Per Olov Enquist
Il libro delle parabole
un romanzo d’amore
trad. Katia De Marco
Iperborea, 2014, pp. 256, € 15,50
C’è una donna che vorrebbe che lui scrivesse un romanzo d’amore. Ha avuto una parte importante nella sua vita. Lui dice che non è capace. Eppure ha conosciuto l’essenza dell’amore fin da bambino: “Quando ero bambino, ho imparato che malgrado tutto esiste un tipo di poesia che non è peccato. Erano le parabole della Bibbia. Le poesie sul miracolo. Cinque pani e due pesci, e con ciò sfamare cinquemila persone. Era una poesia sull’essenza dell’amore: cresce, se lo si divide con altri?”
Queste nove storie – parabole, come Enquist le chiama – ruotano intorno all’amore. Amore per un padre non conosciuto di cui si cercano disperatamente le tracce anche nelle pagine strappate di un taccuino, amore negato che porta alla pazzia, amore violento, amore cieco e fanatico per una fede che rende schiavi, amore per la libertà di pensiero che fa andare controcorrente, anche se dà scandalo.
Ma soprattutto un amore fisico che è stato un’iniziazione, una sconvolgente formazione – lui quindici anni, cresciuto con un castrante senso del peccato, lei cinquantuno – che ha svelato il miracolo della “stanza intima”, una forma di illuminazione pienamente terrena. La donna “sul pavimento senza nodi” incontrata in un giorno caldo da un adolescente, diventa il fulcro, lo snodo di tutte le parabole: “non avrebbe mai immaginato che quei due centimetri infilati nel senso della vita potessero essere così indescrivibili”. Annunciata in modo prolettico, è rimando continuo e pietra di paragone a livello emotivo profondo, ricercata da un adulto con pudore e riconoscenza perché riceva ancora il suo grazie: “un grande grazie a te”.
Enquist (1934), tra i maggiori scrittori e intellettuali svedesi, racconta in modo spezzato, attingendo molto dalla sua vita, facendo emergere brandelli di ricordi, con pause e aperture, affabulatore contorto che affascina e trascina. È una società chiusa, ligia ad una forma di radicalismo religioso, quella che lui rappresenta, una comunità che si pone l’obiettivo della salvezza attraverso le pratiche, con una fede in nome della quale si condanna, si decide, si fanno vittime. L’alcool è una via di uscita, una soluzione a buon prezzo, ma anche malattia e distruzione; la pazzia che sta sempre in agguato è una forma di riconquista della libertà individuale.
Il reale e l’immaginario si incontrano e si sovrappongono, del resto “la forza dell’immaginazione, muscolo portentoso” può diventare salvezza. E non si riconoscono neppure i confini del sogno.
La precarietà della vita è una componente di tutte le parabole, ne sono simbolo gli amici vecchi sulla sponda del fiume – alberi che mormorano ed invitano ad andare – che attendono di passare sull’altra sponda.
Un canto di ragazza inneggia all’amore: “Affrettati amore, affrettati ad amare, di ora in ora si accorcian le giornate. Accendi le candele, è quasi notte, finirà presto la fiorita estate”. E intanto che si recuperano i brandelli del passato avanza un’ambulanza a sirena spiegata per portare un uomo in ospedale.
Marisa Cecchetti