Nessun'altra pianta contiene una ricchezza multiforme di benefici come la canapa. Per questa ragione ne ho seminato un ettaro sulla mia collina umbra, nella zona di Città di Castello. Si tratta della specie cannabis sativa, legalmente coltivabile (nonostante, ancora, varie e invasive complicazioni burocratiche), diversa da quella indica, finalizzata a ottenere hashish e marijuana. Dopo 120 giorni la piantagione è lussureggiante.
Pochi ricordano che fino alla fine degli anni '50 l'Italia era il primo produttore europeo di canapa e il secondo su scala mondiale. L'avvento delle fibre sintetiche e, insieme, del proibizionismo ne ha determinato la scomparsa. Ora c'è una ripresa, grazie al lavoro di Assocanapa, l'associazione nazionale dei canapicoltori, che la ripropone come interessante risorsa agroalimentare e industriale, e a riviste come Onair, che svolge una intelligente opera di divulgazione culturale e scientifica. Nel 2014 nel nostro paese ne sono stati coltivati mille ettari, in espansione quest'anno.
Uno scrigno di benefici, dicevo. Partiamo dalla pianta: fissa al suolo l'azoto dell'aria, arricchendo il terreno, in pratica si autofertilizza; la sua radice a fittone (capace di giungere a una profondità di 80-90 cm) le consente di resistere alla siccità senza irrigazioni, mentre il mais, per esempio, richiede una caterva d'acqua; con il suo rigoglio è il più efficace diserbante naturale, indebolisce e dissecca le piante infestanti (dunque niente fitofarmaci e pesticidi); a parità di superficie fogliare, supera gli alberi nell'assorbimento di anidride carbonica (che aspettiamo a piantarla nei parchi e nei giardini delle città?).
Ce n'è quanto basta per inchinarsi a sua maestà... la canapa. Il bello, invece, viene ora. I suoi semi decorticati, oltre a essere gustosissimi (un gradevole sapore fra il pinolo, il pistacchio e la nocciola) contengono, più del pesce, gli omega 3 e gli omega 6. Questi ormai famosi acidi grassi polinsaturi sono fondamentali per proteggere le membrane delle nostre cellule, a partire da quelle cerebrali, e particolarmente efficaci – come l'olio e la farina che si estraggono dai semi – per prevenire complicazioni cardiovascolari (infarti, ictus, trombosi in primis), ridurre il colesterolo cattivo e aumentare quello buono, prevenire e curare il diabete, l'artrite reumatoide e mille altre rogne corporee.
Per di più gli omega 3 e 6 rafforzano le difese immunitarie, favoriscono la vitalità cellulare del sistema nervoso centrale, con funzioni antidepressive, e ritardano o inibiscono l'arteriosclerosi. Con le fibre dei fusti di canapa, inoltre, si ottengono indumenti (persino scarpe) confortevoli e resistenti e si produce carta, di pregio incomparabile rispetto a quella derivante da cellulosa arborea ( la costituzione degli Stati Uniti è scritta su carta di canapa).
Per non parlare degli usi nella bioedilizia: i mattoni composti con canapa sono solidissimi e leggeri, isolanti termici e persino antimuffa. Si capisce allora come l'equazione canapa=sballo=proibizione, fin qui trionfante, non regga più. Bisogna liberalizzare al più presto (buone, al riguardo, le 228 firme di parlamentari) e togliere il business dalle mani della criminalità organizzata. È arrivato il tempo di ridare a sua maestà... la canapa il ruolo strategico che le compete, di risorsa-regina in campo agroalimentare, medico, tessile, edilizio ecc. Un valido aiuto perché l'Italia torni a competere in modo virtuoso nel mondo.
Mario Capanna
(da L'Huffington Post, 27 luglio 2015)