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Maria Lanciotti. Estate 1943 – Forse un ricordo, forse un racconto
17 Settembre 2015
 

Una bambina con una camiciola bianca e un nastro nei capelli, piange disperata in braccio a qualcuno. È piccolina, non sa ancora parlare, dice solo mamma e bua. Si è svegliata senza la madre accanto, in un luogo che non conosce, fra persone che non sanno come confortarla.

– Mamma torna presto, è andata laggiù, a prendere la pastasciutta.

E le indicano un ‘laggiù’ che si perde dietro le montagne, nere contro il cielo chiaro.

La bambina affonda la testolina nel collo della zia e continua a singhiozzare, sempre più fievolmente.

– Poveri noi, come si fa co’ ‘sta creatura che non si dà pace? Ma quant’è brutta ’sta guerra!

La bambina s’è calmata, vuole scendere. Provano a farle mangiare un po’ di frutta, ma lei scuote il capo e serra la bocca.

Si accoccola in un angolo e guarda fisso le montagne che sembrano rosa, ora che il sole vi batte. Aspetta di vedere la madre apparire da lassù, con la cesta in testa piena di pastasciutta. Dev’essere una cosa buona, la sente sempre nominare dai grandi con un sospiro.

Un ragnetto si arrampica sulla sua gamba, le fa il solletico e la bambina ride. Poi osserva incantata la fila di formiche entrare e uscire, correndo, da un buco nella terra.

I grandi spannocchiano sull’aia. Il granturco forma sul telo una montagna d’oro. La bambina vi affonda le mani e alcuni chicchi le restano impigliati fra i capelli.

– Maria ci ruba il granturco, se lo nasconde in testa! – E i grandi ridono, continuando a sgranare le pannocchie e mettendo da una parte i torsi per gli animali.

Lo zio più in là cava le patate.

Dalla terra escono grappoli di patate, che lo zio sgrulla e ammonticchia. La bambina non capisce come faccia la terra a contenerne tante: che altro ci sarà sotto là sotto?

Con uno stecco prende a scavare fra le zolle, e un odore buono torna a farla piangere. Assapora le lacrime, impastate alla terra.

– Ma che fai, mangi la terra? – e la zia accorre per pulirle la bocca e le mani, e asciugarle gli occhi.

Improvvisamente il cielo si oscura. Tutti corrono per mettere al riparo il raccolto, ma la nuvola passa veloce e riprendono i lavori.

– Il tempo non dà affidamento: alla prima pioggia finisce l’estate.

È l’estate del 1943. La bambina è tra gli sfollati scampati al bombardamento del 19 luglio a Roma. Lei non sa della guerra, ma se la porta addosso come una malattia silenziosa.

– ’Sta pupa piange sempre, non parla, non ha mai fame. Menomale che la mamma s’è convinta a lasciarla qui da noi. Dove la portava, sotto le macerie? gli hanno spallato casa, povera famiglia…

– Qui siamo ancora al sicuro e da mangiare qualcosa si rimedia sempre.

– Dicono che la guerra è prossima anche da noi.

– Dio ci scampi e liberi, ancora si piangono i morti del 15/18…

– Guarda che bello, l’apparecchio! – e la zia delicatamente infilza con uno stelo sottile una filo-filogna, che continua a volare col suo ingombro.

– No… no –, balbetta Maria e tutti la guardano stupiti.

– Ha parlato, ha detto no, bella meluccia di casa!

– Per regalo zia oggi ti fa la polenta con i funghi! – E mentre vanno ad accendere il fuoco le mostra, lungo la viuzza tra l’erba, le farfalline azzurre confuse con i fiori della cicoria.

Quando tutti stanno mangiando nella cucina affumicata, il sole comincia a calare dietro le montagne.

– Mamma…

– Mangia, adesso arriva.

E la zia dolcemente la dondola sulle ginocchia. Sedia sediola… Maria è stanca, vorrebbe dormire, ma non riesce.

La zia la porta fuori e le fa vedere le lucciole. E la meraviglia entra negli occhi della bambina e vi rimane per sempre.

La mettono a letto e la zia le canta la ninna-nanna. Ninna oh ninna oh… E Maria sogna le formiche il granturco le farfalle le nuvole il tramonto le lucciole, mamma che torna scavalcando le montagne con le braccia cariche di pastasciutta.

 

Maria Lanciotti


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