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In libreria/ Gianfranco Jacobellis. Entelechia
09 Maggio 2015
 

Il tempo che lavora su tutti noi fa la stessa cosa anche sui poeti, guidandone lentamente ed inesorabilmente l’attenzione al sé e la riflessione all’eterno; il passato si accumula alle spalle e riemerge attraverso ricordi che tendono a sfumare, il futuro non offre profondità sufficiente a creare nuovo ricordo, il presente si tinge di nostalgia di non vissuto: «ogni giorno/ che ci viene incontro/ forse ci somiglia/ non vorrebbe finire».

Se Entelechia è, «nella formulazione aristotelica, lo stato di perfezione raggiunto da un ente che abbia attuato pienamente il suo essere in potenza» come scrive Paolo Ruffilli nella prefazione di questa raccolta, Gianfranco Jacobellis offre una summa di conoscenza e consapevolezza che rivela le sue radici in un vissuto altrettanto profondo e consapevole.

In un contrapporsi continuo di luce ed ombra, l’ombra vince, evocatrice di un buio più intenso. Accanto ci sono immagini di nebbia, di cenere, di lava nera, di vuoto, di nulla, e la stanchezza della notte. Buio e luce del resto sono nel destino di tutti noi, «il buio o la luce/ comunque ci conduce/ alla vita o alla morte».

C’è comunque un tendere alla luce, perché “l’uomo sa fare luce”, e il ricordo stesso è luce su un passato che è “tempo fermo” in nostro esclusivo possesso. Una luce che appartiene alla vita, ma va e viene, come la speranza, e persiste in qualche modo in quel bianco ricorrente che ha mangiato tutti i colori. Non si coglie facilmente il confine tra ombra e luce, perché non è fisico, buio e luce lottano dentro di noi, sono dolore e gioia, paura e speranza, resa incondizionata o remare contro vento.

Il vento anima questi versi, fischia, soffia, trascina, inutile ogni resistenza, lui può essere il soffio vitale che è in noi ma anche il destino che porta con sé, o un ente superiore che tutto regola e controlla, quello stesso che stacca la foglia dal ramo quando arriva l’autunno.

C’è solo la voce del vento o di qualche campanina al tramonto, poi regna un silenzio cercato, voluto, perché “è più chiaro del parlare”, perché silenzio è esso stesso linguaggio. E lascia soli a discutere col pensiero e l’anima, a interrogarci sul significato della vita e del tempo che ha inghiottito la giovinezza, a formulare aperture ad una dimensione altra, a cui si può giungere solo con la fede: «Il luogo/ per parlarsi/ senza parole/ riconoscersi/ senza sguardi/ vivere/ senza più la vita».

Il silenzio si fa complice del poeta, la poesia riesce ad aprire varchi nel buio, ad alleggerire l’ombra: «il poeta si fa spia del profondo/ ed esplora tra radici contorte/ da cui nasce il visibile/ a volte disvela/ e smette di soffrire».

 

Marisa Cecchetti

 

 

Gianfranco Jacobellis, Entelechia

Biblioteca dei Leoni, 2015, pp. 160, € 14,00


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