“…il teatro è l’unico luogo
in cui ogni lingua diventa
magica e comprensibile”.
(Andrea Camilleri)
Al tramonto, sullo sfondo blu cobalto del cielo sfumato di rosso violaceo, l’aria immobile, incantata di un tempo senza tempo, il passato si veste di “presente” e fa riecheggiare, tra le pietre millenarie del teatro greco di Siracusa, versi greci e cunti siciliani, sublimi sonori.
Si rappresenta la tragedia Le Supplici, di Eschilo, scritta 2500 anni fa, ma rivisitata e attualizzata da Moni Ovadia.
Le Danaidi, le 50 figlie di Danao, insieme al loro padre, come si legge in Eschilo, scappano in Grecia per sottrarsi all’insidia dei loro cugini, figli di Egitto che vorrebbero costringerle alle nozze; esse vengono accolte dagli Argivi, popolo democratico e accogliente. Vantando origine ellenica, le giovani chiedono ospitalità al re di Argo, Pelasgo, il quale, però, proprio perché teme di scatenare una guerra contro l’Egitto, esita a concedere loro protezione. Deciderà solo con il consenso della comunità. Tale soluzione viene interpretata dalle fanciulle come segno di respingimento e pertanto annunciano subito che, in caso di rifiuto, si impiccheranno nel recinto sacro lanciando una maledizione. Ma proprio mentre la popolazione delibera all’unanimità di accoglierle, offrendo loro asilo, rifugio e protezione, giunge l’araldo degli egizi che cerca di portare via le giovani con la forza.
Ma il risoluto intervento di Pelasgo lo impedisce decretando in tal modo l’inevitabile guerra.
Fuga da paesi in guerra, conflitti di natura etnica e religiosa, tensioni tra sessi, sradicamenti ed esili, accoglienza o rifiuto dell’altro, sono tutti temi di attualità che Ovadia, nel ruolo di regista e nell’interpretazione del personaggio Pelasgo, ha voluto proporre al pubblico.
Alla prima dello spettacolo: «Sono certo che Eschilo pensava a una grande cantata quando scrisse Le Supplici», spiega Mario Incudine, attore e compositore dell’opera. «Il ruolo centrale del coro, le continue invocazioni, i lamenti, le preghiere e le suppliche a Zeus e al Re di Argo per ottenere pietà e asilo, fanno immaginare una grande partitura di voci e ritmi, di sospiri e di gemiti all’interno dei quali si innestano le voci a parte degli altri personaggi come Danao, Pelasgo, la Corifea e l’Araldo Egizio. Per ottenere una cantata in cui la parola intonata potesse essere al centro del discorso musicale, abbiamo scelto infatti due lingue che per propria natura sono insieme ritmiche e melodiche: il siciliano e il greco moderno». «Ho inoltre ritagliato per me il ruolo del cantastorie, una figura centrale in tutto il teatro popolare e in tutta la poesia cantata» continua. «I nostri dialetti conservano il carattere esplosivo, il carattere sonoro, la gioia dell’invenzione dell’espressione. Ho pensato a questo in omaggio a Eschilo che ha lavorato in Sicilia al punto da guadagnarsi il titolo di antropos sikelos. Ma non è una recitazione, quanto una resa in musica, una cantata».
«Sono Supplici musicali, nei ritmi del cuntu come anche nei metri greci e nei modi musicali greci» afferma Moni Ovadia, che privilegia l’interesse antropologico-musicale.
Una sorta di musical di grande spettacolarità, con canti, musiche dal vivo, coreografie e una traduzione in dialetto siciliano con frammenti di greco moderno e qualche breve passaggio in italiano, affidandone la narrazione alla figura di un antico cantastorie popolare – che ha la voce e il volto appunto di Mario Incudine –, il quale giunge in bicicletta e appare in più momenti a collegare il racconto (u cuntu).
Un adattamento sicilian-popolare che, ovviamente, non è andato giù ai “puristi”, ma ha emozionato ed entusiasmato il pubblico.
