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Giuseppina Rando. Quale Europa?  
Rileggendo María Zambrano
21 Settembre 2015
 

Mancanza di solitudine, di spazio libero,

puro e vuoto all’interno della coscienza;

di quella solitudine e quella libertà

che possono aversi anche

fra le zanne della belva.

(María Zambrano)

 

L’immagine che oggi si percepisce dell’Europa è molto lontana dall’idea che ci avevano trasmesso i padri fondatori dell’Europa Unita; recentemente poi essa ha messo a nudo tutti i suoi limiti ora sul piano economico ora in quello politico, civile ed umano.

Di fronte a questa Europa, divisa e confusa, si manifesta in molti di noi un sentimento di inquietudine legato alla crisi delle credenze e, come a suo tempo scrisse María Zambrano (Vélez-Málaga 1904 – Madrid 1991), alla perdita di trascendenza della realtà.

Torna utile, quindi, rivedere e rileggere alcune opere della filosofa spagnola onde capire meglio la crisi europea di questo nostro tempo che, nella sostanza, (a mio avviso) non è diversa da quella che attraversò la vita e la cultura europea negli anni Trenta e Quaranta.

In questi ultimi anni sono state tradotte in italiano diverse opere di María Zambrano, segno di una crescente attenzione verso una pensatrice originale e difficilmente catalogabile.

La fedeltà alla vita, il bisogno di una relazione tra pensiero ed esistenza, tra ragione e cuore è la connotazione più autentica del suo pensiero.

Il suo scrivere appare caratterizzato da una vena poetica, qualche volta ironica, da cui non è esclusa una personale riflessività.

Una vita, quella della Zambrano, segnata dall’erranza.

Per sfuggire il regime franchista è vissuta per quarant’anni in esilio, ha educato se stessa ad ascoltare il silenzio, a uscire dal proprio particolare, a custodire immagini interne tratte da un’osservazione attenta che cala nel profondo e conserva in luoghi che non sono quelli della memoria razionale. La sua vita ha conosciuto varie e profonde crisi, di cui troviamo testimonianza nel saggio Delirio e destino. Fu allieva di José Ortega y Gasset, che orientò i suoi interessi verso la letteratura e la vita. Le sue peregrinazioni la portarono in Messico, in Cile, a Parigi (dove conobbe Sartre, Camus, Cioran), a Roma dove strinse significativi rapporti con Moravia, Elena Croce, Elémire Zolla, Cristina Campo. E ovunque testimoniò, con il suo essere donna che pensa e scrive, le infinite potenzialità della vita che restano nell’ombra, nel desiderio inespresso, quasi al di sotto della coscienza.

Nelle sue opere, in più punti, tratta il problema della violenza” con tono originale dando un’interessante lettura dell’Occidente, quale luogo tragico dell’incontro tra pensiero greco e cristianesimo. Mette in discussione, senza ipocrisie, l’identità occidentale, in particolare europea, e affronta con dolorosa lucidità i problemi e i mali della nostra civiltà.

Ripercorre la storia dell’Europa dalle origini e giunge alla conclusione che si tratta di una storia di violenza e di ideologia violenta. Invita ogni europeo a una sorta di intima confessione e a sforzarsi di riscattare questo cuore, da tempo così torbido, così smarrito per tentare di vedere cos’è stata l’Europa, trovare i suoi cardini, i suoi principi.

La tragedia europea – scrive la Zambrano – è violenza prima ancora di avere violenza: quella che chiamiamo Europa, è un’identità che nasce da “una storia” intrecciata di violenze.

A ben riflettere, la violenza è una componente stessa della nostra modernità che tenta di conciliare la frattura che l’uomo vive tra il “reale” e ciò che lo trascende.

È questo il tema portante dell’opera Filosofia e poesia, nella quale la filosofa conduce un’approfondita analisi sulla frattura tra pensiero filosofico e poesia.

