Mauro Covacich
La sposa
Bompiani, 2014, pp. 192, € 16,00
Quando si finisce di leggere La sposa di Covacich, finalista al Premio Strega 2015, qualcosa continua ad agitarsi dentro di noi, possono essere immagini che ci siamo costruiti sulle parole, possono essere scorci di situazioni, il tutto immerso in un velo di sottile disagio, quasi avessero a che fare con la nostra vita. Sono diciassette racconti parzialmente legati dalla figura della sposa, che ricompare in alcuni, fino a scomparire tragicamente, ma soprattutto dal modo di porsi davanti alla vita, dallo sguardo che scava fin nei recessi della mente, fino a mettere a nudo i pensieri più reconditi, quelli che vorremmo negare a noi stessi. Ci sono situazioni al limite del surreale, che comunque appartengono all’uomo.
Come potrebbe capire un autista qualsiasi, che carica una autostoppista sotto la pioggia, che quel suo girare per il mondo in abito da sposa è una forma d’arte? E come spiegare al figlio piccolo della sorella il fatto che tu non voglia bambini? Certe domande costringono a dialogare con la nostra coscienza e a mettere a nudo la ragione più o meno individualista, più o meno comprensibile a tutti, delle nostre scelte: l’adulto sente l’obbligo morale di non deludere il ragazzino nella sua ricerca di risposte e di certezze. Zio e nipote sono trasversali ai racconti, il bambino improntandoli di una freschezza che finisce per smussare anche le posizioni rigide dell’altro.
Dell’umanità si dipingono le nevrosi, quei tarli che trapanano la nostra mente distruggendo anche i momenti di gioia, magari piccole cose a cui finiamo per dare un’importanza eccessiva, o che nascondono i nostri bisogni e le nostre paure. In situazioni al limite è facile anche se non prevedibile lo scivolamento nella pazzia.
Si rivelano gli istinti nella lotta persa contro il richiamo dei sensi; vengono allo scoperto i sogni irrealizzabili -si parla di ragazzi nati in ambienti di emarginazione e di degrado- che sfociano in atti di violenza gratuita apparentemente inspiegabile, in realtà espressione di vendetta sociale. Le ossessioni e le nevrosi crescono di intensità man mano che si procede nei racconti, non fanno più sorridere né riflettere, semplicemente terrorizzano, specchio di una società comunque malata rappresentata con riuscito distacco, a controllo delle emozioni e del giudizio. Una società caratterizzata dalla solitudine, dalla mancanza di solidarietà, in cui anche il destino gioca i suoi scherzi, con crudeltà. E si sente uno sguardo addolorato sul trascorrere degli eventi.
Marisa Cecchetti