In questa mia idea di mettere insieme, approfittando del 70°, un abbozzo di bibliografia ragionata, con la mira politica e culturale di non ammettere che si spenga per i prossimi dieci anni quella fiammella tenace di memoria, che si è riaccesa nel 2015; e dato che fra 10 anni di noi ancora vivi/e resterà magari memoria, ma non vivente (sia pure senza voler mettere limiti alla Provvidenza), in questa idea dunque, si colloca subito e in primo piano e con giusto rilievo il lavoro citato. E indicato in quarta di copertina come “la prima storia della Resistenza nonviolenta in italia”, non senza ragioni.
In prima di copertina campeggia una foto di donna con un bimbo in braccio e uno sguardo insieme determinato e dubbioso, tipo “io spero che ce la faccio”, dato che ce la debbo fare, a fianco un'altra donna che guarda avanti a sé ad occhi ben aperti e sullo sfondo rovine, un uomo in divisa vagamente militare, un casolare malmesso, leggo poi che è situata sul Lago Maggiore, vicino a dove sono nata, e mi fa subito ricordare, con la vivacità dell'immagine vera, ciò che spesso ho detto e scritto sul diverso sguardo con il quale uomini e donne per lo più guardano la storia mentre avviene: infatti dei militari avrebbero subito mandato una ruspa, che avrebbe finito di distruggere quel poco ancora in piedi, mentre una semplice casalinga raccoglie da terra una latta da conserva di pomodoro un po' ammaccata, ma che riempita d'acqua può servire per far cuocere qualcosa su un fuoco anche improvvisato, oppure mettere a bagno delle verdure raccolte a caso nelle aiuole bombardate, perché non appassiscano. Sicché ne ho poi dedotto, anni dopo, che esiste una economia della riproduzione legata al lavoro delle donne, come, a voler sottilizzare, esiste anche una sessualità delle donne abituata a maneggiare con forza ma senza violenza, i corpi fragili nudi e inermi di bambini bambine vecchi madri padri nonni mariti amanti, sperimentando così una sessualità varia e non catalogabile, in una esperienza umana ricca e non paragonabile a quella noia della sessualità maschile tradizionale dei “maschi per forza”, fatta di ripetitività efficienza e persino rapidità, fino all'eiaculatio praecox detta con orgoglio “gallismo”. Che palla! Sembra l'organizzazione capitalistica del lavoro. Ma anche che gusto un linguaggio allusivo e a sberleffo, tipico delle donne, con il quale si può dire tutto senza diventare sguaiate/i e volgari, allusive/i e non sempre rivolto alle donne come puttane e agli altri come figli di puttana: che gusto, mi sono tolta un fastidioso sassolino dalla scarpa e lasciatemi dire che tutti i cataloghi delle forme del piacere sessuale, mi sembrano un supermercato, cioè una cosa magari utile, ma anche poco istruttiva e spesso noiosa. Se mi chiedono se sono lesbica preferisco rispondere seriamente che non mi è ancora successo di innamorarmi di una donna, ma non mettiamo limiti alla Provvidenza.
Anche per rimediare alla mancanza, nella storiografia resistenziale, di ciò che hanno fatto le donne, Ongaro trova una buonissima strada metodologica: nel senso che nel suo libro non si trova un capitolo, magari anche pieno di grandi complimenti, sul “ruolo” delle donne nella Resistenza, come aggiuntivo, marginale, complementare, ma ogni capitolo contiene anche sempre strutturalmente il racconto di quanto hanno fatto delle donne nei vari aspetti della Resistenza italiana: ecco come deve essere scritta ogni opera storica, donne e uomini vi debbono essere sempre e contemporaneamente presenti.
Ciò significa però che tutta la storiografia fin qui esistente, da Erodoto in qua, è falsa o reticente. Sono d'accordo, anzi l'ho detto, senza suscitare se non qualche benevolo sorriso, come si fa alle battute di una qualche vecchiaccia cui si può riconoscere il diritto di essere -alla sua età- un po' via di testa.
Un altro grande merito del libro è che Ongaro si occupa del Cln, cioè della forma politica e militare che la Resistenza italiana non senza contrasti e difficoltà usò, e così a mio parere ci ha anche fatto capire come mai la sinistra così tanto più colta disinteressata preparata pronta al sacrificio, anzi addirittura al martirio, non sia riuscita a resistere più della Dc, che infatti si è ripresa tutto, restando se stessa, cambiando qualcosa perché nulla cambi gattopardescamente. Fino a quando la sinistra sarà così “religiosa” verso se stessa e la sua storia, non avrà assunto la laicità intera, non ce la faremo mai. Facciamoci gli auguri.
Lidia Menapace