Dalla storia alla geografia del jazz, seguendo le coordinate della “musica globale per eccellenza”.
Dai territori dei suoi tre continenti – Africa, America, Europa – a un complesso fenomeno di convergenze globali e locali custodite nell'atlante delle emozioni afroamericane.
Adottare un punto di vista geografico nella ricostruzione storica e sociale della musica jazz, consente di sottolineare una questione di metodo.
Per gli americani, i più 'legittimati' a raccontare la loro storia, il jazz è un fenomeno americano che conosce varie appendici nel mondo. Una visione riduttiva per rappresentare un modo di pensare che si sta indebolendo, anche se a fatica; infatti, proprio dagli Stati Uniti giungono alcune riflessioni significative su una visione più ampia del jazz.
Lo storico Patrick Manning (2004), sottolinea che l'apprendimento è la caratteristica più specifica della migrazione umana ed è una delle principali fonti del cambiamento e dello sviluppo nella vita degli esseri umani. La conoscenza sorge dalla migrazione: gli esseri umani, adattandosi a qualsiasi ecosistema, utilizzano gli spostamenti per accrescere il sapere. Così facendo trasferiamo culture, lingue, beni. E, mescolandoci ad abitanti di parti diverse del pianeta, produciamo nuovi stili di vita, sempre porosi e vitali finché sono alimentati da altre persone in movimento. E oggi più che mai, in un mondo rimpicciolito e sovraffollato, questo rimescolamento sta subendo una vertiginosa accelerazione.
Le migrazioni producono conseguenze che sono riassumibili in tre processi. Il primo è la dispersione, che è quanto è avvenuto con l'uscita dall'Africa circa novantamila anni fa. Il secondo è la differenziazione: le comunità lontane e isolate tendono a distinguersi per la lingua e culture. Questi due processi sono bilanciati dall'interazione, costante di tutta la storia umana: la dispersione, la differenziazione e l'interazione delle popolazioni umane, spiega Manning (2004), si sono combinate per creare innovazioni che hanno generato una notevole evoluzione sociale, la quale ha proceduto più rapidamente dell'evoluzione biologica. Lo sviluppo continuo della società umana determina la convergenza, ovvero il processo che stiamo vivendo nel mondo contemporaneo.
La tratta transatlantica degli schiavi verso le Americhe va inquadrata in questo complesso fenomeno di convergenze globali e locali. La dispersione migratoria arcaica e la successiva differenziazione hanno condotto a un radicale allontanamento delle culture europee da quelle africane. Per cause che sono insieme geografiche, economiche e culturali. In realtà, le comunicazioni tra i due continenti, soprattutto attraverso il Mediterraneo, non si sono mai interrotte, e hanno favorito la diffusione di fenomeni rituali, stili di danze e pratiche musicali del tutto peculiari. Tuttavia questi contatti inter-comunitari non mostrano alterazioni sostanziali nelle tendenze generali delle differenti aree linguistiche e culturali. Questo almeno sino al XV e XVI secolo, ovvero fino a quando l'esplorazione dell'Africa da parte dei portoghesi e l'avvio della tratta transatlantica di schiavi non hanno messo in moto un gigantesco processo di convergenza, avvenuto però su un continente terzo: quello americano. In conseguenza del commercio di schiavi, mondi diversi ma con arcaici progenitori in comune si sono ritrovati al centro di uno dei più vasti processi di scambio culturale della storia. Tale commercio ha investito l'intera costa atlantica del continente africano, generando sulle corrispondenti sponde americane, tra il XVI e il XX secolo, forme culturali del tutto nuove, che oggi permeano numerosi aspetti della nostra vita globale. Il jazz è uno di queste: è un prodotto della convergenza di culture africane ed europee nelle colonie nordamericane, in prima battuta, e in tutti gli Stati Uniti successivamente.
