Caldo
Estate calda. La protezione civile dirama i suoi allarmi a intervalli regolari e con potenti megafoni: «Sono a rischio vecchi e bambini, cardiopatici e cagionevoli di salute in genere. Bere molta acqua. Evitare sforzi, soprattutto nelle ore più calde, ecc. ecc.»
Come ogni estate, si parla di temperature record. Mai un luglio così caldo! Mai un agosto tanto torrido! Poi succede che intorno a ferragosto qualcosa cambia. Una corrente fredda percorre il nord-Italia e le cime delle montagne appaiono imbiancate da una bella passata di neve fresca. Esco la sera in moto e dopo neanche un chilometro mi tocca fare dietrofront per tornarmene a casa a indossare la giacca a vento. Alla faccia del caldo record, dell'emissione dei gas serra e del buco dell'ozono. Quindi la temperatura torna a salire un poco ma arrivano nebbia e pioggia. Di nuovo torna un po' di caldo. Ma dov'è la novità? Perché tanti allarmi? L'estate del 2003 fu veramente eccezionale per il caldo intenso e prolungato ma di estati come questa del 2015 mi pare di averne già viste più di una, ahimè (gli anni passano e i bimbi crescono).
Dobermann senza museruola e senza guinzaglio
In televisione, nella pigra televisione dell'estate, gli opinionisti (bel mestiere quello di essere pagati a cianciare) come sempre dicono la loro su tutto e su tutti. In verità si parla quasi sempre delle stesse cose, l'immigrazione, l'economia, la cronaca, Renzi, Salvini, Grillo ecc. Ed ecco che in uno dei vari salotti televisivi irrompe come troppo spesso avviene un dobermann senza museruola e senza guinzaglio: il solito azzannatore che nessuno riesce e a contenere e che io proprio non riesco a sopportare. Sgarbi, sempre lui. Per non sentire insulti, sproloqui e turpiloqui, spengo la televisione e vado in cucina a bere un bicchiere di acqua fresca. Ma anche là arrivano attraverso le finestre aperte delle case le urla di questo individuo che è diventato famoso abbaiando in televisione peggio di un cane con la rabbia. Questo scalmanato, come al solito, si scaglia gridando contro tutto e contro tutti, facendo però sempre attenzione a non urtare il potente o i potenti di turno. Penso che se lo studio dell'arte (costui si dichiara critico d'arte) porta a simili risultati allora è meglio non occuparsi né di Giotto né di Piero della Francesca, ma impiegare il proprio tempo andando a cercare mirtilli sulle montagne della Valgerola. Ovviamente questa è soltanto una battuta perché l'arte non ha nessuna colpa delle intemperanze del personaggio. La colpa è di chi invita a parlare in televisione un simile elemento, che ogni volta che apre bocca fa lo stesso effetto di un tubo della fognatura che si rompe e riversa i suoi liquami proprio al centro di una bella piazza.
Da Atene all'Europa unita
Uno dei temi ricorrenti più discussi e sviscerati dell'estate è stato sicuramente quello della crisi greca. Come molti ho letto abbastanza sull'argomento, ho ascoltato altrettanto, mi sono sforzato di documentarmi. Ma non mi si chieda cosa penso della faccenda perché dopo tanto leggere, dopo tanto ascoltare, dopo tante discussioni riconosco di saperne come prima, cioè quasi niente. Mi sembra che i giornali non abbiano fatto altro che insistere sui soliti stereotipi: da una parte l'immagine di una Grecia spendacciona vissuta per anni al di sopra dei propri mezzi, dall'altra l'immagine di una Germania severa, dura e inflessibile che non ha alcuna comprensione per chi è più debole. Può essere che ci sia del vero in ognuna di queste due posizioni e allora mi dico che forse, come sempre, la verità sta nel mezzo. Ma ho appena detto di non sapere quasi niente della questione e allora la chiudo qui. Quello che invece mi pare di aver capito, al di là della crisi greca e delle difficoltà della moneta unica, è quanto sia più che mai necessario uno sforzo comune per superare gli egoismi nazionali e andare verso quell'unione politica dell'Europa che già i padri europei di sessant'anni fa avevano preconizzato. Gli Stati Uniti d'Europa rappresenterebbero a mio avviso la svolta più significativa e positiva nell'Europa del nuovo millennio. Certo, c'è molto da fare. Abbiamo decine di stati con storie diverse, tradizioni diverse, economie diverse, lingue diverse. Sono ancora visibili le cicatrici di una storia d'Europa fatta di conflitti spaventosi. Ma se ci si pone il traguardo dell'unità, si trova sicuramente il modo per raggiungerlo. Siamo nel 2015 e, senza dimenticare il passato, dobbiamo guardare avanti, a un'Europa integrata, libera, solidale, pronta alle sfide globali di un mondo sempre più complesso. Dobbiamo marciare insieme, da Lampedusa a Capo Nord. Se ci uniremo avremo fatto un passo decisivo per superare le diverse crisi e per lasciare a chi verrà dopo di noi un'Europa e un mondo migliori di come li abbiamo trovati.
Vacanze retiche
Sono africani. Il più vecchio avrà venticinque anni. Il più giovane diciotto. Sono una quindicina, forse più. Alti, robusti, la pelle colore dell'ebano. Passano i pomeriggi di questa calda estate sulle affollate rive del torrente, tuffandosi ogni tanto nelle limpide acque del Màsino. Poi si riposano al fresco sulle sdraio bianche e blu del giardino della locanda. La sera escono per la passeggiata e se c'è una sagra o una festa con orchestra non mancano di dare spettacolo sulla pista da ballo. Colazione, pranzo, cena, doccia con l'acqua calda. Nella locanda le camere sono linde e accoglienti. Ma chi sono questi ragazzi che passano l'estate da perfetti vacanzieri amanti della montagna? Sono i cosiddetti “profughi” ospitati in Valle. Profughi? Ma da chi e da che cosa fuggono? Dalla fame? A occhio non direi. Dalla guerra? Ma se fuggono dalla guerra perché non c'è con loro la famiglia? E poi alcuni di loro dicono di provenire da Ghana e Senegal dove, grazie al cielo, non c'è traccia di guerra.
