I Valtellinesi e i Valchiavennaschi nella Roma del Settecento, l'ultima fatica storico-letteraria di Antonio Corti è un piccolo gioiello (piccolo si fa per dire: si tratta di un libro di 574 pagine). Mi si perdoni l'enfasi della definizione, ma devo dire che per me, leggendo il libro, la fatica maggiore è stata quella di dovermi staccare ogni tanto dalle avvincenti pagine di questo affresco storico. Per portare a compimento l'opera l'autore ha lavorato sodo. Ha svolto ricerche nei più importanti archivi e nelle maggiori biblioteche di Roma e della Valtellina con metodo e tenacia veramente ammirevoli. Ne è uscito un testo organico e documentato, l'ultimo di una importante serie di lavori realizzati da Antonio Corti in anni di fatiche: Valtellinesi nella Roma del Cinquecento (Sondrio, 1994), I Valtellinesi nella Roma del Seicento (parte I, Sondrio 2000), La Roma dei Valtellinesi nel Seicento (parte II, Sondrio 2004). Tutti libri che offrono ai lettori valtellinesi la possibilità di conoscere, si vorrebbe dire quasi dal vivo, una parte importante del loro passato. È bene ricordare che tali lavori si aggiungono ad altri di questo scrittore nato a Delebio e vissuto per decenni a Roma, autore tra l'altro di importanti soggetti cinematografici che, se hanno arricchito registi e produttori di Cinecittà, non hanno certamente arricchito lui, votato allo studio, all'arte e alla generosità.
Antonio Corti è un personaggio singolare. Dotato di una vasta cultura e di una ferrea memoria, appare a volte, sia quando parla che quando scrive, un archivio vivente. Nulla gli sfugge, nulla dimentica. Orfano fin da bambino, ha vissuto una vita faticosa e difficile, senza però mai abbattersi, senza mai smettere di coltivare i suoi interessi artistici e culturali.
Ma torniamo al libro. Un aspetto che mi preme sottolineare, al di là dell'interesse specifico che un valtellinese può avere per la storia dei suoi antenati, è quello del valore storico complessivo dell'opera. Corti non si limita al racconto dell'emigrazione dalle nostre valli a Roma o alla descrizione dei vari personaggi e delle loro peripezie, né si accontenta di una aneddottica varia e suggestiva (che pure non manca): da studioso serio inquadra il tutto in un contesto di storia italiana e romana descritto con competenza e partecipazione. Com'era la Roma del Settecento? Com'era la sua popolazione? Come viveva? Quali erano gli aspetti sociali ed economici più rilevanti? E i papi, come governavano i loro territori? Cosa dicevano di Roma i viaggiatori stranieri del tempo? Queste sono soltanto alcune delle domande che l'autore si pone e alle quali dà esauriente risposta. Non solo le vicende dei Valtellinesi e dei Valchiavennaschi dunque, che pure costituiscono ovviamente il tema centrale, ma anche la situazione e i problemi della città dei papi e di gran parte dell'Italia di quel tempo. Anche il racconto del viaggio dei nostri antenati dalla Valtellina a Roma costituisce il motivo per un affresco storico degli Stati che venivano attraversati, con le loro strade, le dogane, i balzelli, i controlli sanitari (che tuttavia non servivano a liberare i poveri viaggiatori dalle pulci, dai pidocchi e dalle epidemie). La descrizione del percorso, fatta con geografica precisione, rende conto delle difficoltà di un viaggio a piedi di circa quaranta giorni tra montagne e colline, pianure e paludi, malattie e briganti. E infine l'arrivo a Roma e l'entrata nella città attraverso una delle sue grandi porte. Possiamo immaginare la meraviglia dei nostri antenati partiti da piccole contrade nascoste nelle valli o disperse sui fianchi delle montagne nel vedere le grandi chiese di Roma, le cupole, gli imponenti palazzi rinascimentali e barocchi. Ma tali edifici, come ci ricorda l'autore, erano circondati da una infinità di poverissime case, per non dire catapecchie, nelle quali viveva un popolino per lo più intento all'arte della sopravvivenza, fra povertà e incendi, epidemie e alluvioni. Tra le mura della città non mancavano terreni adibiti a orti, a campi e a vigneti. Attorno alle chiese barocche e alle cupole si stendevano poderi coltivati e prati dove pascolava il bestiame. Le piazze e le strade si presentavano ancora prive di targhe con il nome e la numerazione (almeno fino a metà Settecento).
I Valtellinesi e i Valchiavennaschi arrivavano, generazione dopo generazione, in questa città straordinaria, piena di bellezze e di brutture come ce la descrivono i visitatori del tempo, tuttavia non affatto priva di opportunità per gente laboriosa e tenace come loro. Col pensiero sempre volto al paese natio, essi lavoravano duramente facendosi apprezzare per onestà, operosità e spirito di sacrificio. Nei diversi rioni in cui era divisa la città trovavano lavoro come facchini e muratori, orzaroli e carrettieri, scaricatori di barche e servitori. Ma non mancavano mercanti, osti e doganieri. L'elenco delle professioni esercitate, puntualmente riportato, è quanto mai vario e vasto.
Partendo dall'insediamento di valtellinesi sulle sponde del Tevere, l'autore non dimentica l'importanza che il fiume ha avuto, fin dalla notte dei tempi, nella storia di Roma. Nelle sue pagine il grande corso d'acqua diventa per così dire un personaggio vivo, con i suoi ponti, i porti, i mulini, i borghi sorti sulle sue rive (uno per tutti: Trastevere, un borgo fondamentale per la storia dei Valtellinesi emigrati a Roma), le piene e le inondazioni. Ma mi rendo conto che questa specie di riassunto che sto facendo non è altro che un sommario lacunoso e forse anche stucchevole. Molto meglio dunque leggere il libro di Antonio Corti, fra l'altro corredato di splendide illustrazioni, tavole esplicative, riproduzioni di documenti e di incisioni, vedute di chiese e di monumenti, di piazze e di fontane, ecc. Né poteva mancare la riproduzione di antiche piante della città, quanto mai utili a meglio comprendere la situazione urbanistica della Roma settecentesca.
Diverse pagine sono riservate all'elenco dei nostri antenati emigrati nella città eterna. Vi sono riportati nome e cognome, eventuale coniuge, professione, paese di provenienza, ecc. Per chi ha curiosità storica c'è di che soddisfarsi. Ma ci sono tanti altri aspetti che meritano di essere ricordati e che a loro volta offrono all'autore lo spunto per altri approfondimenti e altre considerazioni. Mi limito a ricordare il discorso relativo all'Arciconfraternita di San Carlo al Corso, un'istituzione che ha rappresentato nei secoli il primo e più importante punto di riferimento per i nostri avi che arrivavano a Roma. E anche qui l'autore riporta documenti storici quanto mai interessanti che, come in tutto il volume, non appesantiscono affatto il discorso: il linguaggio si mantiene scorrevole e brillante, impreziosito ogni tanto da un garbato filo di ironia.
Veramente un bel lavoro, quello del nostro scrittore di Delebio. Per chiudere vorrei ricordare che un libro come questo, insieme agli altri della serie, non poteva che scriverlo uno studioso come Antonio Corti, un valtellinese che conosce e ama profondamente la sua terra, la sua gente e la sua storia.
Gino Songini
(da 'l Gazetin, luglio-agosto 2015)