Dino Fiumalbi
La neve e il vermentino
Carmignani editrice, 2015, pp. 102, € 10,00
Primo romanzo di Dino Fiumalbi, La neve e il vermentino si apre con una finestra spalancata nell’aria gelida della mattina. Siamo in un rifugio di montagna, zona Apuane: «Tese gli orecchi ai rumori del bosco vicino e a quelli più sfumati della valle di sotto. Sulla destra del pianoro si staccava una parete verticale. Secondo la leggenda era stata generata dal colpo d’ascia di un gigante». Crea attesa introducendo i due protagonisti, Tommaso e Teresa, lui gestore del rifugio e guida alpina, lei dottoressa e ispettrice del CAI. Neve e vino, il vermentino, appunto, saranno complici di incontri di fuoco.
Escursionisti passano dal rifugio, eventi si incrociano e portano in diversi contesti ambientali, nuovi personaggi si delineano accanto ai protagonisti, destinati, quest’ultimi, a incontrarsi e lasciarsi, sempre in fuga per malintesi e non detto, per gesti mancati rimasti bloccati dall’orgoglio. Si attirano e si respingono, gli spigoli del loro carattere sono il nemico più grande dell’intesa.
In questa continua ariostesca fuga si interpongono distanze di spazio e di tempo in cui Fiumalbi torna al suo amore per la ricerca storica ed apre su fatti drammatici del Novecento -la strage di Sant’Anna di Stazzema-, ma recupera anche leggende legate a quei monti.
Una caratteristica spiccata di Fiumalbi, lui stesso ancora con qualche spigolo nella gestione del materiale della storia, è senza dubbio la padronanza del linguaggio, che offre inaspettati “capelli color ribelle” o è capace di immaginare un silenzio che “teneva caldo come un piumino”. Dove ogni tanto si trovano incastonate parole di una cultura contadina ormai dimenticate, accanto ad un registro generalmente alto, talora decisamente scientifico, in cui una parentesi di dialetto messo in bocca ad un montanaro fa da curioso contrasto.
Si sente una diffusa aderenza all’essenza delle cose, quasi si volesse coglierne l’anima -anche se si tratta di semplici assi di legno-, allo spirito dei boschi, alla vita degli elementi. Ma anche una sensualità forte nell’incontro dei corpi, totale. Tuttavia l’ironia – caratteristica toscana di cui l’autore si dimostra un sicuro esemplare – è trasversale a tutto il romanzo, una ironia lieve, una voglia di scherzare con la vita, per dimostrare che non si deve prendere troppo sul serio, si tratti di gioia o di dolore, forse per ragioni scaramantiche o per dignità.
Marisa Cecchetti