Nel 2009 Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita felice, ha pubblicato il volume Decrescita e Migrazioni, esponendo la sua teoria che lega insieme economia dedita alla crescita del PIL, migrazioni ed ambiente.
Secondo tale modello il processo di industrializzazione ha modificato il sistema economico, che si è spostato dall’autoproduzione di beni ad un’economia basata sulla produzione sempre maggiore di merci e sull’aumento del PIL.
Le migrazioni sono fondamentali per la crescita del prodotto interno lordo e per questo incentivate in un processo continuo. Secondo l’Autore, infatti, queste sono promosse da un sempre più crescente divario tra Paesi ricchi e poveri: gli stranieri che emigrano e giungono nei primi Paesi si inseriscono nel mercato della produzione di merci, comprando a loro volta i prodotti da questo derivato, aumentando lo sfruttamento delle risorse dei Paesi poveri e generando un numero sempre crescente di rifiuti. Con tale processo si sottraggono le materie prime presenti in questi Paesi e necessarie alla loro crescita, provocando un allargamento del divario tra le due parti e spingendo sempre più persone ad emigrare in un circolo vizioso: “i flussi migratori rafforzano e continueranno a rafforzare le cause che li generano… continueranno a intensificarsi fino a quando l’economia dei Paesi ricchi continuerà ad essere finalizzata alla crescita della produzione di merci”.1
La presenza di stranieri ha delle conseguenze, fra cui i contrasti per le diversità culturali, a cui si rimedia con la mediazione culturale, strumento attraverso cui le popolazioni dei Paesi ricchi imparano ad accettare la presenza degli stranieri ed attraverso cui questi ultimi interiorizzano la cultura dei Paesi di arrivo. Non esiste, tuttavia, un reale incontro e scambio di culture per Pallante, ma chi emigra si omologa ai comportamenti funzionali per la crescita del PIL.
A livello politico le migrazioni generano scontri ed opinioni discordanti, che si dividono essenzialmente in due grandi blocchi: da una parte la destra, promotrice della sicurezza, sostiene una politica anti-emigrazione e anti-clandestini. Ma anche in questo caso l’Autore ritiene si tratti solo di affermazioni senza risvolti pratici: gli immigranti sono infatti fondamentali per la crescita del PIL, disposti a svolgere lavori pericolosi e sottopagati. La sinistra promuove la necessità di accoglienza degli stranieri e di regolarizzarli, in quanto fondamentali per la crescita economica: il suo aumento corrisponde ad un maggiore benessere dei cittadini e anche degli stranieri.
Tali concezioni, nonostante le loro diversità, possiedono un elemento comune, ovvero la presunta superiorità del nostro sistema di vita.
Il sistema basato sulla crescita del PIL, infine, possiede risvolti negativi anche sull’ambiente in quanto per crescere necessita di immigranti, ma in concomitanza dell’aumento della produzione, si alza la necessità di risorse ed aumenta la produzione di rifiuti, tanto che ad oggi l’impronta ecologica dei Paesi industrializzati è molto più alta di quello che la Terra può fornire e più smaltire.
Per cambiare tale condizione Pallante propone il cambiamento del paradigma sociale, avanzando la teoria della decrescita felice. È necessario diminuire la produzione di merci permettendo di ridurre lo sfruttamento della risorse non rinnovabili e diminuendo la produzione di rifiuti. La decrescita dei Paesi ricchi incentiverebbe anche una maggiore equità sociale rispetto ai Paesi in via di sviluppo.
Per fare ciò è necessario che la decrescita nei primi Paesi non corrisponda ad un aumento dei consumi nei secondi, modificando invece lo stile di vita verso un’economia di autosussistenza.
La decrescita felice includerebbe una riduzione degli orari di lavoro in vista di un aumento della produttività, che permetterebbe di diminuire la necessità di manodopera straniera e contemporaneamente di aumentare posti di lavoro nei Paesi in via di sviluppo.
Tale sistema gioverebbe quindi a tutto il mondo: alle persone, ma anche all’ambiente, in quanto l’autoproduzione permetterebbe di ridurre lo sfruttamento delle risorse, l’effetto serra e l’emissione di CO2.
In questo momento storico, dove sempre più persone emigrano verso i Paesi sviluppati, la teoria di Pallante è estremamente interessante.
Secondo le stime del United Nations Department of Economic and Social Affairs, dal 1990 al 2013 l’immigrazione è aumentata del 50%, prevalentemente tra il 2000 ed il 2010, mentre le regioni che accolgono il maggior numero di stranieri sono Europa, Asia e Nord America, dove nella prima regione gli emigrati rappresentano il 10% circa della popolazione totale.2
In questi mesi si sta discutendo molto, nel mondo e nell’Europa soprattutto, dei migranti che attraversano il Mar Mediterraneo su barconi, provenienti prevalentemente dalla Libia. Nei primi mesi del 2015 più di 15.000 persone sono giunte presso le coste italiane tramite questa modalità, arrivando soprattutto dalla Sira e dall’Africa sub-sahariana, fra cui Eritrea, Etiopia e Somalia. Le cause principali che spingono ad emigrare sono molteplici, tra cui le guerre, la povertà ed i cambiamenti climatici.
Come si sostiene nel volume Geografia Umana di Jerome D. Fellmann, Mark. D. Bjelland, Arthur Getis, Judith Getis, certamente uno dei fattori che promuove lo spostamento delle persone è la povertà: ad oggi il 14,5% della popolazione mondiale vive con meno di 1,25$ al giorno, prevalentemente concentrata nell’Africa sub-sahariana (46,8%) e nell’Asia Orientale (24,5%), corrispondendo a quelle aree dove si trovano le principali materie prime.