Tutte le province d'Italia ospitano ormai un gran numero di giovani e meno giovani provenienti da ogni dove. E la loro distribuzione sul territorio nazionale costituisce uno degli argomenti più dibattuti. Opinionisti, politici e gente comune si dividono solitamente in due fazioni nettamente contrapposte: quelli che parlano di “accoglienza” e “solidarietà” a prescindere e quelli che parlano di “invasione” e “respingimenti” sempre e comunque. Guelfi contro ghibellini. I primi hanno il loro faro nientemeno che in papa Francesco, gli altri si richiamano più modestamente al verbo leghista e al suo profeta Matteo Salvini (anche quando non votano Lega).
E chi scrive? In tempi non sospetti ho già detto la mia sulla questione immigrazione scrivendo sul Gazetin (“Una Disneyland che ha per nome Italia”, ottobre 2007) quello che penso. Non ho cambiato idea e pertanto non ho niente da aggiungere. Aggiungo invece, anche se la cosa è del tutto irrilevante, che per motivi miei non voto per la Lega di Salvini, ma che questa faccenda dell'accoglienza a prescindere e della solidarietà pelosa mi lascia quantomeno perplesso. L'immagine poi di quei giovani beatamente distesi sulle sdraio della locanda mi sembra l'ennesima dimostrazione dello sfacelo politico-amministrativo in cui versa il nostro paese. Via, una cosa del genere è o non è uno scandalo? Di fronte alle tante difficoltà dell'Italia possiamo permetterci questo spreco?
La mafia nord-africana comandata dagli schiavisti-scafisti moderni manda in Italia migliaia di sbandati ogni settimana e la mafia nostrana li accoglie (si fa per dire) e li gestisce sfruttando i finanziamenti che piovono come la manna dal cielo. La totale incapacità delle nostre amministrazioni di controllare il fenomeno permette a sfruttatori di ogni specie di spartirsi la ricca torta. Altro che accoglienza e solidarietà!
Personalmente mi arrabbio non poco quando, di fronte alla questione degli immigrati, sento dire che “una volta eravamo così anche noi”. Così anche noi? dove? quando? Ho visto con i miei occhi – era la fine degli anni Sessanta – i nostri emigrati in Svizzera prepararsi la cena dentro una baracca di pietra e di legno costruita vicino alla cava di granito dove lavoravano dieci ore al giorno. In quel modesto alloggio avevano il fornello a gas, le brande, le scorte di pasta e di vino. Per risparmiare e portare un po' di soldi a casa affrontavano fatiche e rinunce. “Eravamo così anche noi!” Via, non diciamo bestemmie. Non offendiamo una storia fatta di dignità e di sacrifici.
Ma torniamo ai cosidetti “profughi” africani (per quelli che fuggono dalla Siria il discorso è diverso). Quando io ero ragazzo, in Africa c'erano molte più guerre di adesso, molta più miseria, più fame, più oppressione, ma da quel continente non arrivava nessuno. Ora si sono aperte le cateratte del cielo. I barconi, quando non affondano, scaricano sulle nostre coste una marea di gente che nessuno è in grado di controllare. Il governo italiano, lo stato italiano, si dimostrano totalmente impotenti di fronte a questo fenomeno. Soltanto le mafie trionfano. I nostri rappresentanti politici, di maggioranza e di opposizione, parlano, parlano, parlano. Le parole sono più o meno sempre quelle: fatto epocale, accoglienza, solidarietà, invasione, respingimento. I cittadini italiani ripetono a loro volta le stesse parole. Intanto nulla cambia. I ragazzi dalla pelle color ebano nel giardino della locanda maneggiano i loro tablet e i loro cellulari comodamente sdraiati nel verde. A questo punto probabilmente qualcuno mi darà del razzista. Ma niente è più lontano da me del razzismo. Se quei ragazzi invece che neri fossero bianchi con i capelli biondi e gli occhi azzurri il mio giudizio non sarebbe diverso: queste vacanze pagate da Pantalone sono uno scandalo, un autentico scandalo.
P.S. - Un altro esempio tra i tanti. 24 agosto 2015: in viaggio sulla nave Tirrenia da Porto Torres a Genova. Cabina prenotata a febbraio, per fortuna (euro 450). Saloni, corridoi, sala poltrone e bagni intasati da decine e decine di “profughi” o presunti tali accompagnati da numerosi carabinieri. I cosiddetti profughi viaggiano naturalmente a titolo gratuito impedendo, anche senza volerlo, a chi ha sborsato fior di quattrini di fruire dei saloni, delle poltrone, dei bagni ecc. Non dico un lombardo o un piemontese, ma qualsiasi cittadino sardo paga per muoversi dall'isola centinaia, a volte migliaia di euro. E si tratta pur sempre di italiani che vivono e lavorano in Italia, pagano le tasse e sono soggetti alle leggi di questo squinternato paese. I profughi africani invece si muovono a piacere, senza sborsare un centesimo, magari diretti a qualche piacevole località di soggiorno. Si può continuare così?
Gino Songini
(da 'l Gazetin, settembre 2015)
Immagine:
“Aiutiamoli a casa loro...”
– Quale casa? Questa è Kobane, la città di Aylan Kurdi, il bimbo morto annegato.
(@rinaldosidoli, 04/09/2015 – foto internazionale.it)