L'Africa è uno dei più giovani continenti sulla terra, con almeno il 75% della sua popolazione sotto i 35 anni affamata di successo economico e di prosperità. L'aumento del numero di africani,1 prevalentemente giovani, che compiono l'azzardo di attraversare il Mediterraneo in un disperato tentativo di entrare in Europa illegalmente, è causa di una grave preoccupazione. Il giornalista Desmond Davies, in un articolo apparso sul numero 544 di NewAfrican nel novembre 2014, riflette sul perché i giovani africani, che riempiono i titoli dei giornali di tutto il mondo, sono così disperati da lasciare un continente che, se le statistiche economiche dicono qualcosa, potrebbe portare loro ad un luminoso futuro.
Secondo un report pubblicato nel settembre 2014 dall'International Office on Migration (IOM), dal 2000 circa 40.000 persone, principalmente giovani, hanno perso la vita nel tentativo di entrare illegalmente in Europa partendo dal Nord Africa e attraversando il Mar Mediteranno. Durante lo stesso periodo altre 3.000 persone sono morte nel deserto del Sahara e nell'Oceano Indiano. L'IOM ha definito queste vittime come parte di un «crimine epidemico».
Le autorità in Italia, una delle principali destinazioni dei migranti attraverso il Mar Mediterraneo, hanno osservato che l'onda della immigrazione illegale ha raggiunto «proporzioni bibliche». Nel 2013 l'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), ha calcolato che in 63.000 – non solamente dall'Africa sub-Sahariana – hanno compiuto il pericoloso viaggio. Nei primi sei mesi del 2014 più di 60.000 persone hanno già raggiunto l'Italia e la Guardia Costiera intercetta giornalmente le imbarcazioni che trasportano illegalmente i migranti.
Il report IOM, compilato dal Missing Migrants Project, evidenzia che l'Europa è la più pericolosa destinazione per la migrazione irregolare, ed è già costata la vita a 3.000 migranti dal maggio del 2014. Il Missing Migrants Project spera inoltre di portare una voce potente come deterrente al fine di evitare che le future possibili vittime si imbarchino in questi pericolosi viaggi. Il portavoce dell'IOM Leonard Doyle osserva che: «le persone stanno già cercando informazioni sui migranti dispersi su Facebook. Noi sappiamo bene che le persone stanno in contatto fra di loro nel mondo usando Facebook e altri social media... Noi vogliamo usare l'hashtag #MissingMigrants come uno strumento per avvisare i futuri migranti contro i pericoli di questi viaggi. E questo lo vogliamo fare non con un poster o con uno spot alla radio, ma con il più persuasivo mezzo, ovvero le voci dei sopravvissuti e dei famigliari dei migranti scomparsi».2
Le motivazioni che spingono gli africani ad emigrare sono diverse. Dall'est Africa e dal Corno d'Africa, la motivazione è fuggire dalle guerre presenti nella regione, mentre i migranti dall'Africa centrale e occidentale sono spinti da motivazioni economiche.
Le associazioni criminali cercano di approfittare della disperazione delle persone, infatti l'Ufficio delle Nazioni Unite per le Droghe e il Crimine (UNODC), ha osservato all'inizio del 2014: «ogni anno, circa 55.000 migranti sono trasportati illegalmente dal Nord Africa e dall'Africa orientale e occidentale in Europa, generando circa $150 milioni di reddito per i criminali».3
L'IOM inoltre osserva che la maggior parte delle morti sono il risultato di deliberate ingiustizie, maltrattamenti, indifferenza o torture ad opera degli sfruttatori, e alle volte sono causate da incidenti ad opera dei migranti stessi. Inoltre lungo tutte le rotte i casi di violenza sessuale sono riportati comunemente dalle donne, sopratutto dalle donne del Corno d'Africa, così come lo sfruttamento sessuale e la sparizione di donne e ragazze.
All'annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA), il presidente del Ghana Yahya Jammeh ha definito la situazione dei migranti africani un «genocidio», e ha aggiunto: «Le Nazioni Unite devono condurre una completa e imparziale indagine sulle stragi che avvengono nel Mar Mediterraneo, nel tentativo di portare giovani africani in Europa. Se queste imbarcazioni sono in grado di attraversare l'Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo per poi affondare difronte alle coste europee, dobbiamo trovare le forze misteriose che nelle coste europee del mediterraneo causano l'affondamento delle imbarcazioni e la morte di tanti giovani africani». E ha concluso osservando che: «è necessario intervenire in fretta se non vogliamo fallire nel nostro intento».
Detto ciò, una domanda che deve essere posta è la seguente: che cosa sta facendo l'Unione Africana nei confronti di ciò che è indubbiamente un grande problema sociale per l'intero continente?
Gli immigrati illegali provenienti dall'Africa sub-sahariana sono soprattutto giovani uomini in età lavorativa, fra i 18 e i 35 anni. Perché queste persone devono correre gravi rischi per trovare migliori opportunità di vita in Europa?