Pallante, d’altronde, esplicita chiaramente il fatto che i Paesi sviluppati, che nei secoli precedenti avevano colonizzato l’Africa sfruttandone le risorse, dalla metà del secolo scorso hanno adottato un nuovo metodo per ottenere le materie prime funzionali all’economia che produce merci, ovvero appoggiando quei politici e regimi che, in cambio di potere, danno loro l’opportunità di usare le risorse del posto. Si pensi ad esempio all’intervento diplomatico forte ed attuale degli Stati Uniti e della Cina nel conflitto ventennale tra Sudan e Sud Sudan e nelle situazioni politiche odierne, considerando che uno dei maggiori azionisti di maggioranza nelle società petrolifere in entrambi i Paesi è la Cina e che, durante gli anni della guerra, alcune compagnie petrolifere pagarono al regime sudanese il petrolio in armi.
Per oro, diamanti, petrolio, coltan e per il loro controllo in Africa si sono susseguite e continuano ad esistere guerre, come ad esempio la guerra civile del Ruanda del 1994, tanto che ha spinto Jean-Léonard Touadi, politico, accademico e giornalista italiano originario della Repubblica del Congo, a definire così questi conflitti: “Potremmo chiamarle guerre tribali solo se considerassimo le multinazionali che ne traggono profitto come tribù”.3 Guerra, tuttavia, è sinonimo di povertà, ulteriore causa dei flussi migratori.
Un altro push factor è anche il degrado ambientale, che non permette alle popolazioni locali di sopravvivere. Il sistema economico attuale non tiene conto del futuro: l'uso indiscriminato di fonti fossili e non rinnovabili, di acqua e l'enorme produzione di spazzatura stanno aggredendo con forza l'ambiente, tanto che ad oggi serve un Pianeta e mezzo per rigenerare gli ecosistemi distrutti in questi ultimi 40 anni. Uno sfruttamento tale della Terra promuove il sorgere di guerre per il controllo delle risorse, carestie e migrazioni.
Chi compie questo scempio sono prevalentemente i Paesi sviluppati, ma chi ne paga le conseguenze a breve termine sono i Paesi in via di sviluppo e le persone povere: le regioni a basso e medio reddito mostrano una diminuzione della biodiversità maggiore rispetto a quelli ad alto reddito, in parte dovuta alle modalità con cui i Paesi ricchi sottraggono risorse agli altri; contemporaneamente il degrado ambientale ha risvolti negativi soprattutto sulle persone che fanno affidamento su un'economia di autosussistenza, quindi sulla pesca, allevamento ed agricoltura locale.
In questo quadro complesso si inseriscono le persone che decidono di emigrare altrove, che sia da un continente ad un altro o all'interno di una stessa regione, attratte dal mondo del mercato dedito alla crescita del PIL che li chiama a gran voce, cari per la produzione e per continuare a portare avanti tale modello che senza di loro non potrebbe mai esistere.
Nel testo in questione si delinea anche un altro elemento decisivo che promuove, indirettamente, tale modello, ovvero il considerare il nostro sistema di vita migliore di quelle persone che, “disperate”, sono spinte ad emigrare. Il senso comune, infatti, non analizza le cause che incentivano le persone a spostarsi altrove, ma si focalizzano semplicemente sull'emergenza che il loro arrivo causa, puntando il dito contro tutte quelle associazioni malavitose che si arricchiscono con questi traffici illegali, come sta accadendo in questi ultimi mesi. Si tende a pensare che chi è costretto ad emigrare lo faccia volontariamente, perché desideri avere una vita migliore, che nel suo Paese gli era impedita e che in questo il “nostro mondo” si mostri superiore, simbolo di libertà e democrazia, inteso come unico modello valido per una vita felice.
Tutti questi elementi, in un circolo vizioso, alimentano i modelli consumistici che, come si è visto, stanno causando danni sia a breve che a lungo termine.
Decrescita e migrazioni, infine, a prima vista può sembrare un testo piccolo e semplice, ma che invece contiene in sé un messaggio importante, che meriterebbe di essere conosciuto almeno da chi si occupa di politiche delle migrazioni.
Alcune segnalazioni bibliografiche e sitografiche
Commissione Europea, Lfeconomia degli ecosistemi e della biodiversità, 2008
Jerome D. Fellmann, Arthur Getis, Judith Getis, Geografia Umana, McGraw Hill, Milano, 2007
Pallante M., Decrescita e Migrazioni, Edizioni per la decrescita felice di GEI Gruppo editoriale italiano, Roma, 2009
Scaringella M., Il costo umano di uno smartphone e tutto ciò che gira attorno al coltan, in La Repubblica, 19 luglio 2013
WWF, Living Planet Report 2014
www.italy.iom.int
www.un.org
europa.eu/index_it.htm
Chiara Moscatelli
1 Maurizio Pallante, Decrescita e Migrazioni, Edizioni per la decrescita felice di Gruppo editoriale italiani, Roma, 2009, p. 41.
2 The number of international migrants worldwide reaches 232 million [PDF], Population Facts, n. 2013/2, United Nations Department of Economic and Social Affairs.
3 Mariagrazia Scaringella,Il costo umano di uno smartphone e tutto ciò che gira attorno al coltan, in La Repubblica, 19 luglio 2013