‘Esplora’ mi ha stuzzicato col suo nome, in margine a “La valenza archeologica del nome TEL LUS”. Io lo prendo sul serio. Ovvero, vedo Enea come l’esploratore che io mi figuro di essere.
Un esploratore linguistico.
La recente scoperta archeologica della tomba di Alessandro Magno, il macedone, mi stimola ad esplorare la memoria per ricomporla: separiamo le cose per sistemarle in altri cassetti in un ordine nuovo.
La tomba (foto Agor@ magazine) è stata scoperta ad Anfipoli (Cfr. Wikipedia). Può essere del grande o non. Serviranno altre verifiche, credo.
La Macedonia moderna (Cfr. Wikipedia), lontana da Anfipoli, viene negata dalla Grecia moderna, che si ritiene l’unica discendente del grande macedone, e la Grecia di Tsipras è, allo stato, la derelitta d’Europa. Noi dobbiamo riconoscere alla Grecia la nostra libertà di pensiero individuale, ottenuta anche inventando la filosofia. Filo-sophia è ‘amore per la conoscenza’. Ma è stata ottenuta nelle città greche attraverso una crasi tra l’amore per gli dèi, relegati nei misteri eleusini (Sophia = seme d’amore della Luna < sum.accado luna ZU/SU amore phi seme –a, hp.), che avrebbero fatto nascere prima –forse- la teonomasiologia (studio comparato dei nomi degli dèi), e gli spettacoli teatrali pubblici delle tragedie che davano la dimensione laica della vita.
La storia non si fa con i se, ma Il tempo continuo della storia (Laterza, Roma-Bari 2014) abbozzato da Jacques Le Goff, il medievalista venuto meno l’1 aprile 2014, si costruisce proprio così: ripensando i momenti di consapevolezza per attribuirli al tempo preciso del loro emergere (l’Europa non esisteva come dimensione consapevole diffusa ai tempi di Carlo Magno; oggi potrebbe riconoscere il senso sumero di e.uro.pa, ‘territorio della casa dell’uro’, oltre la fanciulla fenicia, a cavallo del toro zeus, che la rapì. Sarebbe uno svelamento del toro selvaggio nord-europeo, che sembra possederla dilaniandola).
Lo zodiaco divorziò in Grecia-Ellas dalla Luna [Zoe restò ‘vita’ in gr. (Cfr. Wikipedia)]. ZU.DI.A.KUN è l’espressione sumera che unisce la signora luna ([EN] ZU) divinità (DI) seme (A) coda (KUN), ed era padrona della vita-morte.
La coda dello zodiaco può essere dello Scorpione, gir.tab.
Ho fatto questa lunga digressione per introdurre il tema ‘Sei forse sorella di Febo?’, An Phoebi soror?, una domanda ambigua che meriterebbe la risposta corretta, dopo più di 2000 anni: no!
Siamo nell’Eneide di Publius Vergilius Maro, al verso 329 del I libro, quando l’eroe troiano si rivolge alla madre non riconoscendola:
Sic Veneris et Veneris contra sic filius orsus:
- Nulla tuarum audita mihi neque visa sororum,
o… quam te memorem, virgo? Namque haut tibi voltus
mortalis nec vox hominem sonat; o dea, certe,
an Phoebi soror? an nympharum sanguinis una?
Luca Canali ha tradotto:
Così Venere; e il figlio di Venere comincia:
- Non ho visto né udito nessuna delle tue sorelle, o…
come chiamarti, fanciulla? Infatti non hai
volto mortale, e la voce non suona umana: o dea,
certo; forse sorella di Febo? o una delle ninfe?
Il cognomen Maro rinvia al sum. ma.ru, ‘generazione. sacro’; il sumero era una lingua conosciuta dagli Hurriti -gli Etruschi anatolici-, che io ho cominciato a conoscere con Mirjo Salvini (a cura di), La civiltà dei Hurriti, Macchiaroli, Napoli 2000.
A proposito, noi, Tellusfolio, ci conoscemmo nel 2006, grazie ad una mia lettera dedicata al papa Benedetto XVI, che aveva posto il problema del linguaggio nella sua enciclica Deus caritas est. Aveva citato Virgilio: «-Omnia vicit amor-, afferma Virgilio nelle Bucoliche -l’amore vince tutto- e aggiunge: -et nos cedamus amori- cediamo anche noi all’amore». (: 12).
Io voglio tanto bene al papa oggi emerito, perché è stato capace di separarsi dal potere assoluto con le dimissioni. Il problema di linguaggio potrebbe tradurre l’aggettivo eme-ri-tu direttamente dal sumero: ‘vento (tu) cammino (ri) della lingua (eme)’. Adesso, che è diventato il nonno nel Vaticano, ha tempo per correggere l’errore della citazione tratta dal sacerdote etrusco proteiforme, che credeva in: noi cediamo all’amore infernale di Venere, purtroppo.
Nelle Bucoliche (VIII, v. 43-45):
Ora so che cosa sia Amore; tra aspri
macigni il Tmaro o il Rodope o i remoti Garamanti ti generarono
fanciullo non della nostra razza e del nostro sangue.
Io posso sottolineare che il sacerdote etrusco denunciava la razza romana, riteneva Venere sorella dell’Erebo, l’inferno, opposto al puro Pho.e.bu, conoscenza (bu) della casa (e) del Cielo (ub).
Ma, ci potremmo meditare ancora su, in seguito!
Carlo Forin