Quando fu avviata l'Unione Africana (AU) a Durban proprio 10 anni fa, i leader del continente vollero chiaramente affermare che non si trattava di una continuazione dell'Organizzazione dell'Unità Africana (OAU), sotto un differente nome, ma si trattava di un'organizzazione che avrebbe guidato lo sviluppo del popolo africano a obiettivi insperati.
Alla prima sessione della Conferenza dei Ministri dell'AU che si è svolta nell'ambito del Social Development a Windhoek nell'ottobre 2008, i politici hanno sottolineato che il programma di sviluppo sociale dell'Unione Africana, dovrebbe essere basato su di un approccio centrato sull'uomo, e quindi promuovere e diritti e la dignità umana.
Comunque i ministri hanno osservato che: «questa aspirazione è probabilmente non realizzabile fino a che la crisi dello sviluppo sociale continua a interessare il continente – riflessa, tra l'altro, in alti tassi di malattie, nella carenza delle infrastrutture di base e dei servizi sociali, in inadeguate cure sanitarie e mancanza di servizi; nella difficoltà ad accedere all'educazione di base e alla formazione; in alti tassi di analfabetismo, nell'ineguaglianza di genere, nella marginalizzazione giovanile, nella instabilità politica in molti Paesi».
Da queste premesse l'Unione Africana ha elaborato un Social Policy Framework (SPF), per l'Africa. Tra i 18 argomenti chiave vi erano la gioventù e la migrazione. È stata inoltre riconosciuta che l'elevata disoccupazione e sottoccupazione delle giovani generazioni del continente era una delle maggiori sfide dei governi africani.
Il documento infatti chiarisce: «la maggior parte delle persone che lavorano sono impiegati in attività a basso reddito, in posizioni temporanee, lavorando molte ore in condizioni economiche precarie, spesso con poche o nessuna protezione. Questa tipologia di lavoro persisterà anche nel futuro. I giovani in Africa iniziano presto la vita di strada, dedicandosi al commercio di frutta, delle carte telefoniche e di altri beni mobili. Le generazioni giovani in Africa sub-sahariana sono seconde solamente a quelle dell'Asia del Sud per quanto concerne la vita in povertà e fame. Nonostante l'espansione dei governi democratici sul continente, e l'incremento della partecipazione dei giovani alla politica, le organizzazioni giovanili denunciano che non tutto è stato ancora realizzato.
I giovani sono spesso visti dai governi più come una minaccia che come un partner. Soprattuto le strutture giovani e i progetti sono raramente sufficientemente finanziati e le giovani persone spesso sono prive della capacità o del know-how per operare indipendentemente o per implementare programmi previsti dalle politiche nazionali».4
In base a quanto delineato nelle pagine precedenti, è lecito domandarsi se i giovani africani siano pronti ad assumere il rischio e a intraprendere la pericolosa attraversata per l'Europa? La disperazione di questa generazione è palpabile.
All'apice della resistenza irachena alle forze americane, dopo l'invasione dell'Iraq nel 2003, i giovani africani erano pronti a lavorare nelle compagnie di sicurezza privata, in quel calderone che era Bagdad, per 100 dollari americani al mese. Ma molti poi ritornarono a casa perché non potevano resistere alle alte temperature. Pertanto, per coloro che possono aver provato l'Iraq, attraversare il Mediterraneo potrebbe essere una "bazzecola".
Nonostante gli ostacoli e le opportunità di crescita del continente la migrazione dall'Africa continuerà, e l'UA è al corrente di ciò. Infatti tale situazione fu rilevata nel 2006, quando l'UA osservò che su 150 milioni di migranti nel mondo, 50 milioni erano africani.
Difatti, quando Muammar Gheddaffi era al potere in Libia, quasi 2.5 milioni di africani sub-sahariani emigrarono in Libia perché il Paese forniva lavoro e la gestione era interamente a carico della AU. Ma una volta che Gheddaffi fu spodestato nel 2011 dai ribelli appoggiati dall'Occidente, gli africani con la pelle più scura non furono più tanto ben voluti.
L'IOM riporta esplicitamente: «ciò nonostante l'impressione che la Libia possa fornire buone opportunità di impiego agli africani sub-sahariani continua ad attrarre decine di migliaia di migranti ogni anno. Molti non hanno intenzione di attraversare il mare per entrare in Europa quando lasciano il proprio Paese d'origine; comunque poi la maggioranza decide di tentare la traversata per fuggire ai maltrattamenti delle autorità e dei locali nella post rivoluzione».5
E aggiunge: «soprattutto la competizione per lavori a bassa specializzazione è aumentata con il più ampio flusso di migranti che entrano nel Paese, e questo significa che la disponibilità di lavori non sempre corrisponde alle aspettative di coloro che arrivano». Inoltre il report aggiunge anche che l'immigrazione dai Paesi dell'Africa sub-sahariana è influenzata dall'alto tasso di natalità, che fa si che 40 dei 50 paesi con il più alto tasso di natalità siano proprio in Africa.
