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Un’informazione malata è un pericolo per la democrazia 
Conversazione di Roberto Fantini con Giovanni Sarubbi, direttore de ildialogo.org
03 Maggio 2015
 

A fine gennaio, un gruppo di giornalisti italiani, blogger, fotografi ed esperti di Medio Oriente ha lanciato una lettera aperta per dire “basta” al degrado che sempre più caratterizza il mondo dell’informazione.

«Ci chiediamo» dicono i promotori dell’iniziativa «quale senso possa avere oggi un giornalismo che al servizio al cittadino ha sostituito un voyeurismo sensazionalista per il quale non ci si ferma neanche davanti al rispetto umano, in costante e grave violazione di tutte le norme di deontologia professionale».

Ben sottolineando che «La verifica delle fonti, un linguaggio appropriato, il rispetto della privacy delle persone, sono le basi della professione giornalistica, alle quali andrebbero sempre aggiunte conoscenza e competenze specifiche dei temi dei quali si vuole trattare, nonché il valore aggiunto delle esperienze personali sul campo, ma sempre e comunque privilegiando il rispetto del lettore e delle persone coinvolte».

Molte sono state, in questi mesi, le adesioni, soprattutto da parte di giornalisti, docenti e ricercatori, a conferma di una diffusa esigenza di buona parte della nostra società di provare ad arginare la deriva di cialtroneria-servilismo-manipolazione-strumentalizzazione che sempre più sembra tiranneggiare il mondo dei media.

Recentemente, poi, proprio in questa prospettiva, la testata giornalistica online il dialogo ha avanzato, a firma del suo direttore, Giovanni Sarubbi (foto), un densissimo appello-proposta con l’obiettivo di costituire un “comitato nazionale contro le falsità dei mezzi di comunicazione”.

Proprio a lui ci siamo rivolti al fine di comprendere meglio le finalità di tale scelta.

 

– Giovanni, una iniziativa come quella che state proponendo non nasce certo all’improvviso. Quali considerazioni e quali vicende, in particolar modo, vi hanno indotto a portarla avanti?

Questa iniziativa nasce dalla realizzazione di una rassegna stampa sull'islàm che facciamo oramai costantemente da circa un anno. Raccogliamo le notizie presenti sulla rete internet relative all'islàm, cercando di fornire quotidianamente un piccolo commento sulle notizie principali della giornata. Svolgendo tale attività, ci siamo resi conto che vengono diffuse quotidianamente notizie o palesemente false ed inesistenti, o raccontate in modo distorto. Il più delle volte, inoltre, si spacciano per notizie, che dovrebbero comunque riferirsi a fatti veramente accaduti, quelle che sono le “opinioni”, se così si possono chiamare, o meglio ancora le interpretazioni, del singolo giornalista o di chi lo paga, sulla religione islamica. Mi limito a citare due esempi eclatanti. Il primo è quello dell'attentato al Papa che avrebbe dovuto essere effettuato con l'utilizzo di un drone. Si legga a tale proposito il mio editoriale del 22 novembre 2014, dove descrivo in dettaglio la notizia del tutto inventata. Il secondo è relativa alla “notizia” riguardante la presunta uccisione da parte dell'ISIS di numerosi giovani rei di aver visto una partita di calcio. Tutti i grandi giornali diedero tale “notizia” affermando che non c'erano conferme sulla sua veridicità. Nonostante la mancanza di conferme, tutti i grandi giornali la diffusero con titoli cubitali. Il ministro della difesa Pinotti, intervistata dalla trasmissione “Radio anch'io”, si sbilanciò in un commento pieno di “se fosse vero sarebbe gravissimo”. Nessuno ha più avuto conferma di quella notizia sparata a tutta pagina e diffusa da tutte le TV. Nella testa della gente quel fatto evidentemente falso è diventato sicuramente vero.

Una regola elementare del giornalismo impone che, di fronte ad una “notizia” non confermata, essa non debba essere diffusa. Se lo si fa, soprattutto se si tratta di notizie orribili, si genera paura nella popolazione in modo ingiustificato. Di “notizie” del genere, ce ne sono perlomeno una al giorno. Per smascherarle basterebbe leggere attentamente i testi degli articoli che le diffondono, il loro tono, le parole usate per descriverla, le fonti che vengono citate, ecc. Basterebbe cioè che ogni cittadino esercitasse il proprio spirito critico e poi protestasse con gli organi di informazione rei della diffusione di notizie false che violano l'art. 2 della legge professionale che recita: «...è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede». Lo stesso articolo prescrive che: «Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori». Se questo articolo fosse rispettato, molti grandi giornali dovrebbero semplicemente chiudere o essere pieni di continue rettifiche. Purtroppo, lo spirito critico degli italiani è stato cancellato dalle pubblicità commerciali, insieme alla loro stessa capacità di leggere e comprendere un testo anche molto semplice. E non lo dico io, ma lo ha rilevato qualche anno fa un linguista del calibro di Tullio de Mauro.

– Nel vostro “manifesto programmatico” non vi limitate a denunciare la superficialità e l’incompetenza di tanti nostrani pennivendoli, ma arrivate a parlare di una sorta di vero e proprio “piano editoriale” centralizzato. Ovvero?

