ma i vincitori hanno poi perso politicamente, perché la violenza cui si sono assuefatti resta negli ordinamenti politici e ripete spesso le oppressioni degli invasori. Il fatto è che la stessa smisuratezza delle armi distruttive ne inibisce in certa misura l'uso dispiegato, e ciò consente a un tipo di lotta armata clandestina e coperta dalla solidarietà o dalla paura o dal senso di appartenenza popolare di trionfare a prezzo di inenarrabili sofferenze e atrocità che sconfinano spesso nella guerra civile, cioè nella più incivile delle guerre. Sicché bisogna che l'uso delle armi sia breve per non assuefarsi alle atrocità- e meglio se se ne può fare a meno, perché la violenza armata, come tentazione di scorciatoia "risolutiva" ti si attacca addosso e ci resta. Non per nulla le resistenze che ho citato non hanno prodotto rivoluzioni, ma alla fine involuzioni. Come dico sempre se militarmente ha vinto Hanoi, politicamente alla lunga ha vinto Saigon dato che il Vietnam è un alleato sicuro degli Usa nell'area e che l'Algeria è ricaduta sotto gli Islamisti e che in Afghanistan ricicciano i Talebani.
L'esempio in contrario è infatti il Sudafrica che ha saputo cacciare un tremendo dominio attraverso lotte nonviolente e alla fine ha trovato una soluzione civile per davvero: ma non se ne parla mai. Infatti le armi fruiscono ancora di una specie di aura del tutto immeritata. A me disturba anche il rito postumo su Nassirija gabellata per martirio eroismo amor di patria, quando fu una sciagurata vicenda di gestione non attenta di una spedizione che non si voleva mostrare come militare e di guerra: fatto sta che i militari non ebbero sufficiente protezione.
* * *
Adesso racconto un'altra cosa non senza rammentare che anche la resistenza può e deve portare altri valori oltre quello del diritto di opporsi e se non lo fa, alla fine produce un arretramento culturale e civile.
L'altra vicenda che voglio raccontare è della Commissione Difesa. Ci viene proposto di acquistare o per meglio dire, di dare parere favorevole a un acquisto già avvenuto, di carri armati di ultima generazione con torrette più alte per maggiore confort di chi guida, con cannoni più potenti per peggiore confort di chi viene colpito e con una blindatura sotto più forte di quella che già saltò in Iraq provocando un paio di morti mentre scortavano un carro inglese nella provincia in cui dovevamo garantire la sicurezza delle truppe altrui. Il ricatto è: volete che i nostri militari non siano adeguatamente protetti? proprio no, non voglio affatto che non siano protetti, tanto che sarei dell'opinione di non mandarceli addirittura. Ma in ogni caso sembra che questi carri rinforzati non si rompano, però saltino in aria interi e quindi chi c'è dentro non ha protezioni sicure. Un orrore. Tale orrore costa 12 miliardi di vecchie lire ogni carro e saranno pronti nel 2012 quando spero che si sarà avviata una politica di disarmo bilanciato o sennò addirittura unilaterale. Chiedo perciò se in tutte queste spese è previsto un qualsiasi riuso civile dei bestioni e suscito un coro di risate nella commissione e mi viene detto da un ex generale che non capisco niente, sono un po' scema; siccome intigno e chiedo che il ministero risponda almeno a questo quesito il sottosegretario il giorno dopo dice che dei 510 carri che alla fine avremo acquistato dalla Oto Melara (non dalla Finmeccanica e sospetto perciò che ci sia anche una certa concorrenza e che alcuni membri della commissione siano più interessati a ordini Finmeccanica e altri alla Oto Melara, ma si sa che io sono maligna) solo i 7 che hanno funzioni di comando potrebbero essere usati in caso di calamità o per sgomberare persone in pericolo, vanno infatti a più di 80 km all'ora su qualsiasi terreno- però non potrebbero portare più di 8 persone alla volta e sgombrare una popolazione non è molto economico. Insomma alla fine ciò che mi viene detto è che appena non saranno più nuovi diventeranno ferrovecchio: costano come fossero d'oro perbacco!
* * *
Lasciatemi dire che le ultime uscite di Prodi a me vanno molto a genio, intanto perché si vede che ha nervi e ogni tanto gli saltano pure, e poi perché finalmente esce dai giri di parole diplomatici e dice fuori dai denti quel che ha in pancia.
Meglio così.
 
Lidia Menapace

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