Ma ancor prima della nascita del jazz, nel 1763, i francesi cedettero l'area della Louisiana agli spagnoli che fecero di New Orleans una città danzante. «Il traffico marittimo assicurava che le danze alla moda viaggiassero da un porto all'altro, su e giù per l'emisfero, per e dalla Spagna, mentre presso il grande centro dell'Havana, in attesa dell'imbarco, se ne aggiungevano sempre nuove. New Orleans faceva parte di quel circuito della danza di cui, attraverso tutto il mondo ispanico, facevano parte i neri, ed erano loro a imporre lo stile» (Zenni, 2012, p. 27). La chacona la zarabanda, due tipi di danza, avevano già impregnato la cultura musicale afromediterranea tra il XVI e il XVII secolo, a Siviglia, Valencia, Lisbona, Napoli, e anche in Puglia, portando nella cultura popolare una ventata di ritmi africani e danze sfrenate. Una rivoluzione musicale che lega Caraibi, New Orleans e Mediterraneo, e che solo più tardi, in una forma molto attutita, è filtrata nella musica di corte europea.
Ma la Storia della città del jazz prosegue nel 1809, quando migliaia di profughi di Santo Domingo furono costretti a fuggire sulle coste di New Orleans. Lì, portarono anche le loro giovani tradizioni fatte di danze, strumenti, canti e sincretismi religiosi, che andarono ad arricchire e mutare profondamente la cultura della Louisiana. È questa la strada della danza cubana, che confluì nel primo jazz per pianoforte (Zenni, 2012, fig. 1).
Osserva E. Taylor Artkins: «Sebbene certamente nato sul suolo statunitense, il jazz è stato al tempo stesso il prodotto e la causa dei processi e delle tendenze di respiro globale del XX secolo: la produzione culturale di massa, l'urbanizzazione, la rivoluzione del tempo libero e il primitivismo. Una musica nazionale e postnazionale, che ha incarnato la nascita della modernità; o meglio ancora: l'accesso alla modernità nei quattro angoli del mondo. Ballare il jazz nel 1927 a Shangai, a Calcutta, a New York o a Berlino voleva dire essere parte della modernità globale» (Zenni, 2012, p. 13).
Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, il blues rurale del Delta del Mississippi, il blues a stampa di Memphis, la Black Brodway a New York e il ragtime avevano preso vita per effetto della presenza dei neri nel mondo professionale americano. Nella mappa di diffusione delle musiche nere, New Orleans rimane il centro focale da cui sorge l'impulso della nuova musica.
Forse il processo storico più singolare del primo jazz risiede nel significativo rapporto tra migrazione e sviluppo musicale: il jazz è nato a New Orleans ma non si è sviluppato nel luogo geografico di origine. I musicisti che hanno abbandonato New Orleans si sono dispersi in varie direttrici: e lì dove si sono insediati hanno modificato lo stile sotto la pressione dei nuovi ambienti. In altre parole, il jazz è nato a New Orleans ma si è evoluto a San Francisco, Los Angeles e soprattutto Chicago e poi New York (Zenni, 2012, fig. 2,).
Le forze della globalizzazione portarono il jazz in lontanissimi angoli del mondo. Il disco, il piroscafo, la radio fecero conoscere le nuove danze ovunque, dal Sudafrica alle Filippine. Alla fine degli anni Venti e ancora negli anni Trenta molti musicisti americani migrarono in città cosmopolite come Calcutta o Shanghai per soddisfare un pubblico affamato dei nuovi balli. La scena musicale di Shanghai era il risultato di una complessa convergenza di commercio coloniale e migrazione globale: attirava musicisti filippini, russi, giapponesi, indiani e anche una piccola colonia di neri americani, che vi giungevano grazie alle linee navali transpacifiche (Southern, 2007). Questa connessione su larga scala, attraverso la musica nero-americana, è uno dei segni più sorprendenti della natura globalizzata del jazz (Zenni, 2012, fig. 3,).