Quando la filosofia europea interpreta il mondo in chiave razionale compie un atto violento, perché fa in modo che tutte le cose ci appaiono razionali e perfettamente rispondenti al nostro modo di pensare. È da qui che, secondo la Zambrano, è nata la crisi della civiltà occidentale, dal fatto che il razionalismo ha voluto separare il pensiero intero in filosofia e poesia, ovvero in conoscenza del capire e conoscenza del sentire. Se vogliamo superare questa crisi, dobbiamo riavvicinare il capire al sentire, l’anima al corpo, la filosofia alla poesia, la ragione al cuore, anche attraverso la dimensione religiosa più autentica; dobbiamo riscoprire il legame che unisce la curiosità all’astrazione, lo stupore alla ragione. Prima ancora di essere un fatto della ragione, il sapere dev’essere qualcosa di vivo e sofferto.

Se l’uomo si fa solo ragione, violenta se stesso. Così la Zambrano denuncia il vizio dualistico di separare l’uomo in mente e corpo, spirito e carne, e indica la via per vivere in armonia con il mondo in cui è immerso: la poesia soltanto, con la sua aderenza alla realtà affettiva delle cose, recupera quelle differenze arricchenti che certa filosofia tende ad annullare.

Perché la cultura europea capisca le ragioni della propria crisi o del proprio essere identità agonizzante, la strada da percorrere consiste quindi nell’accostarsi alla natura stessa di questa violenza, che la Zambrano individua come violenza ontologica, in quanto nutrita di sete di creazione di un mondo nuovo, diverso.

In Chiari del bosco scrive: l'uomo è l'essere che soffre della sua propria trascendenza, in un incessante processo di unificazione tra la passività e il conoscere, l'essere e la vita... ma per quanto disperato e angosciato, l’uomo continua a sperare l’impossibile.

In questa prospettiva, secondo la filosofa spagnola, anche la storia del cristianesimo va riletta e considerata alla luce della natura intimamente violenta della stessa idea di creazione.

Nella storia d’Europa spesso l’uomo ha smarrito il senso del proprio limite, si è sentito onnipotente e, preso dalla frenesia della creazione si è fatto dio e ha dato all’Europa cristiana il volto della violenza.

Nell’opera I beati la filosofa afferma che l’uomo, piuttosto che rinunciare del tutto alla propria facoltà di creare, dovrebbe riconquistare la consapevolezza che ogni sua creazione non può che essere incompiuta, sempre mancante di un qualcosa e nutrita alla fonte del fallimento.

Ciò in virtù dell’energia svincolante della speranza che nasce dall’incertezza, della speranza che estrae la sua stessa forza dal vuoto, dall’avversità, dall’opposizione… senza lanciarsi in alcun tipo di guerra.

È la persona umana quindi il valore più alto e la finalità che l’Europa dovrebbe perseguire.

La persona come il timido raggio della luce aurorale in grado di illuminare gli uomini rendendoli capaci di realizzare la democrazia insieme ad una nuova idea di Europa. E allora, il giorno benedetto in cui tutti gli uomini saranno riusciti a vivere pienamente come persone, in una società che li accolga in un ambiente appropriato, l’uomo avrà finalmente trovato la sua casa, il suo luogo naturale nell’universo.

Forza creativa, speranza, utopia. È di questo, forse, che ha bisogno oggi la nostra Europa.

Alla luce di queste riflessioni è auspicabile, come suggerisce la Zambrano, da un lato riunificare la filosofia con la poesia e la letteratura e dall’altro che anche gli scienziati partecipino al dibattito filosofico, culturale e politico e non si chiudano ciascuno nel proprio splendido isolamento, come spesso avviene.

 

Giuseppina Rando

 

 

Nota bibliografica

María Zambrano, Delirio e destino, a cura di Rosella Prezzo, trad. di Rosella Prezzo e Samantha Marcelli, Raffaello Cortina, Milano 2000.

María Zambrano, Filosofia e poesia, a cura di Pina De Luca, trad. di Lucio Sessa, Pendragon, Bologna 1998 e 2002.

Mercedes Gomez Blesa, “Introduzione a María Zambrano” in Le parole del ritorno, a cura di Elena Laurenzi, Città aperta, Troina 2003.

María Zambrano, I beati, trad. di Carlo Ferrucci, Feltrinelli, Milano 1992.

María Zambrano, Persona e democrazia, Bruno Mondadori, Milano 2000.

María Zambrano, L’agonia dell’Europa, Venezia, tascabili Marsilio, 2009.

María Zambrano, Chiari del bosco, Bruno Mondadori, Milano, 2004.

 

 

 

Non bisogna cercare (María Zambrano)

 


 
 
 
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