Per prima cosa, al Flow Festival (Helsinki, 14-16 agosto) ci si va in bicicletta. È a dieci minuti di pedalate dalla stazione. Ci sono dei giganteschi parcheggi appositi fuori dal festival. Oppure ci si va in metro (stazione Kalasatama sull’unica linea della metro di Helsinki) e si cammina per un paio di minuti. È uno dei pochi festival europei che è veramente in centro, non su un’isola come il Sziget o in un parco come il Primavera; il Flow è davvero nel centro di Helsinki in un’area circoscritta, chiamata Suvilahti, che fungeva da centrale energetica nel secolo scorso.
Al Flow si entra passando di fianco ad una stazione di benzina (con fastfood annesso aperto 24 ore su 24) e alla gigantesca centrale elettrica ancora funzionante di Hanasaari B, che sembra la versione finnica di Battersea. Helsinki al sole è come al solito bellissima, la luce rende tutto molto nitido e la coda di quasi un’ora per farsi cambiare il braccialetto all’entrata vola abbastanza velocemente. Il pubblico è agghindato a dovere, l’impressione è di trovarsi in mezzo al pubblico di festival più bello del mondo. Sarà la pelle scandinava rosolata nelle saune, il biondo semi-albino, lo stile elegante e minimale, ma sembra davvero di essere finiti in una pubblicità di Vero Moda o sul set di Svezia Inferno e Paradiso. Gli hipster sono definitivamente scomparsi, tranne qualche rara eccezione tra gli inservienti nei cocktail bar del festival, lasciando il posto a qualcosa di morigerato, non-ironico e sobrio, come se fossi circondato da dipendenti pubblici nella Berlino degli anni venti.
Quest’anno il programma comprende otto palchi, che vanno dal gigantesco Main Stage fino al Tiivistämö, che sembra il palco al coperto di un centro sociale, dallo psichedelico Bright Baloon 360 (con una specie di mongolfiera bianca sospesa sopra un’anfiteatro) ai vari tendoni da festival. Poi ci sono un sacco di bar a tema, installazioni, zone chill-out e spazi-ristoro da esplorare. Le fantastiche architetture industriali, decorate con le luci, danno il meglio quando verso le nove comincia ad ombreggiare. I migliori bar e ristoranti di Helsinki (non sempre facili da localizzare perché oggigiorno in fase di colonizzazione del quartiere di Kallio) sono rappresentati nei vari stand. Ho apprezzato il sushi di Käpylä Majakka, un Tasty Dog vegano, muffins di Brooklyn Cafe & Brklyn Bakery, qualcosa che non ricordo di Sandro, birra della Stadin Panimo etc.: stomaco gentrificato a dovere.
Il venerdì sul palco principale ci sono Chic e Major Lazer. Niles Rodgers sciorina tutti i riff che ha suonato (con alcuni momenti ‘ah già’ come quando fanno Let’s Dance di Bowie) e si balla. Poi, ci si siede un momento, si beve un po’ di vino bianco alsaziano costosissimo e si procede all’esplorazione degli altri palchi. Arrivo al Bright Baloon 360, mentre la gente aspetta il secondo set di Lännen Jukka. Le gradinate dell’anfiteatro sono stipate di giovani finnici che urlano ‘Ju-kka! Ju-kka! Ju-kka!’. Con in mano una birra e un whiskey (in bicchieri di plastica) e il banjo a tracolla, Jukka sembra un contadino careliano col vestito della festa. Dietro di me un ragazzo urla ‘suona Pontikkapoika’ – Jukka non sembra sentirlo, ma dopo aver accordato il banjo, ecco che intona ‘Minä se olen se pontikkapoika...’ ed è il delirio. Lännen Jukka è il progetto country /roots di J Kärjäläinen, dove interpreta fittizie canzoni di finlandesi emigrati in America all’inizio secolo scorso. Mi perdo volutamente Major Lazer (so soltanto che hanno buttato i coriandoli un paio di volte). Poi ci sono i Ride nella tenda blu, l’anno scorso c’erano stati gli Slowdive e due anni fa i My Bloody Valentine, a confermare che lo shoegaze non era mai andato fuorimoda qui. I Ride suonano forte, i locali apprezzano, sembra di essere tornati nei primi novanta, con solo lo stravagante Borsalino di Mark Gardener a nascondere qualcosa di capillare importanza.
Vado a casa contento (sempre in bicicletta) e il sabato mi ripresento un po’ prima, la gente affluisce in continuazione, i biglietti sono esauriti da qualche giorno ormai.
Alle 19:00 ci sarà quello che una volta era il mio gruppo preferito, gli scozzesi Belle and Sebastian. Belle and Sebastian salgono sul palco come al solito, con l’aria svogliata degli studenti di dottorato all’ultimo giorno di una conferenza internazionale. Partono con ‘Nobody’s Empire’, singolo del disco nuovo, quella che un po’ mi aveva fatto sperare. Un po’ mi commuovo, è la prima volta che li vedo dal vivo, con almeno quindici anni di ritardo da quando avrei dovuto vederli. Stuart è abbronzato e voglia di ballare, Sarah è dimagrita, Stevie cerca di sembrare un chitarrista scozzese di qualche decennio fa, insomma tutti in crisi post-quaranta come me. Poi fanno ‘Stars of Track and Field’, con immagini delle Olimpiadi di Helsinki del 1952, ‘Electronic Renaissance’ e chiudono con Judy and The Dream of Horses’. Il resto della serata è un po’ confuso, giro, mangio un paio di volte, bevo qualche cocktail, contemplo le ombre che si allungano nei lunghissimi tramonti estivi, vado a vedere i Kesä, giovani hardcorers passati al post-punk. I Pet Shop Boys hanno sicuramente lo show più festivaliero del festival. Cambiano costume, hanno video d’effetto e ballerini e sparano i coriandoli. Hanno anche un repertorio di hits da invidiare. ‘Dancing to The Rites of Spring’ è introdotta da Le Sacre du Printemps (ma va?) con i ballerini agghindati come nell’originale. Neil Tennant ha la voce immutata nei decenni. Poi ci sono i Future Islands, che, probabilmente non esisterebbero senza i Pet Shop Boys.
La domenica arrivo in tempo al Tiivistämö (una sala chiusa che ricorda un centro sociale occupato di una qualche cittadina olandese) per i Maaseudun Tulevaisuus, un gruppo della campagna finnica dei primi anni ottanta, che suona pezzi composti dai due generi musicali più diffusi nella campagna finnica degli anni ottanta, cioè hardcore punk e rockabilly. Poi esco, faccio un giro, vedo Beck che ormai è classic rock, ‘Devil’s Haircut’ sembra un riff dei Led Zeppelin.
Torno al Tiivistämö per Musta Paraati, un vecchio gruppo dark / gotico della Helsinki degli anni Ottanta, che offre un set fantastico. Se solo fossero nati a Düsseldorf. Poi vedo Cityman, un gruppo electropop con membri di Circle e K-X-P se non ho capito male; sono un paninaro e uno che sembra il gigante di Harry Potter, poi esco, mangio qualcosa, mi guardo in giro, vado a vedere Flying Lotus per un po’.
Ci sono un sacco di afterparty in giro, ma non conosco nessuno che sia così cool da andarci o imbucarmi e poi sono troppo vecchio e non ho mai capito veramente l’hip-hop. Quindi vado a casa. In bicicletta.
Il Flow Festival 2016 si svolgerà dal 12 al 14 Agosto.
Giacomo Bottà
(da La Rondine, 23 agosto 2015)