…chissà cosa mai si diranno gli oggetti fra loro?
Joseph Cornell
Adam Zagaiewski, uno dei poeti viventi più meritevoli di attenzione, nel luglio scorso, a Cetona (Siena), ha ricevuto il premio internazionale alla carriera.
È considerato la voce più suadente del modernismo polacco, una voce – scrive Derek Wacott – sommessa sullo sfondo delle immense devastazioni di un secolo osceno, più intima di quella di Auden, non meno cosmopolita di quelle di Mi³osz, Celan o Brodskij.
La poesia è forza di rinnovamento, energia spirituale che potentemente pulsa dentro e che (afferma il Nostro) bisogna trattenere con la scrittura: «… scrivo per non lasciare che il momento luminoso si dissolva».
Nato nel 1945 a Leopoli, che proprio da quell’anno entrò a far parte ufficialmente dell’Ucraina, Zagajewski, alla fine del secondo conflitto mondiale, fu costretto con la sua famiglia ad abbandonare la Galizia e a trasferirsi nella Slesia sottratta alla Germania per essere annessa alla Polonia. Di fatto Zagajewski è stato sempre considerato polacco più che ucraino, studiando e formandosi a Cracovia e, poiché ha aderito e partecipato attivamente a la Nowa Fala (Nuova ondata), può considerarsi rappresentante di quella generazione di letterati e poeti la cui esperienza esistenziale, ha conosciuto il trauma della violenta repressione dei moti studenteschi del ’68.
In seguito si definisce cittadino dell’Europa dell’Est, ovvero di quel mondo di frontiera ove appartenenza e dis-appartenenza sembrano adeguarsi alle vicende storiche in cui la forza e la violenza trascendono ogni cosa, come un destino ineluttabile. L’appoggio, anche se critico ai movimenti dell’opposizione, gli costò un lungo esilio in Francia dove acquistò, oltre uno stile più raffinato, una nuova visione della realtà politica tanto da scrivere: «… Rispetto al passato l’Europa è migliore, più democratica, più giusta, ma sono andate disperse alcune delle nostre energie estreme. La religione per esempio. Lo dico da poeta che non si sente un cattolico istituzionale. Il nostro continente si è ridotto spiritualmente. Rischiamo di perdere la nostra tradizione. Ma il mio non è una lamento, piuttosto è una sfida». Forse... direi anche un invito ad andare oltre la voce segreta che la natura morfologica delle cose in se stessa racchiude, mettendo in relazione significato (oggetto, luogo, sentimento) e significante (nome, parola, linguaggio) fino a tracciare una mappa luminosa sull’intreccio che ogni possibile esistenza incontra e agisce.
Sfoglia i tuoi ricordi
cuci per loro una coperta di stoffa.
Scosta le tende e cambia l'aria.
Sii per loro cordiale, leggero.
Questi ricordi sono tuoi.
Pensaci mentre nuoti
nel mare dei Sargassi della memoria
e l'erba marina crescendo ti cuce la bocca.
Questi ricordi sono tuoi,
non li dimenticherai fino alla fine.
Questa, come tante altre sue poesie, scaturisce da «un atto di riflessione sul mondo», nota Giorgio Linguaglossa – e continua: «La poesia di Zagajewski è piena di reale, scoppia di reale. La storia è cronaca che diventa eternità, la poesia è cronaca che diventa eternità, ha la durezza dell'essere, la rugosità e l'asprezza dell'essere. Tutto è pieno, tutto è materia, anche la lingua è materia che bisogna saper modellare e colpire con il martello: la poesia è scultura della materia e il poeta è lo storico di queste sculture. Le cose, gli oggetti hanno una loro vita e la poesia non è altro che il nastro registratore che registra la vita degli oggetti: massima oggettività nella massima soggettività».
Il reale e le cose, l'intero mondo fenomenico, potrebbero apparire anche come una oggettività, un diaframma ineliminabile fra l'uomo e l'assoluto.
La parola poetica non può aspirare a raggiungere direttamente l'oltre, ma deve prima confrontarsi con il reale: tale confronto è uno scontrarsi con una barriera che, immancabilmente, altera il dato oggettivo, ma costituisce anche la sola speranza di accedere al mistero dell'esistenza.
La poesia che dà il titolo a Dalla vita degli oggetti. Poesie 1983-2005 (a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi, 2012), un libro che raccoglie una selezione di testi che abbraccia l’intera esperienza di vita del poeta, riferisce il dialogo tra il poeta e le cose, quasi gli oggetti fossero essere animati. Essi parlano, si muovono:
La pelle levigata degli oggetti è tesa
come la tenda di un circo.
Sopraggiunge la sera.
Benvenuta, oscurità.
Addio, luce del giorno.
Siamo come palpebre, dicono le cose,
sfioriamo l’occhio e l’aria, l’oscurità
e la luce, l’India e l’Europa.
E all’improvviso sono io a parlare: sapete,
cose, cos’è la sofferenza?
Siete mai state affamate, sole, sperdute?
Avete pianto? E conoscete la paura?
La vergogna? Sapete cosa sono invidia e gelosia,
i peccati veniali non inclusi nel perdono?
Avete mai amato? Vi siete mai sentite morire
quando di notte il vento spalanca le finestre e penetra
nel cuore raggelato? Avete conosciuto la vecchiaia,
il lutto, il trascorrere del tempo?
Cala il silenzio.
Sulla parete danza l’ago del barometro
Poeta degli oggetti, dunque, capace di descriverli con precisione fenomenologica e di coglierne l’essenza, ma anche poeta spaesato che “sente” di non appartenere a quell’umanità malvagia che ha reso l’uomo e il poeta straniero nelle città straniere, viandante, migratore in cerca di una verità che coincida con l’identità:
Nelle città straniere c’è una gioia sconosciuta, / la fredda felicità di un nuovo sguardo.
Gli intonaci gialli delle case, sui quali il sole / si arrampica come un agile ragno, esistono / ma non per me. Non per me furono costruiti / il municipio, il porto, il tribunale, la prigione…
Poeta itinerante …scrivo viaggiando – perché volevo vedere, / e non solo sapere – vedere chiaramente / incendi e scorci di quell’unico mondo… (Il viandante).
Così in ogni pagina la fisica sembra diventare metafisica, l'irreale attraversare il reale con una forza ed una dolcezza che spingono il lettore a cercare, a riflettere ma anche a stupirsi di quanto la storia così intesa diventare poesia.
Essere ed esistere, tempo e spazio in ogni poesia s’intrecciano e si confondono.
La forza della parole di Adam Zagajewski vorrebbe fare i conti con la verità abitando i luoghi e la coscienza del dramma quotidiano individuale e cosmico; una verità, ovviamente, soggettiva come è nell’essenza stessa della Poesia, ma proprio perché vissuta e testimoniata, può essere condivisa.
Credo che la poesia di Zagajewski, all’apparenza semplice ed umile, sia essenzialmente ambiziosa in quanto tenta di raffigurare la realtà personale e storica e s’interroga su ciò che c’è dentro e fuori di noi, sul destino individuale e collettivo.
Poeta del nostro tempo Adam Zagajewski la cui poesia può considerarsi anche civile, viva, umana: nella forza della sua parola poetica si gioca, prima di tutto, la vita e l’anima.
L’amore per l’umanità e il mondo diventa la cifra indispensabile per resistere al tempo selvaggio che ci è dato vivere.
Colgo un messaggio nella sua poetica, quello dell’umiltà del vivere che tenta di dare alle cose quel senso che si rivela sempre inafferrabile, ma a cui non è possibile rinunciare.
Giuseppina Rando