Giuseppe Bagnato, con i suoi due romanzi Moira e Ozz, costituisce un caso eccezionale nel panorama della letteratura italiana. E anche un caso paradigmatico oltre che molto importante dal punto di vista dell’impatto socio-culturale. In tutti questi romanzi, infatti – e in quelli di prossima uscita «Caino», «Maria» e «Il giardiniere ribelle» – il giovane scrittore di Varapodio imbastisce una vera e propria commedia dell’arte attraverso l’uso di connotazioni e peculiarità tipiche della beat generation americana. Ma in generale attraverso l’utilizzo di elementi tipici di ogni letteratura di sovversione e di messa in discussione dello status quo dal quale chi è chiamato al lavoro del pensiero si è trovato a partire. Bagnato è un ribelle. Ed è un ribelle meridiano. Infatti egli non è solamente un illustre rappresentante del catalogo della meritoria casa editrice Disoblio: egli nella vita è anche un (oppure: fa anche il) contadino. Cioè è un esponente della tipica categoria sociale che ha caratterizzato il Mezzogiorno di Italia fino agli albori della cosiddetta età industriale – che pure ha raggiunto il Sud soltanto di rimbalzo e per così dire di seconda mano.
Bagnato è un contadino, vive e lavora a Varapodio e scrive romanzi. Proprio come si diceva di Charles Bukowski: egli è un ubriacone, è vero, ma è un ubriacone che scrive romanzi. Oppure del regista Tinto Brass definito il più erotomane dei registi ma anche il più regista degli erotomani. Bagnato possiede questa particolarissima identificazione: egli scrive. E scrive molto bene. Partendo dal Sud, e vivendo egli stesso – sulla propria pelle (in quanto contadino) – il Sud, Giuseppe Bagnato propone una sorta di sobillamento nei riguardi di tutte quelle fastidiosissime note che hanno reso il Sud tale. La chiusura e la grettezza della vita di paese, la mentalità sempre antiquata e arretrata, la mancanza di prospettive, l’assenza di un concreto e fattibile progetto di vita.
Giuseppe Bagnato è un ribelle e vivendo e operando (scrivendo) al Sud: è un ribelle meridiano. Perché tutta la narrativa di questo ragazzo prodigio della letteratura è intrisa di elementi meridionalistici e di rimandi alla vita «con le tendine» (Nanni Moretti nel film Caro diario… parlava della vita di Amsterdam come di una vita «senza tendine» per questo si può parafrasare per il Meridione questa connotazione rendendola la sua esatta opposta) della Calabria che gli è toccata in sorte di conoscere e di frequentare. Bagnato è un ribelle meridiano: ribelle perché si oppone a tutto quello che di sbagliato vede attorno a sé, meridiano perché il suo universo è quello tipico di un certo mondo chiuso e opprimente il quale caratterizza da sempre l’esistenza agropastorale ma anche piccolo borghese (e borghese tout court) delle città del Sud. Inoltre Bagnato attraverso diversi segni letterari caratterizza la sua filiazione a tutto quel filone contestatore ed eversivo del quale fanno parte tanto la beat generation che i poeti maledetti francesi che, tanto per fare un esempio interessante, Il giovane Holden di Salinger.
Ma perché scrive Bagnato? Perché il contadino di Varapodio un giorno ha deciso di prendere la penna in mano? Perché ci racconta storie di follia, di droga, di ribellione? A mio giudizio egli lo fa perché la sua dimensione più propria è quella politica. Bagnato vuole cambiare le cose. Bagnato sa perfettamente che denunciando tutto quello che vede di marcio del Meridione può dare il suo contributo al cambiamento della situazione di vita che si trova davanti: Bagnato è un ribelle meridiano ed è uno scrittore politico. Inoltre pur avendo egli scritto esclusivamente dei romanzi, Bagnato non è propriamente un romanziere. Egli è piuttosto uno scrittore. Il suo uso della penna è da affabulatore e narratore e non da mero descrittore di storie, azioni e magari paesaggi. Bagnato è un ribelle meridiano ed è uno scrittore politico. La sua importanza nel panorama attuale della letteratura italiana è capitale. Infatti egli porta e produce il punto di vista di un tentativo di via d’uscita rispetto ai mali del Sud. Un tentativo che egli gioca in una duplice guisa: attraverso la scrittura come prima cosa e attraverso il concetto di un realismo meridiano che dovrebbe condurre alla rottura con le tradizioni del passato e alla ribellione rispetto a schemi, stili di vita, comportamenti stereotipati e retaggi di antiche scorie del passato che tutti quanti noi meridionali portiamo ancora dietro.
Il 5 giugno del 2015 presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, io, Salvatore Bellantone e Santino Cundari abbiamo fondato una corrente filosofica che si chiama appunto realismo meridiano. Con essa ci siamo proposti di superare le secche del postmodernismo per addentrarci verso un tipo di riflessione più aderente alla realtà dei fatti, più rispettosa di quello che succede veramente, più libera da inutili tecnicismi e astrazioni. Giuseppe Bagnato si apparenta dunque alla nostra corrente – lanciata con il volume Realismo meridiano edito ancora una volta dalla «Disoblio» e curato da me – e ne rappresenta quasi la bocca di fuoco, l’elemento contundente, l’ariete che sfonda le roccaforti della conservazione.
Giuseppe Bagnato, in quanto ribelle meridiano e scrittore fortemente politico, è quello che apre una breccia. Sgretola un muro. Colpisce a fondo il conformismo e l’omologazione. Salutiamo così l’affermazione letteraria di un vero ribelle. Un rivoluzionario non «di passaggio» come quello di Paco Ignatio Taibo II, ma stabilmente integrato e inserito dentro i problemi del Meridione. Che Bagnato vuole spazzare via. Con la forza della scrittura e della sua vanga da contadino incazzato.
Gianfranco Cordì