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Carlotta Caldonazzo. Bioetica: La parola ai filosofi
08 Giugno 2015
 

Come Sydney Lumet con La parola ai giurati esortava a mettere in discussione il sistema giudiziario statunitense e la pena di morte, così Roberto Fantini invita a riflettere sulla morte cerebrale e sul trapianto di organi.

 

 

Roberto Fantini

Vivi o morti?

Morte cerebrale e trapianto di organi:

certezze vere e false, dubbi e interrogativi

Edizioni Efesto, 2015, pp. 195, € 12,00

 

Tema tanto delicato quanto scrupolosamente messo a tacere nel dibattito pubblico mondiale, la definizione di morte cerebrale imposta da un comitato istituito nel 1968 dalla Harvard Medical School non coincide con l'assenza di vita, quindi non fornisce elementi inoppugnabili per dichiarare qualcuno morto. Un aspetto di notevole gravità, se si considera che l'obiettivo di tale definizione è stabilire come nuovo criterio di morte quello del coma irreversibile e che il corollario è costituito da motivazioni ispirate più da esigenze di mercato che dal dovere di ripristinare e preservare la salute degli individui. La prima è il peso che i pazienti che soffrono di una perdita permanente dell'intelletto costituiscono per le loro famiglie, per gli ospedali e per quelli che avrebbero bisogno di letti ospedalieri occupati da questi pazienti in coma.

La seconda invece è la necessità di una definizione univoca per evitare che criteri di morte obsoleti generino controversie nel reperimento di organi per i trapianti. Considerazioni pertinenti se fossero riferite a ordinarie operazioni di mercato, ma che inquietano dal momento che trovano applicazione nelle strutture sanitarie, il cui fine dovrebbe essere quello di curare chi ne ha bisogno.

In questo un testo illuminante è Vivi o Morti? Morte cerebrale e trapianto di organi: certezze vere e false, dubbi e interrogativi di Roberto Fantini (foto). Il punto di partenza infatti non è una presa di posizione aprioristica, ma un invito a riflettere su informazioni e dati di cui si tiene all'oscuro la maggioranza schiacciante dei cittadini del mondo. Con tutte le implicazioni che ciò comporta, scientifiche, etiche, filosofiche ma soprattutto pratiche. Anzitutto, se la morte è assenza di vita, una sua definizione per mezzo di un aggettivo (cerebrale) che ne relativizza la portata è alquanto oscura. In secondo luogo, se non si può escludere con assoluta certezza che il paziente cerebralmente morto conservi una qualche forma di coscienza, in quanto biologicamente vivo, sarebbe doveroso chiedersi se non possa anche provare dolore. Inoltre nessuno spiega mai ai famigliari dei pazienti in morte cerebrale che a questi ultimi prima dell'espianto verranno somministrati un farmaco paralizzante e un anestetico (entrambi, occorre osservare, agiscono sul cervello) per evitare reazioni muscolari durante l'“operazione”. A maggior ragione nessuno precisa che gli organi destinati alla donazione devono essere espiantati ancora vivi, ovvero mentre il cuore del “donatore” pulsa ancora e i polmoni respirano, sia pure artificialmente. In alcune testimonianze raccolte si legge inoltre che basterebbe mostrare un video dell'operazione di espianto per dissuadere chiunque ad accordare il proprio consenso per sé o per i propri cari.

Invece, come afferma un illustre trapiantologo tedesco, se informassimo propriamente il pubblico non saremmo più in grado di procurarci organi. All'occultamento di informazioni si aggiungono le tecniche di persuasione impiegate con i famigliari di pazienti cerebralmente morti, le stesse del marketing, che attingono alla fonte della psicologia del controllo delle masse. Un metodo piuttosto squallido quando il bersaglio sono individui psicologicamente fragili e in preda al dolore più cupo.

Nel silenzio generale imposto su scala mondiale sul tema dell'espianto di organi, desta stupore che le chiese cristiane (e in generale le gerarchie religiose) non lancino iniziative con lo stesso zelo con cui si intromettono sull'eutanasia o sull'aborto. Anche se in questi ultimi due casi è ammesso il diritto all'obiezione di coscienza, mentre per l'espianto questa opzione è rigorosamente preclusa. Una differenza ancor più assurda, in quanto l'eutanasia e l'aborto non provocano dolore, mentre l'espianto (squartamento, dissanguamento, sbudellamento) probabilmente sì. Nella Chiesa cattolica Giovanni Paolo II nel 1989 e, pochi anni dopo, il cardinale Ratzinger hanno sollevato dubbi sul concetto di morte cerebrale. Dichiarazioni, tuttavia, successivamente ritrattate in sede ufficiale, dove la posizione è favorevole all'espianto di organi.

Quindi, anche la Chiesa cattolica su questo tema ha rinunciato a schierarsi con gli “ultimi”. “Ultimi” in quanto in condizioni di non poter decidere del proprio destino e in quanto in molti paesi la donazione di organi è strettamente legata alla povertà. Marco Mamone Capria, in una delle interviste inserite in Vivi o Morti?, parla di abusi commessi, con la complicità o il silenzio-assenso di prestigiosi chirurghi, per procurare gli organi dei poveri a ricchi malati. Infatti non si può parlare di espianto donazione senza trattare la questione del traffico di organi, in particolare dei reni, stimato nell'ordine di 15.000 casi l'anno. Ad esempio agli abitanti di interi villaggi in Pakistan manca un rene, mentre a settembre 2014 sul quotidiano Il Corriere della Sera si leggeva che tra i metodi di pagamento della traversata nel Canale di Sicilia c'è la vendita dei propri organi.

Un saggio di spessore etico e onestà filosofica, un invito alla consapevolezza e al rispetto reciproco. Elementi che costituiscono il vero umanismo ben più dell'altruismo di facciata dietro cui le autorità sono solite nascondere operazioni finalizzate al profitto.

 

Carlotta Caldonazzo

(da Free Lance International Press, 4 giugno 2015)


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