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Carlo Forin, Veneris... nefandae.
Enea ferito curato da Venere
Enea ferito curato da Venere 
13 Novembre 2006
 

Veneris… nefandae

Minotaurus inest, Veneris monumentae nefandae (Eneide, VI 26)

 

Il sesto libro Eneide narra l’incontro di Enea con l’anima del padre Anchise (citato qui 12 volte, un intero zodiaco o giro del Cielo).

I versi iniziali introducono, in contrapposizione, l’altra genitrice di Enea, Venere, e vanno da Sic fatur a Veneris nefandae con la narrazione del mito di Pasifae che si accoppia ad un toro per generare il Minotauro, ‘ricordo di una Venere nefanda’

[Venere nefanda è la Venere abominio di cui abbiamo detto].

La domanda di Enea a Venere – Sei forse sorella di Febo? – (En. I, 329), che abbiamo osservato nello scorso articolo, ha qui risposta:

 

Il pio Enea raggiunge le vette, a cui presiede

l’alto Apollo, e vicino i recessi, antro immane,

dell’orrenda Sibilla alla quale il profeta di Delo

ispira grandi animo e mente e apre il futuro.

Già entrano nei boschi di Trivia e nel tempio dorato. (En. VI, 9-13)

 

L’alto Apollo presiede l’antro della Sibilla sua profetessa ed i boschi in cui entrano gli Eneidi sono di Diana, la vera sorella di Apollo.

Nei fregi del tempio dorato è effigiato il volo di Dedalo.

 

Appena tornato a queste terre consacrò a te,

o Febo, il remeggio delle ali, e fondò il vasto tempio. (En. VI, 18-19)[1]

 

L’intreccio del racconto Eneide col mito di Dedalo e del Minotauro svia l’interesse del lettore dal sacrilego epiteto ‘nefanda’, attribuito a Venere sia pure in modo indiretto per significare l’amore abominevole di Pasifae. Ma Pasifae è umana e l’essere umano non viene staccato dalla sua ombra divina, che ne è la vera guida. Dunque, è Venere la dea nefanda responsabile dell’abominio. In che modo può essere sorella di Febo se non per il contrario, l’Erebo?

E questa è l’unica citazione di Venere nel libro dell’incontro di Enea col padre finito nel mondo dei morti. La domanda –sei forse sorella di Febo?– trova, indirettamente, la risposta –no!– in questo proposito di Enea:

 

Allora fonderò a Febo e a Trivia un tempio

di solido marmo, e giorni di festa dal nome di Febo.

E te un grande sacrario attende nel nostro regno. (En. VI, 69-71)

 

La citazione ‘nefanda’ di Venere confrontata con l’intero libro sesto, dove l’anima di Anchise appare nei Campi Elisi in un contesto tutto positivo –con 8 citazioni di Febo e 4 di Apollo-, spiegano che il riferimento già visto dove Febo, il Cielo, viene invocato da Enea con Erebo per lei:

 

invocat et duplicis Caeloque Erebusque parentis. (En. VII, 140)

invoca ambedue i genitori nel Cielo e nell’Erebo.

 

partisce i due genitori così: nel Cielo il padre e nell’Erebo la madre. Più precisamente: nei Campi del Pianto (lugentes campi) dove finisce Didone:

 

Non lontano da qui si estendono in tutte le direzioni

I Campi del Pianto: li chiamano con questo nome.

Quei sentieri appartati celano coloro che un doloroso

amore consunse con struggimento crudele: intorno li copre

una selva di mirto: il tormento non li abbandona neanche nella morte. (En. VI, 440-444)

 

La selva di mirto indica Venere, che dà lo struggimento ‘crudele’. ‘Crudele anche tu, o madre’ abbiamo visto la dichiarazione di Virgilio a Venere delle Bucoliche e in “Sei forse sorella di Febo?”.

Poiché il doloroso amore di Didone copre 1/3 del racconto Eneide la sua fine nei Campi del Pianto coperti da una selva di mirto raccontata a metà dell’opera mostra la nefandezza di Venere aldilà di ogni dubbio.

I boschi di Diana (Trivia), vera sorella di Febo sono, invece, questa selva di Venere:

 

Tra di esse [anime che un doloroso amore consunse, nda], fresca della ferita, la fenicia Didone

errava nella vasta selva; appena l’eroe

troiano le ristette vicino e la riconobbe tra le ombre […]

gli sgorgarono le lacrime, e parlò con dolce amore:

-Infelice Didone, vera notizia mi giunse,

che avevi cessato di vivere e cercato la fine col ferro?

Ahimè, ho provocato la tua morte? Giuro per le stelle

ed i celesti, e per la fede se ve n’è nel profondo della terra,

a malincuore, o regina, partii dal tuo lido.

Ma il volere degli dèi, che ora mi costringe ad andare tra le ombre,

per luoghi squallidi di desolazione e per la notte profonda,

mi costrinse con i suoi comandi; non potevo credere

di darti con la mia partenza un dolore così grande. (En. VI, 450-464)

 

«Io sono un burattino nelle mani di mia madre; è lei che ti ha ammazzato col mio concorso impotente». E Didone:

 

Infine si strappò da lì, e fuggì ostile

nel bosco pieno di ombra, dove l’antico sposo

Sicheo le corrisponde l’affanno e ne uguaglia l’amore. (En. VI, 472-474)

 

L’amore del marito uguaglia, solo, l’amore di Didone. Uni, Giunone etrusca, unifica i due pur destinati ai Campi del Pianto.

 

Le stranezze di Venere sono state attribuite dal lettore tradizionale alla sua natura capricciosa; Virgilio, invece, distribuisce con precisione le tre risposte negative alla domanda An Phoebi soror? con citazioni singole per capitolo: II 787, VI 26, IX 135.

Abbiamo letto Creusa dire:

 

divae Veneris nurus;

sed me magna deum genetrix his detinet oris.

nuora della dea Venere;

ma la grande Madre degli dèi mi trattiene in queste terre. (En. II, 787)

 

che ci ha fatto vedere KI ERES nascosta dietro a Venere. Osserviamo Venere nefanda in questo sesto libro al centro dei 12 dell’Eneide. Al IX possiamo leggere dal discorso di Turno:

 

fu dato abbastanza a Venere e ai fati (En. IX 135)

sat fatis Venerique datum

 

dove sat sta per ‘abbastanza’ ed allude alla volontà di Saturno mal interpretata da Turno (datum da sat Turno). Virgilio è attentissimo a distribuire i riferimenti precisi al dio etrusco Saturno. Solo nel profondo del racconto di lode ad Augusto Cesare nella profezia di Anchise si può leggere:

 

VI 794

 

Questo è l’uomo che spesso ti senti promettere,

l’Augusto Cesare, figlio del Divo, che fonderà

di nuovo il secolo d’oro nel Lazio per i campi

regnati un tempo da Saturno; estenderà l’impero

sui Garamanti e sugli Indi, sulla terra che giace oltre le stelle,

oltre le vie dell’anno e del sole, dove Atlante, portatore del cielo,

volge sull’omero la volta trapunta di stelle lucenti.

 

aurea condet

saecula qui rursus Latio regnata per arva

Saturno quondam

che fonderà di nuovo i secoli d’oro nel Lazio per i campi

regnati un tempo da Saturno.

 

I campi regnati un tempo da Saturno vanno intesi come le terre degli Etruschi. L’etrusco Virgilio canta Cesare Augusto come colui che riporterà finalmente la pace.

 

Carlo Forin


[1] Apollo Archegetes

 

 


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