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Bellezza Divina. Tra Van Gogh, Chagall e Fontana
Chagall
Chagall 
28 Settembre 2015
 

In quel giorno, gli occhi dell’uomo

guarderanno al Santo di Israele

(Isaia 17, 7)

 

Lo sguardo è la somiglianza a Dio

resa presente nel volto

(Pavel Florenskij)

 

Il rapporto tra cristianesimo e arti visive si configura nel mondo europeo, pur tra alterne vicende, come la storia di una stretta e feconda alleanza. Di fatto, la produzione artistica dell’Occidente, dalla Spagna alla Russia, dall’Italia ai Paesi Scandinavi, non può essere compresa separatamente dalle sue radici cristiane.

Dalle simboliche ed essenziali rappresentazioni dei primi secoli alle algide raffigurazioni neoclassiche, l’immagine ha sempre goduto di grande familiarità con il cristianesimo. La Chiesa è sempre stata una committente straordinaria.

D’altronde, la relazione tra arte e fede trova le sue giustificazioni negli stessi testi fondatori del cristianesimo, a cominciare dal celebre versetto del Prologo del Vangelo di Giovanni: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e verità» (Gv 1, 14). Il Dio invisibile si è reso visibile attraverso una forma.

Dio può essere dunque rappresentato: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18). Dio si è incarnato nella storia dell’uomo.

Il Logos invisibile è apparso ai nostri occhi, l’abbiamo visto, è risuscitato, annuncia il Kerigma paolino. Gesù appare ai suoi. La sua presenza assume valore di una testimonianza. Il Cristo risuscitato appare e parla. Il Cristo, il Figlio di Dio che rivela il volto del Padre, si è fatto uomo.

Intorno a queste suggestioni sul ‘mistero della rappresentazione di Dio’, Palazzo Strozzi a Firenze ospita Bellezza Divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana”, un’eccezionale mostra dedicata alla riflessione sul rapporto tra arte e sacro tra metà Ottocento e metà Novecento attraverso oltre cento opere di importanti artisti italiani ed internazionali, a cura di Lucia Mannini, Anna Mozzanti, Ludovica Sebregondi e Carlo Sisi (Catalogo Marsilio).

L’esposizione nasce da una collaborazione della Fondazione Palazzo Strozzi con l’Ex Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, l’Arcidiocesi di Firenze e i Musei Vaticani e si inserisce nell’ambito delle manifestazioni organizzate in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale, che si terrà a Firenze tra il 9 e il 13 novembre 2015, al quale interverrà anche Papa Francesco.

La mostra analizza e contestualizza quasi un secolo di arte sacra moderna, partendo dagli anni cinquanta dell’Ottocento – quando le espressioni artistiche più nuove furono incoraggiate dalla Chiesa di Pio IX – arrivando fino all’anno Santo 1950, attraverso un percorso che mette a confronto i migliori esempi nati nel contesto italiano e internazionale, sottolineandone il dialogo e le relazioni e talvolta i conflitti nel rapporto fra arte e sentimento del sacro. Una “bellezza divina” che assume il significato di una grazia che dà sostanza estetica alla forma, in opere che sprigionano ognuna una spiritualità diversa e unica. Grandi protagonisti della mostra sono capolavori come L’Angelus di Jean-François Millet, eccezionale prestito da Museé d’Orsay di Parigi che emana una religiosità atavica, un senso del sacro trasversale e universale; la Pietà di Vincent van Gogh dei Musei Vaticani, fondamentale perché – nonostante la vocazione religiosa e mistica – l’artista ha rappresentato raramente soggetti sacri, e lo ha fatto ispirandosi a opere di altri autori; la Crocifissione di Renato Guttuso delle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, opera emblematica con un’intensa connotazione politica che esprime, come Guernica, un grido di dolore, la Crocifissione bianca di Marc Chagall, proveniente dall’Art Institute di Chicago, l’opera d’arte più amata da papa Bergoglio.

Dal percorso espositivo emerge come, al di là di diffusi pregiudizi, il rapporto tra arte e sacro non abbia mai subito censure profonde, ma al contrario, come ogni artista abbia sentito il bisogno di confrontarsi in qualche modo, magari in forme conflittuali, con la dimensione della trascendenza, e così pure come l’ambiente di fede abbia sempre sentito il bisogno di riconoscere nell’arte una via alta di espressione dei propri contenuti, anche in questo caso non in modo uniforme, ma attraversando gli spazi della sacralità liturgica, di quella devozionale o di quella semplicemente spirituale.

Di qui l’importanza della mostra che evidenzia quanto universale e quanto ricco sia stato, nel secolo che si potrebbe considerare il più difficile del dialogo, il confronto tra arte e sacro. Dopo un periodo d’identificazione dell’arte cristiana con lo “storicismo”, della fine dell’Ottocento si è protratto il tentativo di individuare un linguaggio che fosse aderente ai tempi, per cui, nel corso del Novecento, l’arte sacra si esprime tramite l’affiancarsi di linee interpretative molteplici.

Si affermano così una varietà di espressioni che trovano riscontro nelle opere presenti in mostra, dallo stile naturalistico e narrativo affine alla pittura di storia di fine Ottocento alle ricerche simboliste di inizio Novecento, dalle ricerche del realismo ottocentesco e novecentesco fino a letture in chiave astratta e controversa.

Ne sono testimonianza le inaspettate interpretazioni futuriste o quella di Edvard Munch, la cui Madonna fu oggetto di scandalo tanto da rappresentare una delle immagini più provocatorie dell’Ottocento.

La mostra è suddivisa in sette sezioni. In questo contesto si inserisce una sezione dedicata a Gino Severini: la decorazione murale tra spiritualità e poesia, che attraverso una selezione di opere chiarisce il dialogo con Maritain, cui segue una video-installazione, Spazi del Sacro, che mostra le molteplici soluzioni adottate, fra Ottocento e Novecento, nella costruzione di edifici del culto cattolico, sottolineando anche lo stretto collegamento con il Rito.

Il susseguirsi delle immagini di architetture ispirate dal padre domenicano Marie-Alain Couturier, terminano lo splendido filmato con la cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp (1954-1955), progettata da Le Corbusier. Il geniale architetto sosteneva che il suo intervento era di natura acustica nel mondo delle forme e in armonia con il paesaggio circostante: «i quattro orizzonti». Un evento scultoreo che è contemporaneamente sonoro e visuale, poiché frutto di equazioni plastiche, musica e numeri. Un immenso orecchio stilizzato che si adegua sulla collina e dove la coclea coincide con l’altare maggiore; un orecchio ambientale in relazione con il mistero dell’Annunciazione, dove l’orecchio della Vergine, che ha accolto attraverso l’Angelo la parola del Signore, diventa simbolo della fecondazione.

 

Maria Paola Forlani


Foto allegate

Picasso
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Trittico - spazio, luce, sacralità
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