Nel mio articolo ho scritto che, per rendersi conto che c'è una regia precisa dietro la montante campagna di menzogne sull'islàm, basterebbe guardare alla vicenda siriana. Tutti i mass-media main-stream, compresa l'ANSA, hanno riportato per molti anni (e continuano a farlo ancora oggi) le notizie sulla Siria rilanciate da una fantomatico Osservatorio Siriano per i diritti umani con sede a Londra. La pacifista e giornalista Marinella Correggia, che ha realizzato insieme alla rete No War il sito di controinformazione sulle guerre denominato Sibialiria (perché – questo il sottotitolo – La prima a morire in guerra è la Verità), ha denunciato più e più volte la falsità e le inconsistenze delle “notizie” fornite da tale “Osservatorio” attraverso analisi dettagliate e confronto con le notizie fornite direttamente da fonti presenti sul territorio siriano. Questo presunto “osservatorio” è specializzato soprattutto ad attribuire al governo Assad le stragi che vengono commesse dall'ISIS. L'ultima riguarda una “notizia” diffusa dall'ANSA che utilizza una foto di ordigni al cloro usati dall’Isis per incolpare Assad. Questa mistificazione che l'ANSA attribuisce al solito “Osservatorio” di Londra è smentita dal Daily news che cita fonti turche presenti sul campo.

Sulla questione siriana, ancora, una fonte attendibile è quella dell'Agenzia Vaticana FIDES che ha spesso riportato le notizie delle stragi perpetrate dall'ISIS e che i mezzi di comunicazione italiana attribuivano invece ad Assad. Credo non sia un caso se l'Agenzia FIDES sia pochissimo citata dalla stampa italiana sulla questione siriana, mentre noi lo facciamo sempre. È evidente che in guerra le notizie sono manipolate da chi la guerra la conduce, come sanno quei giornalisti che hanno pagato con la vita il voler cercare di descrivere ciò che accadeva effettivamente sul teatro di guerra, rifiutando le notizie fornite dalle fonti ufficiali. Tutti gli eserciti hanno apposite sezioni che si occupano della disinformazione che serve a confondere i nemici e ad ingannare la propria popolazione che non deve opporsi in alcun modo ai piani di guerra che sono precisi. Nulla è lasciato al caso.

Ma quando dico che c'è un piano editoriale preciso, mi riferisco anche ad un modo di comportarsi dei giornalisti dei grandi giornali che, nel dare le notizie, si adeguano a ciò che scrivono i giornali principali, perché, anche se un capo-redattore sa che una notizia è falsa, essa viene pubblicata lo stesso perché “se non la pubblichiamo noi la pubblica il Corriere della Sera”, come raccontò un giornalista di un grande quotidiano in un convegno dell'ordine dei giornalisti di Avellino (Vedi il mio editoriale del 7 dicembre del 2014 dal titolo “Mass-media: 'discariche di notizie', TV spazzatura, distruttori di speranza”).

– E in che senso le falsità della “cattiva informazione” rappre­sen­te­reb­be­ro un pericoloso attacco alla democrazia?

Se i cittadini ricevono veleni ogni volta che aprono un giornale o guardano la TV, la loro capacità di giudizio sui fatti raccontati viene gravemente lesa, soprattutto se la diffusione delle notizie vere viene bloccata con ogni mezzo da chi detiene la proprietà dei grandi mezzi di informazione. E oggi la proprietà di tali mezzi di informazione è concentrata in poche mani. Tutti i siti internet di controinformazione che esistono non riescono in alcun modo a scalfire le bugie che quotidianamente vengono diffuse. E questo perché, se una notizia presente su un sito non viene rilanciata dai grandi mezzi di comunicazione, questa, pur essendo presente sulla rete, non riesce a raggiungere decine di milioni di persone. Ma bisogna anche rendersi conto che, se anche una notizia vera riesce a bucare la disinformazione, i mezzi di comunicazione main-stream hanno la capacità di neutralizzarla in poche ore perché, immediatamente, viene fornita una diversa interpretazione di quella notizia. Ciò che prevale, oramai, è l'interpretazione della notizia e non la notizia in sé.

Così si distrugge la democrazia.

– Di che tipo di risonanza sta godendo il vostro Appello? E che tipo di sviluppi speri ci potranno essere in seguito ad esso?

Abbiamo ricevuto diverse adesioni, sia singole sia di giornali cartacei ed on-line con i quali siamo collegati. Stiamo ora cercando di concretizzare questo appello con contatti singoli con le varie testate. A breve proporremo un programma concreto delle cose che vorremmo realizzare. Di sicuro non molleremo quella che è oramai diventata una questione fondamentale per la salvaguardia della nostra democrazia. È mostruoso che, nella nostra Repubblica nata dalla Resistenza al nazifascismo, si debba assistere tutti i giorni alla diffusione di idee razziste e fasciste sulla questione islàm o sulla questione della “guerra mondiale a pezzi” del tutto simili a quelle che diffondevano i nazisti in Germania quando presero il potere nel 1933. Anche allora c'era una campagna di stampa forsennata contro gli ebrei simile a quella che fanno oggi Salvini e soci utilizzando la disponibilità di tutte le tv pubbliche e private. Cercheremo, a tale proposito, di realizzare un dossier che racconti la propaganda nazista degli anni trenta e la metta a confronto con quanto sta accadendo oggi. Ci accorgeremmo allora che fra islàmofobia e antisemitismo ci sono similitudini profonde che dovrebbero far riflettere tutti i cittadini democratici del nostro paese.

 

Roberto Fantini

(da Free Lance Internationa Press, 30 aprile 2015)


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