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ROMA 900. De Chirico, Guttuso, Capogrossi, Balla, Casorati, Sironi, Carrà, Mafai, Scipione e gli altri 
Nelle collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale
Giacomo Balla,
Giacomo Balla, 'Il dubbio', 1907-1908 
16 Maggio 2015
 

Si è aperta alla Fondazione Magnani Rocca (Parma – Mariano di Traversatolo), promossa dalla stessa Fondazione e da Roma Capitale, fino al 5 luglio 2015, la mostra Roma 900”, a cura di Federico Pirani e Stefano Roffi (catalogo SilvanaEditoriale).

L’esposizione, attraverso oltre cento splendide opere, intende presentare il “Novecento romano”, quindi il collezionismo pubblico e la cultura artistica a Roma nella prima metà del XX secolo, nella complessità dei linguaggi che si sono succeduti, con gli artisti e i movimenti di riferimento.

La mostra segue e presenta interessanti itinerari che hanno fatto la storia del nostro novecento e che Roma ha saputo accogliere nelle sue gallerie e collezioni.

 

La prima sezione presenta: Simbolismo, sentimento dannunziano di poesia e natura.

Il paesaggio era il genere dove quasi naturalmente venivano a trovare espressione le istanze di quel vasto orientamento culturale europeo che ha nome e identità nel Simbolismo e che costruiva, pur nelle diverse accezioni, la sensibilità comune agli artisti dell’ala culturale più avanzata, e proiettata verso la modernità, verso il Novecento. Anche le affermazioni di un critico d’arte, giovane ed estemporaneo come Gabriele D’Annunzio, a Roma dal 1891, individuava, proprio nella pittura dei paesisti, i principi di una nuova estetica.

La moderna pittura di paesaggio era intesa come poesia della natura. Ogni mezzo – dal nuovo strumento della fotografia, a quello più tradizionale del disegno, al bozzetto eseguito all’aperto – era uno stadio da cui partire per una personale rielaborazione dell’artista: il fine era il superamento del vero, la resa di uno stato emotivo nell’osservazione di un paesaggio, in un particolare punto e in una particolare ora del giorno. La nuova visione della realtà già informava, sul finire del secolo precedente, le opere di Giulio Aristide Sartorio e di Adolfo De Carolis, amici e illustratori per D’Annunzio.

La concezione ispirata della natura, luogo eletto per l’individuo ove annullare ogni contraddizione e carpire invece l’essenza della realtà, avrebbe in gran parte sostenuto la declinazione simbolista della cultura romana nei primi decenni del Novecento e sarebbe stata la filosofia de I XXV della Campagna Romana, sodalizio artistico fondato nel 1904 da Enrico Coleman e Onorato Calandi al quale aderirono molti artisti rappresentati in mostra le cui opere, fino alle Biennali romane negli anni venti, continuarono a essere oggetto delle acquisizioni capitoline.

 

Segue la seconda sezione: Secessione, nel secolo di Klimt

Mentre l’Ottocento moriva, e con esso la mitologia positiva della Belle époque, una generazione di giovani artisti si poneva in aperto conflitto con il sistema ufficiale delle esposizioni, contestando i criteri conservatori e selettivi che ne regolavano la partecipazione, rivendicando autonomia di ricerca e libertà di espressione. Come era già avvenuto a Monaco, Berlino e Vienna, gruppi di artisti italiani sceglievano di associarsi nel comune segno della Secessione. Le esigenze di rinnovamento e di apertura internazionale si polarizzarono fra il 1908 e il 1914 a Roma, nelle manifestazioni della secessione romana. Nella capitale emergono tendenze diverse: dalle interpretazioni elegantemente mondane del Divisionismo di Innocenti, Linone, Bocchi, alle novità plastiche di Melli. Secessione Romana rappresenta quindi un’avanguardia ‘moderata’, contrapposta all’avanguardia radicale del Futurismo, che intende invece incidere in maniera rivoluzionaria sul linguaggio artistico e sulla realtà sociale e politica. Il primo conflitto mondiale fa ‘tabula rasa’ nei confronti di ogni aspirazione avanguardista, fagocitando lo slancio vitale.

 

La terza sezione è dedicata a: Futurismo e Aereopittura, la nuova spiritualità plastica extraterrestre.

