Una nuvola, quasi un tenero cappello dalle larghe tese, gravita sulla cima dell'imponente monte. Un monastero – Khor Virap – guarda da lontano la silenziosa scena, il cielo sopra è una lastra blu (o almeno così s'immagina, dato che la fotografia è in bianco e nero). Il monte è l'Ararat (o anche Արարատ), 5165 metri, l'ultimo rifugio della biblica e mitica Arca, così sacro alla memoria armena. Khor Virap è un monastero del XVII secolo, la cui pietra reca in sé una bellezza struggente. Non meno suggestiva è La Chiesa di Santa Hirpsimé, a Edjmiatzin, o la Cappella Rupestre di San Gregorio a Geghard. Le pareti interne di quest'ultima sono dei magnifici ricami di pietra. Si staglia fra erbe e volta celeste, solcata da nubi in fuga, la Chiesa di S. Astvatzatzin, a Sevan, su un meraviglioso lago dalle acque blu. E il viaggio prosegue a Tatev, Noravank, fra cappelle e khatchkar, le caratteristiche croci armene di pietra, un itinerario ricco e silenzioso, come solo l'Armenia sa offrire.
Le fotografie (76) di Elio Ciol, in mostra al Museo delle Culture di Lugano (Heleneum), sono davvero splendide, evocative quant'altre mai di un'architettura e di una spiritualità che costituiscono un unicum, crocevia fra mondi, segno e simbolo di una religiosità profonda, antica, pacifica. Gli adoratori della croce è il titolo di questa esposizione allestita sino al 10 maggio al Museo delle Culture il quale s'affaccia su un venusto scenario lacustre, perfetto e sereno contenitore-pendant di quelle immagini.
«La fotografia non è solo un'immagine, ma un'opera, pigmenti in carta» spiega la curatrice e ricercatrice del MCL Adriana Mazza. «Ed Elio Ciol è un fotografo di bottega nel senso che rivendica ancora la qualità artigianale del suo lavoro». Un lavoro che rientra nel progetto Esovisioni, che pone in relazione la grande fotografia del Novecento e le più disparate culture e che mette l'accento sull'immaginario, più che sull'immagine, delle stesse. «L'esperienza del viaggio è lasciare qualcosa di conosciuto pur con l'idea di farsi sorprendere, in un incontro che si rinnova momento dopo momento. E il viaggio di Elio Ciol si rivela molto intenso, con la rievocazione delle architetture tradizionali, legate a un periodo piuttosto ampio, e alla cultura degli antichi Armeni che sempre rivive, anche se tutto viene raccontato attraverso l'assenza» (non compaiono mai persone negli scatti, nda). E perché le croci armene, florilegi di pietra, fenomenali arzigogoli, sono un po' diverse dalle altre? Quali ulteriori simboli, oltre all'atavica fede, posson celare? Di certo la pietra è assoluta protagonista del reportage. «I primissimi piani sui solchi di tufo che disegnano le croci sembrano ancora riecheggiare degli strumenti utilizzati dagli scultori di un tempo lontano. Le volte delle cappelle sono ancora abitate dai canti liturgici della tradizione. E lo sguardo può farsi tatto, e sentire così le asperità sulle facciate dei monasteri, dove migliaia di pellegrini hanno lasciato nei secoli un segno del loro passaggio in segno di devozione».
Il 2015 è peraltro anno fatidico per il popolo armeno in quanto in esso cade il centenario del genocidio che esso dovette subire: deportazione e uccisioni, un dramma per generazioni e generazioni, con la conseguente forzata diaspora. Un'odissea fra oblio e memoria (lungi, almeno come metabolizzazione, dall'esser compiuta?). Merito della mostra è anche quello di riportare l'attenzione su quella gente, su una tragedia epocale, sul vizio della storia e sulla forza degli ideali che sanno resistere alla violenza... «Il desiderio di scolpire le croci, quasi il racconto di una via crucis anticipata...», chiosa Elio Ciol, 86 anni portati in maniera incredibile, uomo di poche, ma scolpite, parole nonché uno dei più famosi maestri della fotografia italiana.
«Queste foto suscitano la vertigine del tempo, la loro resa è straordinaria. Fotografie come un grido. Croci ma non solo croci: figure zoomorfe e rimescolamenti di civiltà. E il segno nella pietra dura nel tempo», aggiunge Lorenzo Sganzini, direttore del Dicastero Attività Culturali della Città di Lugano.
Vale la pena di riportare quanto scritto da Ermanno Arslan... «Constatai come le strutture edificate non imponessero una misura al territorio, come avviene in tante altre culture architettoniche, specie nella nostra, ma vi si adeguavano, con una distribuzione che evitava le perimetrazioni chiuse, le rigide simmetrie. Vi è così sempre una naturale complementarietà tra chiese e monasteri e gli scoscesi e rocciosi paesaggi che li circondano. Le fortezze sembravano proporsi come naturale conclusione delle montagne, come, per esempio, ad Amberd. L'edificio medievale in Armenia appare quasi come una naturale emergenza dal terreno, quasi sempre proponendosi come perfettamente conclusa in se stessa, giustificata soltanto dal contesto naturale nel quale è collocata: le montagne, i laghi, gli ampi spazi verso l'Ararat, oltre l'ingiusto confine».
«È un ritratto lirico, giocato nell'esaltazione del contrasto fra luce e ombra, che intende deliberatamente suggerire l'amore per il Creato e la forza della Fede. Gli “adoratori della croce” sono coloro che hanno sostenuto e incoraggiato le mani degli invisibili scalpellini che, dall'Alto Medioevo a oggi, sono stati in grado d'interpretare l'inesausto bisogno di una religiosità collettiva capace di ricondurre a unitarietà le aspettative, spesso disattese, della Storia». Magnifico, inoltre, il catalogo, a cura di Adriana Mazza ed edito (Esovisioni/9) dalla Giunti di Firenze.
Dulcis in fundo... In contemporanea a tale mostra sono allestite le altrettanto preziose esposizioni L'arte e la danza balinesi nella Collezione Wistari. Diario di una cosmopolita (al piano terra) e Jingju. Il teatro cinese nella Collezione Pilone (al 1° piano). Anch'esse proseguiranno sino al 10 maggio. Ed ambedue, a loro volta, imperdibili.
Alberto Figliolia
Gli adoratori della croce. Elio Ciol. Fotografie Armenia 2005. Sino al 10 maggio 2015, dal martedì alla domenica ore 10-18 (orario continuato). Museo delle Culture di Lugano, Heleneum, via Cortivo 24/28, Lugano-Castagnola, Svizzera.
Info: tel. +41 (0)58 8666960; fax +41 (0)58 8666969; www.mcl.lugano.ch; info@mcl.lugano.ch.
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