La pressione che la demografia esercita sull'economia africana, sulla sicurezza alimentare, sulla sicurezza fisica, sui servizi, è e continuerà ad essere grande. Nell'incontro tra crescita delle ineguaglianze e ricerca di opportunità nel mercato del lavoro, in assenza di una distribuzione equa di redditi e di risorse, sembra chiaro che porterà sempre ad una gestione problematica di questa grande popolazione, osserva l'IOM. Una conclusione attesa è che le giovani generazioni cercheranno migliori opportunità fuori dal sud-Sahara, attraverso l'immigrazione. Pertanto l'immigrazione clandestina è destinata a continuare.
L'IOM ritiene inoltre che il suo report possa contribuire a fare chiarezza su quanto molti considerano essere un'epidemia in crescita di crimine contro i migranti; per l'IOM il report è un primo step verso una maggiore comprensione su quanto accade alle vittime e un monito per i governanti.
Il direttore generale dell'IOM William L. Wing osserva: «le limitate opportunità per una migrazione sicura e regolare, conduce i migranti nelle mani di trafficanti di esseri umani che sono incuranti della vita di gente disperata. Dobbiamo porre una fine a questo ciclo. I migranti privi di documenti non sono criminali, ma esseri umani che hanno bisogno di protezione ed assistenza e meritano rispetto».
L'IOM sostiene che i pericoli della immigrazione illegale dovrebbero essere costantemente evidenziati, in modo da fungere da deterrente: «il nostro messaggio è chiaro: i migranti sono in pericolo», sostiene Wing, e aggiunge: «è tempo di fare di più che contare il numero delle vittime. È tempo di coinvolgere il mondo al fine di fermare la violenza contro i migranti disperati». L'IOM ritiene che il vero numero di decessi sia probabilmente più alto. Il suo report utilizza dati statistici compilati dai governi e da altre agenzie, come le ONG, ma la raccolta di dati sulla morte dei migranti non è mai stata una priorità per la maggior parte dei governi nel mondo.
Il capo della ricerca dell'IOM, Frank Laczcko, sostiene che: «sebbene ampie somme di denaro siano spese per raccogliere informazioni in merito a migrazioni e controllo dei confini poche agenzie raccolgono e pubblicano dati sulla morte dei migranti».6
Molti decessi avvengono in regioni remote del mondo e non sono mai registrate. Nessuna organizzazione a livello globale è attualmente responsabile per un monitoraggio sistematico del numero di morti. Secondo Lazcko i dati tendono ad essere disseminati tra un ampio numero di organizzazioni coinvolte nella raccolta di informazioni sui decessi. Alcuni esperti ora credono che per ogni cadavere scoperto, ci siano almeno altri due cadaveri che non sono mai stati scoperti.
Missing Migrants Project è un progetto che usa i social media per favorire la comunicazione attorno al mondo. A seguito di un affondamento di un'imbarcazione a Malta in cui sono morti più di 500 migranti, nel settembre scorso, gli uffici dell'IOM hanno ricevuto chiamate e email dai familiari in Europa e in Medio Oriente, che cercavano notizie in merito ai parenti scomparsi, molti dei quali mai trovati, che ritenevano morti.
Da tutto ciò emerge la necessità per i governanti africani di contenere la povertà attraverso piani di sviluppo economico al fine di poter offrire delle opportunità ai giovani africani nei propri Paesi.
Infatti l'African Union 's Social Policy Framework sostiene che la relazione tra sviluppo economico, commercio e migrazione è di estrema importanza.
Lo sviluppo sociale futuro dell'Africa dipenderà, tra le altre cose, dall'estensione con la quale gli Stati membri dell'Unione Africa saranno in grado di adottare e di implementare le raccomandazioni chiave del Social Policy Framework.
È un imperativo pertanto che l'implementazione e l'impatto del di questo documento sia effettivamente monitorata e valutata. Ma fino a quando i governi africani non avranno a cuore l'impiego altamente professionalizzato dei giovani, le nuove generazioni continueranno a rischiare la vita nel tentativo di attraversare le perigliose acque del Mediterraneo, in cerca di ciò che essi credono possano essere migliori opportunità.
Simone De Andreis
1 Cfr. Casale E., “Le disperate rotte dell'immigrazione”, in IPSI Commentary 4 ottobre 2013. Cfr. inoltre XXIII Rapporto Immigrazione Caritas Migrantes "Tra crisi e diritti umani", edizioni Iodos, 2013.
2 New African, 48th Year November 2014, n. 544.
3 Ibidem.
4 Ibidem.
5 Ibidem.
6 Ibidem.