Questa performance fortemente realista de Le Supplici credo verrà ricordata come un momento importantissimo nel processo di rivisitazione del teatro antico in direzione dell’adeguamento allo spirito moderno e alla cultura del nostro tempo di cui gli spettacoli classici di Siracusa costituiscono, ormai da tempo, laboratorio di ricerca e di sperimentazione; in particolare il testo de Le Supplici, grazie alla parola viva del dialetto e del canto, nel riadattamento musical, ha permesso al grande pubblico di recepire i temi morali e civili della tragedia antica e, nello specifico, l’idea greca della giustizia, la forza dell’amore, la libertà della donna contro la violenza del maschio, l’accoglienza, il dramma dell’emigrazione che nasce nel cuore femminile, ma si realizza “nel maschile della democrazia”.
Scelta felice, poi, quella della costumista Elisa Savi che, in sintonia al testo, ha adottato una precisa definizione cromatica, stilistica e culturale di tre realtà: colori forti, definiti, tessuti con disegni arcaici, abiti e accessori tribali contaminati da elementi di cultura contemporanea per sottolineare la femminilità delle Danaidi, colori cupi, linee dure e dettagli aggressivi per gli Egizi, esecutori di una violenza ottusa, decisi a ottemperare gli ordini di padroni spietati e maschilisti; una gamma di sfumature di azzurri e di blu per esprimere il mondo dei Greci di Argo, sostenitori dei principi dell’accoglienza e dei diritti.
Senza dubbio la scelta di Ovadia (che non è piaciuta a chi preferisce la dimensione estetica della rappresentazione classica) restituisce al testo di Eschilo la funzione educativa che anima l’opera. Sarà bene ricordare che il fine della tragedia greca è proprio la purificazione come si legge nella Poetica di Aristotele: …la tragedia è opera imitativa di un'azione seria, completa, con certa estensione; eseguita con linguaggio adorno distintamente nelle sue parti per ciascuna delle forme che impiega; condotta da personaggi in azione, e non esposta in maniera narrativa; adatta a suscitare pietà e paura, producendo tali sentimenti la purificazione che i patimenti rappresentati comportano.
Ovadia riesce a recuperare infine un altro aspetto del teatro greco, quello della riflessione: ogni parola, ogni immagine sono segni da decifrare in modo tale che il messaggio non appaia imposto, ma funzionale all’aspetto formativo e si nutre della dimensione morale nell’ottica di una crescita collettiva.
L’accoglienza, la discriminazione, la sopraffazione – lo sappiamo bene – sono temi complessi, di non facile soluzione che richiedono innanzitutto un lavoro d’introspezione. Ci si augura che il numeroso pubblico abbia tratto da Le Supplici spunti per meditare ed effettuare (singolarmente) un percorso catartico, quanto mai necessario ai nostri giorni per potere giungere alla coesistenza e al rispetto reciproco in una società già tanto travagliata.
Giuseppina Rando
Cast
Traduzione Guido Paduano
Adattamento scenico in siciliano e greco moderno Moni Ovadia, Mario Incudine, Pippo Kaballà
Regia Moni Ovadia
Regista collaboratore Mario Incudine
Scene Gianni Carluccio
Costumi Elisa Savi
Musiche Mario Incudine
Movimenti coreografici Dario La Ferla
Personaggi e interpreti
Cantastorie Mario Incudine
Danao Angelo Tosto
Prima Corifea Donatella Finocchiaro
Corifee Rita Abela, Sara Aprile, Giada Lorusso, Elena Polic Greco, Alessandra Salamida
Pelasgo Moni Ovadia
Araldo degli Egizi Marco Guerzoni
Voce egizia Faisal Taher
Musicisti Antonio Vasta (fisarmonica-zampogna) Antonio Putzu (fiati), Manfredi Tumminello (chitarra-bouzouki) Giorgio Rizzo (percussioni)
Accademia d’Arte del Dramma Antico, sezione scuola di teatro “Giusto Monaco”:
Danaidi, Donne del popolo, Uomini del popolo.