Ho vissuto la generazione dei cioè, nella misura in cui. Ne facevo parte, anche se cercavo di non esprimermi in quel modo, ché le parole sono importanti, direbbe Nanni Moretti. Adesso è il tempo della generazione tipo, una generazione che paragona tutto, persino il non paragonabile, per loro tutto è tipo, anche se non vuol dire un cazzo. Noi mettevamo cioè come intercalare, portavamo avanti discorsi di un certo tipo, nella misura in cui, loro fanno gesti orribili con le dita e mettono tra virgolette la vita mentre si fanno un selfie. Cambiano i tempi ma le abitudini del cazzo restano, tra un apericena e un attimino, tra gente che parla come nei programmi televisivi e tutti dicono le stesse cose. Non riconosci più un ignorante, grazie alla televisione, ché tutti si atteggiano, tutti sbrodolano fesserie e luoghi comuni. Non riconosci più un comunista da un fascista, ché tutti attaccano gli extracomunitari in discorsi inutili da spiaggia sottoproletaria. Sembra che tutti debbano difendersi da un presunto nemico in questa triste guerra tra poveri. E i ragazzi non capiscono, forse per questo bevono e non pensano, forse per questo si fanno le canne. Non sanno dove sono finiti, tipo in un casino, pensano. Ripensando ai nostri cioè che non spiegavano niente ti verrebbe da chiedere al vicino d’ombrellone perché ce l’ha con gli extracomunitari che sbarcano, tipo capire perché ha votato a sinistra se parla come un reazionario anche se lavorava tra carbonili a cielo aperto e colata continua. Tipo non aver capito niente della vita, forse, cioè, nella misura in cui non è ancora capace di portare avanti un discorso d’un certo tipo.
Gordiano Lupi