Roberto Fantini
Odisseo e le onde dell’anima
Graphe.it, 2013, pp. 72, € 9,90
(disponibile ebook, € 4,49)
[...] e dove ancora vogliamo arrivare? Al di là dal mare? Dove ci trascina questa possente avidità, che è più forte di qualsiasi altro desiderio? Perché proprio in quella direzione, laggiù dove sono fino ad oggi tramontati tutti i soli dell’umanità? Un giorno si dirà forse di noi che, volgendo la prua a occidente, anche noi speravamo di raggiungere un’India, ma che fu il nostro destino naufragare nell’infinito? Oppure fratelli miei? Oppure?
Friedrich Wilhelm Nietzsche, Aurora
Tre dipinti dell’autore accompagnano il testo e ne corteggiano la parola, sono il silenzio del dire, soste tra sogni, incubi e rincorse, memorie trascolorate dal tempo nella polisemia del mare colto nelle sue increspature, tempeste ed albe, notti insonni e sonno benefico, cimitero d’anime e deserto d’acqua che ha bisogno di terra, di moli, di approdi e di un altrove dove la vita si tuffi nella morte senza interruzione di tempo, senza separazione di mondi.
L’ondeggiare del mare trasmette dolci luminosità mattinali e notturne e, confusa tra il bleu a fondo nero della copertina, s’intravvede una barca che s’abbevera ebbra fino al vortice stellare dell’immagine conclusiva del libro accompagnata dalla poesia di Gialal ad-Din Rumi. La parola dell’autore segue la rotta del viaggio assecondando con il ritmo del mare il flusso coscienziale di Odisseo. Una modalità di scrittura entro cui la sua solitudine si rincorre come le onde e crea mulinelli, tempeste e soste assediata da fantasmi e soliloqui. Un diario di bordo questo lavoro di Roberto Fantini, appunti che riportano pensieri e lasciano spazi bianchi tra un giorno e quello successivo, spazi di silenzio anch’essi umidi di mare, salsedine e pensieri rimasti nel fondo dell’acqua e del cuore.
«Sì, forse la mia vita è simile a quella del mare, la mia corsa è la stessa di quell’onda rifulgente di sole che si illude di andare ma non va, che si illude di essere e non è».
«Forse il mio viaggio avrà fine quando mi accorgerò di non essere mai partito».
Da subito si configura un dolore dell’universo che accompagna persino gli Dei, corrosi dall’incalzare di un tempo che, per loro, non è mai cominciato e che, per me, forse, ha finito di essere.
Il dialogo con Aiace riporta alla vacuità di quelli che sembrarono agli uomini e alla storia, vittorie e sconfitte eroiche. È il conversare di due grandi, intenso, drammatico, interrogativo per Odisseo la cui vita ha ben poco “tempo da versare” e chi da un “altrove” sembra abbracciare il proseguimento nell’infinitezza della vita nella morte. Poi mi siedo accanto al suo respiro e aspetto la notte. Ci sarà mai una storia che non viva del suo passato ma che tenda, senza guardarsi indietro ad un luogo senza tempo? Parlo della colomba dell’anima che non invecchia, che riesce a non incrostarsi le ali di sale, che riesce a scrutare i confini dell’uomo attraverso i suoi occhi vaganti sulla sfera del tempo. E, a sera, mentre il mare s’increspa e le onde traspaiono rifrazioni, baluginano i ricordi e pesano e feriscono; partenze, addii, occhi di donna che lo aspettano... dove non potrà né vorrà tornare tanti sono stati i cambiamenti avvenuti dentro di sé e …quando s’attende qualcuno, si attende sempre l’arrivo di qualcun altro… Quando c’è sosta al viaggio, allora fermano il tempo accoglienti piazze affollate di gente e gomitoli di viuzze; e mille sono i colori dei vestiti, tappeti, volti, di mani che si stringono e si toccano. Un vortice che s’avvolge di un unico colore, entro cui abitano persone di luoghi diversi e che, a mio avviso anticipa quell’“altrove” di infinite anime congiunte che Roberto Fantini dipinge a chiusura del suo lavoro. La ricerca quindi sembra significarsi nel suo scavare in se stessa, nel suo esistere senza finalità, nell’essenza che la veste di slancio e la rende nel contempo inarrivabile in una continua tensione dell’essere. Un giorno Penelope finirà di attendere. …quando sfiorando uno specchio, incontrerà dentro i suoi occhi l’assenza del tempo. E la nave e il molo sottolineano la dicotomia che agita Odisseo. C’è chi è fatto per partire, chi per rimanere, chi anche non sa se è nato per partire o per rifiutare ogni partenza, se è nato per rincorrere perpetuamente un orizzonte in eterna fuga o per amare soltanto l’orizzonte immobile come una cornice d’alabastro. È il silenzio muto del mare a far risuonare più nitide le parole spezzate di Odisseo, la richiesta di “cosa si avverte quando si muore” che rivolge ancora ad Aiace… c’è un tempo? anch’esso scorre di memoria, anche lì torna il passato? Mai niente, neanche dopo sarà disvelato? ...e in vita crediamo di vivere e non viviamo, e in morte di morire ma non moriamo.
«Odisseo questa è la tua vittoria, la vittoria di chi è riuscito ad amare, ancor più di sé, Il Nulla».
La sensibilità introspettiva dell’autore si evince dalla scorrevolezza con cui si passa dalla prima alla terza persona, come in un camminarsi a fianco per indicare dalla storia personale un cosmo più ampio almeno per quanto ci è dato di vedere dal mare fino all’ultima stella. Ma è soprattutto in quelle viuzze colorate di gente di tutte le razze, di mani che si stringono, di colori che da diversi si fondono in un “insieme amato” che Roberto Fantini ha dipinto per tutti noi un suggestivo possibile incontro.
Patrizia Garofalo