Solo nella penombra, tra le ombre,
annida la liberazione anche per il sole:
la liberazione dal suo proprio regno
che con il suo potere imprigiona anche lui.
Maria Zambrano
Nel saggio Rilke e la natura dell’oscurità Flavio Ermini “filtra” l’opera di Rainer Maria Rilke attraverso il proprio pensiero e offre al lettore nuove schegge di senso alla già ricca e complessa poetica del poeta tedesco, uno tra i più grandi interpreti lirici della spiritualità moderna.
«Nell’accostarsi all’opera di Rilke» esordisce Ermini «non richiederemo illuminazione, né seguiremo vie maestre, bensì sentieri obliqui, laterali, in ombra» proprio per inquadrare la riflessione dello stesso Rilke, all’amata Clara: Dove persiste oscurità, là è un’oscurità del tipo che non esige illuminazione, ma sottomissione.
Tematica questa che Ermini, filosofo e letterato, ha ampiamente trattato in altre sue opere e richiamato e approfondito sulla rivista di ricerca letteraria Anterem, da lui diretta.
Oscurità, intesa non come “limbo” o regno del non-essere, ma come luogo dove si vede più di quanto non si veda nella luce. Non luogo fisico, ma atteggiamento di sottomissione nel senso di remissività, umiltà al fine di sopprimere la velleità di conoscere l’inconoscibile o dominare “il tutto”. Sente Rilke la necessità di ripartire dal suo punto “più profondo e umile” per poter rinascere e acquistare ciò a cui aspira: essere reale nel reale. Accettare però la sottomissione all’oscurità comporta attraversare con fatica, inevitabilmente, quei luoghi oscuri di cui esplicitamente scrive Jung: «Ognuno di noi è seguito da un’ombra. Meno questa è incorporata nella vita conscia dell’individuo tanto più è nera e densa»; è l’ombra infatti la prima figura archetipica che s’incontra nel cammino verso uno spazio ulteriore (o dimensione interiore) quello spazio intermedio che ospita i vivi e i morti.
In questo spazio intermedio si percepisce una nuova luce e il pensiero sperimenta un altro inizio. Ripartire dall’ombra, dall’origine, dall’oscurità stessa del vissuto che non sa di se stesso, ripartire dal «[...] luogo della nostra origine, per nascervi dopo e ogni giorno più definitivamente».
Che significa nuovo inizio? Lo narra Rilke nei Quaderni di Malte Laurids Brigge, diario-romanzo dove l’alter ego di Rilke annota emozioni, pensieri, incubi, sogni, narra… come se non gli restasse altro perché nella scrittura egli rinasce, nella scrittura avviene la seconda nascita di cui riferisce Ermini: «Il suo inoltrarsi in una città sconosciuta gli consente, sì, di imparare a vedere, ma gli impone anche di prendere coscienza di avere un luogo interno che non conosce». Lo rivelerà Rilke nelle Nuove poesie: «Gli occhi dietro le loro palpebre / si sono rovesciate ed ora guardano dentro». Aggiunge Ermini: «Da signora del creato qual era, la luce ora è diventata l’ancella sottomessa all’oscurità, alle tenebre che assicurano un senso e una forma stabile a ciò che, di per se stesso, è pura casualità, provvisorietà».
Un cammino quindi verso l’arché ossia verso l’oscurità della notte da cui sorge il sole, l’oscurità dove ri-nasce l’essere, dove «Malte impara a vedere, ma anche ad ascoltare e a pensare».
Nel dire poetico la voce sanguina per la ferita della contemplazione di un quid irraggiungibile o svanito: «I profondi cieli stanno davanti a lui pieni di figure / e ognuna può gridargli: vieni, riconosci». Triste la voce del poeta, legata alla visione di un’impossibile dominazione di ciò che, disperata, rincorre, ma resta a difesa di ciò che la vita non dice…
Il dire ulteriore comporta conseguenze di portata molto vasta, tanto da mettere in connessione i due opposti stati del sentire e del pensare… Nello spazio luminoso delle immagini, la parola poetica irrompe come malattia, comparendo come voce nascosta di un’acuta separazione, o di una lontananza, o di una privazione, o di un’assenza, ma... la parola ha tutto da domandare e il proprio permanere nell’orizzonte della domanda testimonia le sua etica, la sua volontà di introdurci nello spazio dei problemi che chiedono di essere portati alla luce… (Anterem, n. 82, p. 5).
È il compito della poesia dunque guarire le parole e “di affidarle all’antipensiero” a un dire che si fa nuovo inizio proprio “dove persiste l’oscurità”; è la seconda nascita sostiene Flavio Ermini, quella prodigiosa che avviene con la scrittura, con cui potrà prendere forma il colloquio poetico tra essere e mortali e indicare che pensare davvero vuol dire interrogarsi su quella difficile mescolanza di essere e divenire che contrassegna la doxa e che costituisce l’ambito in cui soggiornano i mortali; così scrive Ermini nell’editoriale del n. 90 di Anterem, ricordandoci, tra l’altro, che confrontarci con le vie dell’errore significa riconquistare un rapporto genuino con il pensiero, quando il pensiero è albale apertura all’essere.
Pensare la “prima via” quella dell’essere uno e immutabile non esclude l’obbligo di interrogarsi anche sul perenne fluire delle cose, sul divenire, sul non-essere, cui ci inducono i sensi ingannevoli…
In questo pregevole saggio Flavio Ermini, facendo rivivere ai lettori l'esperienza di Rilke, focalizza la nostra attenzione su quel luogo interno che ciascuno porta in sé e ci indica l'unica via praticabile per approdare a una nuova e, per certi aspetti, positiva visione della vita.
Giuseppina Rando
Flavio Ermini, Rilke e la natura dell’oscurità
Discorso sullo spazio intermedio che ospita i vivi e i morti
AlboVersorio, Milano 2015, pp. 48, € 5,90