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Iván García. A Cuba non si mangia per vivere, si vive per mangiare
(EFE)
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16 Luglio 2015
   

Juliana, 73 anni, casalinga, dedica gran parte del suo tempo a faccende che hanno a che fare con l’alimentazione della sua famiglia. “Perdo otto ore a lavare riso, setacciare fagioli, che sono sempre molto sporchi, comprare il pane, andare su e giù per i mercatini rionali, le macellerie e le botteghe per vedere cosa è arrivato e preparare il pranzo e la cena”, ha fatto notare mentre preparava un minestrone di fagioli neri.

Il profilo di Juliana e dei suoi non corrisponde allo standard nazionale: a casa sua ancora si fa colazione, si pranza e si cena. “Le mie figlie hanno dei buoni stipendi e ricevo dollari da parte di parenti negli Stati Uniti, che si impegnano per farci mangiare nel miglior modo possibile”.

A Cuba si vive per mangiare. L'acquisto di cibo divora il 90 per cento dello stipendio. “E non basta. Se non spendo tutto il mio stipendio per la jama (il cibo) è perché devo pagare luce, acqua e gas”, ha puntualizzato Reinier, operaio.

Lo stipendio medio sull'isola si aggira intorno ai 23 dollari. A prezzi sovvenzionati, mensilmente lo Stato vende attraverso la tessera di razionamento un piccolo cesto basilare consistente in 7 libbre di riso, 3 libbre di zucchero bianco e 2 di zucchero grezzo, 20 once di fagioli, una libbra di pollo e mezzo chilo di carne macinata alla soia. La quota pro capite non supera i 20 pesos(meno di un dollaro). Inoltre, ogni persona ha diritto a un panino giornaliero di 80 grammi a 5 centesimi.

Questa razione non basta per più di dieci giorni. Il resto del mese è quando inizia il bello. La grande tragedia del cubano è la questione del cibo. Nemmeno se hai i soldi trovi ciò che vuoi. Né nei negozi con valuta né al mercato nero. Il problema dell’alimentazione è super stressante”, ha commentato un medico dell’Avana.

Negli ambulatori degli ospedali, in cambio di una visita accurata, è abitudine fare dei regali ai medici. “I pazienti sono soliti darci cose da mangiare. Sandwich con prosciutto e formaggio, cosce di pollo o una zampa di maiale. Grazie a questi regali molti di noi medici conduciamo una vita più agiata”.

 

Crescita misteriosa

 

Il grande dibattito a Cuba è capire quando sulla tavola dei cubani si presenterà la tanto decantata crescita macroeconomica. Da 15 anni, secondo il regime, il PIL sta crescendo a dismisura.

Questo incremento però non porta a un abbassamento dei prezzi degli alimenti né all'aumento della produzione. Se si controllano gli indicatori di produzione della carne, avicola, peschiera e agricola e zootecnica, la crescita è irrisoria. E in molti casi ci sono stati addirittura dei recessi.

La vecchia industria zuccheriera mondiale produce meno di due milioni di tonnellate di zucchero. Il latte vaccino è un lusso, così come la carne bovina, il pesce e i frutti di mare.

Frutti come la guanábana, la chirimoya, l'annona o l'arancia sono un ricordo lontano per il palato del cubano. Dietro alla lieve crescita della quantità di alcuni legumi e ortaggi, si nasconde un'abile manipolazione. Il governo vende fumo.

In nessun settore alimentare la crescita raggiunge le scorte del 1989. Un tempo in cui pure c'era penuria, ma la produzione di pane, latte, uova o patate compensava la domanda.

Adesso no. Dice un detto che, prima che incominci il telegiornale, le persone mettono delle cassette sotto il televisore, per raccogliere la frutta, la verdura e la carne che crescono solo nel raccolto dei mezzi ufficiali.

Una famiglia media a Cuba prepara un solo pasto caldo al giorno. “A pranzo si riscaldano gli avanzi della sera precedente. La domenica, in genere, si prepara una buon pranzo, con carne di maiale o pollo, e la sera si mangia qualcosa di leggero. Dal lunedì al sabato il menù abituale è riso bianco o congrí, uova in ogni sua variante e insalata di cetrioli, cavoli, avocado o pomodori”, dice Regla, insegnante che a casa sua cucina per il marito e i suoi due figli.

A meno che non ci siano visite, per non dover lavare troppo, tutto il pasto viene servito nello stesso piatto. La porzione maggiore è quella di riso. Qualcuno non mangia più a tavola. Ma guardando la televisione.

I prezzi nei negozi in valuta forte sono da far paura. Un chilo di formaggio bianco di produzione nazionale costa 3,75 cuc, che equivale a 3,75 dello stipendio medio di 23 dollari al mese.

Anche il prosciutto supera gli 8 cuc e mezzo chilo di bistecca di manzo si aggira intorno ai 10 cuc. Un vassoio con un chilo di cosce di pollo costa 2,40 cuc. Una scatoletta di tonno da 8,90 milligrammi e un litro di olio, 2,10 cuc.

Nei mercatini rionali è possibile comprare con i pesos cubani. Ma l’inflazione inghiotte anche la moneta nazionale. Una libbra di bistecca di maiale 45 pesos, che equivale al 9,55% dello stipendio medio statale di 471 pesos.

Una libbra di fagioli neri costa 12 pesos e 14 pesos una di fagioli rossi. I ceci sono ancora più cari: tra 18 e 20 pesos alla libbra. Una libbra di pomodori, 15 pesos. Un avocado, 10. Un libbra di mango, da 5 a 6 pesos, e una libbra di arachidi, 16 pesos.

Una volta alla settimana vado al mercato rionale e faccio una spesa per casa mia. Spendo circa 1,200 pesos (55 dollari) e mi basta per quattro o cinque giorni. Sulla strada che percorriamo, in ogni momento ci mangiamo il denaro”, ha spiegato Gerardo, lavoratore indipendente.

Le persone povere, che sono la maggior parte, o quelle che guadagnano poco e che non hanno alcun famigliare sull’altra sponda, si alimentano poco e male. “Il mio piatto forte sono le crocchette di averigua (pollo secondo il Governo), salsicce vendute a 1,10 cuc al pacchetto o uova, il piatto nazionale per eccellenza”, ha commentato Carmen, pensionata.

Quelli con le tasche piene si alimentano meglio. Fanno compere in valuta forte e al mercato nero o ‘sotterraneo’ acquistano frutti di mare, pesce fresco o carne di manzo. Tutti però, con più o meno denaro, destinano i loro guadagni all’alimentazione. A Cuba non si mangia per vivere, si vive per mangiare.

 

Iván García

(da Diario Las Americas, 7 luglio 2015)

Traduzione di Silvia Bertoli


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