Il mito del volo aereo, l’ebbrezza della visione dell’alto, la sconfitta della gravità, la trasfigurazione della visione attraverso la velocità, sono elementi costanti della poetica futurista. La contingenza storica della guerra segnò un’importante cesura con l’immagine del volo quale straordinaria espressione del mito della velocità e del nuovo rapporto tra uomo e macchina; alla volontà ascensionale intesa come impulso profetico alla “conquista delle stelle” e alla dominazione dell’esistente, subentrò la percezione dell’innalzamento e della visione dell’alto anche come possibilità di salvezza dalle trincee e dalle macerie del conflitto in atto.

Solo verso la fine degli anni venti, le diverse esperienze dei singoli artisti futuristi, precursori e nuovi accoliti, si trovarono raccolte sotto un’unica bandiera riconosciuta proprio nel Manifesto dell’Aeropittura, dove sono riassunte le effimere prospettive visive offerte dal volo aereo sottolineandone il perenne dinamismo e la continua successione di visioni mutevoli. Al di là del minimo comune denominatore della visione aerea, lo stesso Marinetti, presentando il movimento nel catalogo della III Quadriennale romana del 1939, dove i futuristi erano presenti con centoquaranta opere, individuò quattro tendenze principali: «Una aereopittura stratosferica cosmica biochimica (…) lontana da ogni verismo».

 

La quarta sezione è dedicata a Ritorno all’ordine, si rinnova la tradizione italica.

Ritorno all’ordine’ è una corrente artistica europea successiva alla prima guerra mondiale, che ripropone la centralità dell’ispirazione tradizionale e della storia, del classicismo e della fedeltà figurativa, del racconto e della celebrazione aulica, rifiutando gli estremismi dell’Avanguardia che aveva dominato fino al 1918, stemperandoli attraverso il filtro di un passato all’insegna della stabilità e dell’ordine.

In Italia – con artisti come Severini, Carrà, De Chirico, Tozzi, Funi, anche Donghi e Casorati questo cambio di direzione venne riflesso ed incoraggiato da Valori Plastici, una rivista di critica artistica fondata nel 1918 a Roma sotto la direzione del pittore e collezionista Mario Broglio.

 

Segue l’itinerario: Scuola Romana, Un Espressionismo barocco.

La prima identificazione della Scuola Romana è da attribuirsi a Roberto Longhi, che sottolinea il lavoro di questi artisti in senso espressionista e di rottura nei confronti dei movimenti artistici ufficiali: «Proprio sul confine di quella zona oscura e sconvolta dove un impressionismo decrepito si muta in allucinazione espressionista, in cabala e magia, stanno difatti i paesini sommossi e di virulenza bacillare del Mafai, la cui sovreccitata temperatura potrebbe iscriversi al nome di un Raul Dufy nostro locale».

 

L’ultima tappa del percorso della mostra presenta: Figurazione e astrazione, Guttuso e Turcato.

Alla Galleria di Roma nel 1944 in una mostra organizzata dal partito comunista “L’arte contro la barbarie” convergono molti degli artisti che in parte fanno riferimento a Lionello Venturi, tra gli altri Mazzacurati, Mafai, Leoncillo, Turcato, Stradone, Guttuso, uniti dal tema della mostra più che da un comune denominatore poetico, che comunque era nell’orbita dell’espressionismo romano.

La problematica tra “forma e contenuto” diventa prioritaria. Una questione che attraversa tutta la classe degli artisti impegnati nella costruzione di un linguaggio moderno, nel momento in cui si affaccia il dissidio tra intellettuali e partito comunista sul tema estetico. L’ostruzionismo di Togliatti verso l’astrattismo si manifesterà con una recensione su Rinascita (novembre 1948) per una mostra di arte contemporanea a Bologna. Con lo pseudonimo di Roderigo di Castiglia, il capo dei comunisti italiani, dirà: «tante brave persone disposte ad avallare con la loro autorità davanti al pubblico questa esposizione di orrori e scemenze un avvenimento artistico».

La risposta più incisiva sulle ragioni dell’arte astratta arriva tramite la pittura di Giulio Turcato, che aveva elaborato una sua propria linea orientata verso il colore di Matisse oltre che verso le forme picassiane.

 

Maria Paola Forlani


Foto allegate

Felice Casorati,
Benedetta (Cappa Marinetti),
Roberto Melli,
Scipione (Gino Bonichi),
Enrico Lionne,
Tato (Guglielmo Sansoni),
Mario Mafai,
Filippo De Pisis,
Antonio Discovolo,
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