Dalla metà degli anni Cinquanta il jazz conobbe una rapida espansione globale, accompagnata da un cambiamento di status e percezione da parte del pubblico. L'epicentro della diffusione va individuato negli Stati Uniti, ma per alcuni aspetti i primi stimoli al cambiamento partirono dall'Europa dove il jazz era stato accolto come la musica dei liberatori americani, ma soprattutto come una rigenerante novità culturale; presto i festival divennero i luoghi di una nuova ritualità del jazz. Gli Hot Club sparsi per il continente europeo ripresero a organizzare concerti e tour; e in Francia, dove esisteva una più robusta tradizione imprenditoriale legata al jazz, nacque l'idea di organizzare un vero e proprio festival, abbinando turismo marittimo e musica di artisti internazionali. Il primo festival jazz si tenne a Nizza nel 1948, dove suonarono gli All Stars di Louis Armstrong; nel 1953 anche Francoforte aveva avviato un festival tedesco.
Solo nel 1954, l'idea di un grande raduno jazz, estivo e all'aperto, viene raccolta anche dagli Stati Uniti. Il primo festival americano di jazz si tenne a Newport, un'elegante località di villeggiatura nello stato di Rhode Island. Nel 1968 anche la California aveva il suo festival, a Monterey.
Nel 1956, era nato il Festival Internazionale di Jazz di Sanremo, organizzato da Polillo e Maffei: era il primo festival stabile in Italia, nonché la radice più profonda di quello attuale.
La formula del festival ebbe dunque una primogenitura europea e alimentò un pubblico di fedeli appassionati che consideravano quella musica una vera e propria arte. Così, il jazz divenne parte della cultura globale, un simbolo di libertà, creatività, rinnovamento; appariva al tempo stesso una peculiarità nazionale americana e un linguaggio universale.
Secondo Sparti (2007) al jazz va riconosciuto ruolo di primaria importanza nella produzione culturale della diaspora africana: è testimone e alleata degli afro-americani. Ecco nascere la 'natura dinamica' del jazz, che lo forma e trasforma nel corso della sua disseminazione, grazie alla condizione ex-centrica dei suoi protagonisti; non a caso trova solo nella cosmopolita New Orleans un presunto luogo di nascita e una successiva fioritura nelle grandi metropoli.
Ogni fase della musica nera nasce direttamente dal proprio ambiente sociale e psicologico e la sua forma più espressiva di qualsiasi periodo è l'esatto riflesso di ciò che il nero è in quello stesso periodo, è il suo ritratto. Così Baraka (2007), nelle pagine dedicate al popolo del blues disegna una catena psicologica simile a uno spettro di colori: dal nero più nero al grigio americano, partendo dall'idea che le radici siano un patrimonio di valore anziché una fonte di insradicabile vergogna. Concetto ripreso nelle pagine biografiche della Wilkerson (2012), dove a fare da sfondo è la “Grande Migrazione”: la saga più grande e forse la più sottovalutata del XX secolo.
In effetti, il jazz è la musica globale per eccellenza (Hobsbawn, 2012). Non a caso nella lettura sulla musica jazz si moltiplicano le angolature e si allargano le prospettive della musica afroamericana. Grazie all'approccio geografico si sottolinea come l'evoluzione storica e spaziale del jazz sia il risultato dei processi migratori dei loro protagonisti e di conseguenza, ciò permette di restituire un riconoscimento a quegli uomini che, privati di considerazione sociale e deprivati del linguaggio, hanno 'inventato' il jazz.
Jazz che possiamo quindi considerare anche come una manifestazione globale e virtuosa dell'intercultura.
Chiara Accogli
Riferimenti bibliografici
Baraka A., Il popolo del blues, Shake Edizioni, Milano 2007.
Bettoni G., Dalla Geografia alla Geopolitica, Franco Angeli, Milano 2004.
Bruni G., Atlas of Emotion. Journeys in Art, Architecture, and Film, Mondadori, Milano 2006.
Hobsbawn E., Storia sociale del jazz, Editori Riuniti, Roma 2012.
Manning P., Migration in World History, Routledge, London 2004.
Southern E., La musica dei neri americani, Il Saggiatore, Milano 2007.
Sparti D., Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz, Boringhieri, Torino 2007.
Wilkerson I., Al calore di soli lontani, Il Saggiatore, Milano 2012.
Zenni S., Storia del jazz: una prospettiva globale, Nuovi Equilibri, Viterbo 2012.