Una donna si copre le orecchie, una ragazzina si permette di piangere. Sulle tappezzerie pensieri leggeri e donne giovani in posa e loro su quelle stesse pareti a pensarsi oltre il muro. Una sigaretta fuma. Un Che Guevara dell’Est a braccia conserte, alte, basse e poi abbandonate in un sorriso. Palazzi crollati, cassetti svuotati per terra con un’anziana che pensa a come riordinare la sua casa, la sua vita dopo la guerra. Alberi scheletrici. La ferita sulla schiena di una persona, come sui muri crepati delle costruzioni di un paese. Bambini e ragazzi di età media che non stanno giocando. Visi ruvidi, rumeni, russi, africani, ucraini e russi induriti dalla loro realtà. Ci sono armi vere, intenzioni vere, e sono tutte guerre vere. Lontane, e troppo vicine.
Andy Rocchelli. Si è addentrato in molte realtà, stando fuori dalla festa dell’estate, entrando negli inverni di molti popoli.
Venire qui alla mostra a lui intitolata STORIES, allestita nel cortile del Broletto di Pavia dal 4 giugno al 4 luglio - e che si conta che girerà i cortili di molti paesi, è stato un avvicinarsi a lui, a quello che i suoi occhi avevano sbirciato. Anche per noi. Allestita da CesuraLab, il gruppo indipendente di fotoreporter di cui lo stesso ha fatto parte, ci ha svelato situazioni incomprensibili, inaccettabili, inimmaginabili. Non ignorabili, però.
Tra i sassolini all’aperto, alle intemperie, sostenute da cornici di ferro, in bianco e nero, accese dal fuoco nella notte, sporche di terra, ingigantite, allontanate, con scarne descrizioni, le sue foto. I suoi scatti. Cento scatti. E un video, al riparo. Tante vite, che potevano essere la nostra. Che potrebbero diventare la nostra.
Le immagini scorrono come i giorni del mondo, che gira i mesi del suo calendario dimenticando certi vissuti. Ripetendoli, ahimè!
In posizione di ballo. Sparando: un’arresa o un attacco, quale la mossa? Il fumo s’alza con la terra, le nuvole, la vista al confine e lo sparo appena avvenuto. Le coperte mischiate ai cartoni e ai corpi, che cercano un cielo da cui proteggersi. Plastiche. Eternit. Rifiuti. Fiori bruciati. Fiori che non nasceranno mai. Tristezze. Buio e freddo, e siamo in piena estate qui a vedere questo allestimento.
I rifugiati libici in Tunisia e la primavera araba. Gli immigrati Tagiki di Mosca che vivono in lamiere ed immondizia. In Calabria la raccolta degli agrumi nelle baraccopoli di San Ferdinando a Rosarno. L’inverno 2013-2014 con la popolazione civile che si è riunita in piazza Maidaskiw, per la dimissione del Presidente V. F. Yanklovilli. Kyrgyzstan e quello che rimane delle abitazioni distrutte, con il conflitto tra Uzbeki e Kirghisi. Il ritratto delle donne russe alla ricerca di un marito europeo. La vita dei giovani seminaristi con i loro travagli. Scena di matrimonio caucasico. Il sogno è finito?
Visi appoggiati all’argilla, alla terra. Quasi a rientrare prima del tempo in essa. Vestiti occidentali a strati, che non fanno il monaco, ma servono solo come stoffe. Abiti etnici, consumati. Spazi infiniti attraversati da gip di militari di ribelli, e agguati. Quasi in diretta. Robert Capa è stato qui. Sguardi maschili nella sopravvivenza, che raramente guardano nell’obiettivo del fotografo, più spesso mostrano un viso perso, e un’anima introvabile. Scudi, pistole, elmetti, militari, forse invasati. E chi difende la sua libertà, perdendola.
La mano dell’autore ci apre il nostro personale obiettivo, sempre troppo ristretto, sempre troppo diretto noi stessi, sempre troppo limitato.
Ho letto storie in queste fotografie di Andy Rocchelli, e con cautela ho viaggiato in terre martoriate che mi rendono più comprensibile la necessità di una revisione politica, mondiale. E personale.
Barbarah Guglielmana