Chi era Liliana Ampola, alla cui memoria è stato dedicato il ponte di via Betti il 25 aprile di qualche anno fa?
Se lo saranno chiesti in molti rapallesi e ce lo siamo chiesti anche noi.
La ricerca di una risposta ci ha portato alla scoperta di una ragazza che non ha aspettato gli ultimi mesi della Resistenza per schierarsi contro il fascismo, che già nella tarda primavera del 1943, quando Mussolini era ancora a Palazzo Venezia e gli Alleati non erano ancora sbarcati in Sicilia, aveva scelto la via della lotta al fascismo.
Noi non sappiamo precisamente come e con chi Liliana – a soli 19 anni – combatteva il fascismo, non lo possiamo sapere noi, passati tanti anni, e non lo sanno neanche i familiari che più le erano vicini.
«Liliana con noi in casa era estremamente riservata», ci dice la sorella Angelina che con il marito Giorgio Maggi ci ha ricevuto nella sua casa di Rapallo. Ricorda solo che una mattina dei primi giorni di luglio del 1943 ricevettero una telefonata del capo ufficio della sorella (era impiegata alla Montecatini di Milano) che li avvertiva del suo arresto.
Forse Liliana avrà fatto parte dell’apparato del Partito Comunista clandestino; il 1943 si era aperto con i grandi scioperi nelle fabbriche torinesi e milanesi del marzo-aprile che suonavano la campana a martello per il fascismo, o forse apparteneva ai primi nuclei del Partito d’Azione, fondato (clandestinamente anch’esso) proprio a Milano l’anno precedente.
La fine del fascismo, il 25 luglio, portò alla sua liberazione.
«La rivedemmo a casa smagrita e piena di lividi» ricorda la sorella «voleva tornare in ufficio ma le dettero un mese di riposo».
Arriviamo all’8 settembre e all’inizio della Resistenza.
Anche in questo caso, per la famiglia, un gran buco nero, le notizie riuscirono a metterle insieme solo dopo, molto tempo dopo i fatti, e in modo frammentario.
Quel che è certo è che il 14 febbraio del 1944 Liliana venne arrestata un’altra volta. Ad avvertire la famiglia fu ancora il capufficio, che comunicava che sarebbe partita dalla Stazione Centrale poco dopo. I familiari si precipitarono al treno con pochi effetti personali, e – a causa di un allarme aereo – riuscirono a restare alcuni minuti accanto alla ragazza. Fu l’ultima volta che la videro, perché da quel momento di Liliana Ampola se ne persero le tracce.
In seguito ricevettero solo due cartoline, scritte a matita con la sua calligrafia, da Bolzano, e nient’altro. Bolzano nel 1944-45 era praticamente annessa alla Germania nazista, sede di un Campo di transito utilizzato per ebrei e partigiani sulla via della deportazione e dello sterminio.
Dopo la guerra ricevettero alcune notizie frammentarie e contraddittorie, chi l’aveva vista a Roma, chi in Russia. Forse durante la deportazione riuscì a fuggire, riprese la lotta e venne ancora catturata. Tra la documentazione della famiglia c’è un diploma di Medaglia Garibaldina, rilasciato l’8 settembre del 1947 a firma di Pietro Secchia e Luigi Longo, i comandanti partigiani comunisti nell’Italia settentrionale, concessa per aver combattuto nelle Brigate d’Assalto Garibaldi. Avrebbe partecipato ad azioni di guerra in un distaccamento nelle Brigate Pisacane e sarebbe stata una staffetta sotto le dipendenze di Piero Pajetta.
«Solo alla fine della guerra», ricorda ancora Angelina Ampola, «ricevemmo una lettera dal consolato austriaco di Milano che ci informava della sua morte, avvenuta il 23 agosto del 1944, ma solo nel 1958 venimmo a sapere ufficialmente che era sepolta a Mathausen».
Iniziarono allora i tentativi della famiglia per riportare in Italia i suoi resti, conclusi solo nel 2000, quando vennero inumati nel cimitero di Staglieno.
Rapallo le ha dedicato un ponte alla memoria, ricordando chi non ha aspettato l’arrivo dei tedeschi per scegliere da che parte stare, ma prima, prima che fosse una necessità ma libera scelta, ha affrontato a viso aperto il fascismo.
Primarosa Pia, Massimo Brancaleoni
([R-esistiamo], 24 agosto 2015)