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Luis Cino. Sulla visita di Papa Francesco
(foto AGI)
(foto AGI) 
25 Settembre 2015
 

La mia prima e unica volta a Piazza della Rivoluzione è stata il 28 gennaio del 1998, per assistere alla messa di Giovanni Paolo II. Ero uno tra le migliaia di cubani che gridavano “libertà!”. Quelle urla fecero rimbombare la Piazza, nonostante alla TV non si udirono così forti come avremmo voluto a causa del vento misterioso che soffiava quella mattina e che molti pensarono essere il soffio dello Spirito Santo.

Non ho assistito alla messa di Benedetto XVI quattro anni fa e nemmeno ora a quella di Francesco.

Come non ho rinnegato Dio ai tempi delle chiese chiuse o semivuote e i formulari “raccontami la tua vita” con la famosa domanda sulla tua fede religiosa, in questi momenti mi sento in diritto di esprimere il mio imbarazzo per il comportamento della Chiesa Cattolica di fronte al regime castrista.

Noi cubani siamo in molti a sentirci abbandonati perfino da Dio. In particolare noi che aspiriamo a vivere in democrazia. Ce ne vuole per stare in attesa di miracoli in questi tempi in cui prevale sopra a tutto il resto – anche in campo spirituale – il pragmatismo.

Stiamo dimenticando che Francesco è venuto non solo in visita apostolica ma anche in qualità di capo dello Stato Vaticano, che ha i propri interessi politici.

Di certo, il Vaticano è uno stato totalitario, per quanto la sua polizia politica sia solo di tipo spirituale.

In questi giorni, mentre il regime beneficia della visita del papa a Cuba e negli Stati Uniti, sento gli oppositori parlare di Roma come se fosse di Cesare, la chiamano “la Gran Meretrice” (“la madre delle prostitute”), ricorrendo a citazioni dell’Apocalisse che possono essere interpretate come conviene a ognuno. Sono stanco di sentirli elencare la lunga litania di peccati storici della Chiesa Cattolica che tutti conosciamo.

Non c’è dubbio che tutte quelle stronzate materialiste-marxiste-leniniste che ci insegnavano a scuola ai tempi dell’ateismo ci abbiano danneggiato parecchio.

È davvero deplorevole lo strappo che si sta creando tra la chiesa cattolica e l’opposizione pro-democratica.

A malapena posso definirmi cattolico, perché lo sono a modo mio – come quasi tutti i cubani che dicono di esserlo –, per inerzia, per abitudine, perché non posso vivere senza credere, ma non mi unisco all’onda anti-Francesco su cui molti dissidenti stanno surfando oggi.

Dirò solo che è una sofferenza l’affetto che il Papa sembra provare per Fidel Castro, un dittatore in pensione, che non si è stancato di dichiararsi materialista e che nel 1962 fu scomunicato da Giovanni XXIII.

Il Sommo Pontefice non era obbligato a incontrare gli oppositori e le Dame in Bianco, ma non era nemmeno costretto a fare visita a Fidel Castro.

Rimprovero solo questo a Francesco. Ma nessuno è perfetto. Nemmeno il Papa. Preferisco ricordare quanto ha fatto per i poveri e gli emarginati, per la riconciliazione e la pace nel mondo. Questo vale molto di più del suo temporaneo rispetto nei confronti di un dittatore.

 

Luis Cino

(da Círculo Cínico, 23 settembre 2015)

Traduzione di Silvia Bertoli


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