Una buona notizia per tutti coloro che continuano, nonostante tutto, a credere nella giustizia di questo mondo (indipendentemente da quanto accada e non accada nel nostro paese): la Corte di Stasburgo ha riconosciuto come “torture” le brutali quanto gratuite violenze compiute dalle forze dell’ordine all’interno dei locali della scuola Diaz, durante il G8 di Genova del 2001.
In particolar modo, a salutare tale autorevole pronunciamento internazionale con soddisfazione carica di speranza, sono state quelle associazioni, come Amnesty International ed Antigone, che da anni lavorano per far diventare realtà anche in Italia l’istituzione del reato di tortura.
Più volte, su Flip/Diritti Umani, ci siamo soffermati a riflettere sulle vicende di Genova, sul fenomeno della tortura e sui gravi ritardi politico-legislativi italiani. E ancora una volta ci siamo rivolti a Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, per cercare di ragionare sulla irrisolta problematicità della situazione italiana.
– Patrizio, condividi la reazione amara di Daniele Vicari (regista del film Diaz) che ha sottolineato quanto sia triste che, a quasi 15 anni di distanza, a dirci che ci fu tortura sia stata “un'entità esterna” al nostro paese?
È effettivamente triste che il nostro Paese non sia capace di autoriformarsi ma che, come è già accaduto con la sentenza Torregiani sul sovraffollamento penitenziario, debba aspettare condanne europee. Purtroppo non esiste una cultura istituzionale sui diritti umani. Li si ritiene un intoppo piuttosto che un dovere pubblico e un bisogno sociale. Le brutalità della Diaz raccontate da Vicari hanno fatto il giro del mondo. Dobbiamo ringraziare Vicari per avere fatto sapere anche ai più giovani cosa è stata la follia criminale di quei giorni genovesi.
– Innanzitutto, proviamo a fare un breve “riassunto delle puntate precedenti”? Dopo anni di inchieste, udienze, ecc., chi sono gli unici responsabili accertati delle violenze di quella notte terribile e che tipo di sanzioni hanno ricevuto?
Per le violenze genovesi alla Diaz non è stato punito neanche un poliziotto di quelli che hanno pestato. Le condanne sono intervenute nei confronti di alcuni quadri dirigenti accusati di avere occultato, falsificato o manomesso prove. Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell'Aisi, l'ex Sisde, è stato condannato a quattro anni di carcere al pari di Francesco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine nel 2012, ma direttore del Servizio centrale operativo (Sco) nel 2001. Vincenzo Canterini, all’epoca dei fatti comandante del Reparto mobile di Roma e successivamente andato in pensione, è stato condannato a cinque anni di carcere. Gilberto Caldarozzi, al momento della sentenza capo dello Sco, organismo di cui era vicedirettore nel 2001, è stato condannato a tre anni e otto mesi. Spartaco Mortola, ex capo della Digos di Genova, al momento della condanna impegnato nella Polizia Ferroviaria di Torino, è stato condannato anch’egli a tre anni e otto mesi. Stessa condanna anche per Filippo Ferri, ex capo della Squadra Mobile di La Spezia, al momento della sentenza capo della Squadra Mobile di Firenze, Fabio Ciccimarra, ex commissario capo a Napoli, al momento della sentenza Capo della Squadra Mobile de L'Aquila, Nando Dominici, capo della Squadra Mobile di Genova, Carlo Di Sarro, vice capo delle Digos di Genova al tempo delle violenze e commissario nella cittadina di Rapallo nel luglio del 2012, gli ispettori dello Sco Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi e Davide Di Novi, Massimo Di Bernardini, vicequestore della Squadra Mobile di Roma nel 2011 e poi riformato dopo un grave incidente in moto. Il provvedimento di indulto votato e deciso dalle Camere nel luglio del 2006, osteggiato e criticato da molti esponenti di primo piano delle forze di Polizia che vi leggevano un regalo alla criminalità e un rischio per la sicurezza pubblica, ha determinato tre anni di sconto di pena per tutti, consentendo ai condannati di evitare l’ingresso in carcere. Tutti hanno ottenuto la concessione di misure alternative direttamente dallo stato di libertà.
– Dopo il pronunciamento europeo, siamo in grado di farci un'idea più esatta di quanto accaduto alla Diaz e, soprattutto, del perché di tanta crudeltà?
Non è facile dirlo. Ci sarebbe voluta una commissione di inchiesta parlamentare per scoprirlo, ma la sua nascita fu osteggiata a destra ma anche nel campo del centrosinistra, ad esempio dall'Italia dei Valori.
– Più o meno tutti, in questi giorni, dichiarano a gran voce e con sconfinata indignazione che la mancanza di una codificazione giuridica del reato di tortura rappresenta una vera e propria “falla” e che il Parlamento dovrà, senza più esitare, colmare al più presto tale intollerabile vuoto. Siamo al solito teatrino degli opportunismi di rito o possiamo davvero sperare che, finalmente, qualcosa di buono accada veramente?
E ti sembra che, nel caso si riuscisse ad avere finalmente una legge che contempli il reato di tortura, ci siano in atto i presupposti per un risultato sufficientemente adeguato a quanto richiestoci a livello internazionale?
La Camera, nella tarda serata del 10 aprile, ha approvato il disegno di legge diretto all’introduzione del delitto di tortura nel codice penale e questa è una buona notizia. Dunque è ora che si giunga subito all’approvazione in via definitiva del testo per evitare altre condanne sul piano internazionale. La palla passa al Senato che speriamo faccia non presto ma prestissimo. Non vogliamo che si riapra un dibattito infinito e pretestuoso il quale potrebbe decretare ancora una volta la morte del testo, sacrificato nel gioco del ping pong parlamentare. Antigone, insieme a tante altre associazioni, aveva raccolto decine di migliaia di firme intorno a una proposta che riproduceva il testo Onu. In 24 ore la nostra petizione su change.org ha raccolto più di 45 mila firme. Il testo approvato alla Camera non lo riproduce fedelmente ma, oggi, la cosa prioritaria è avere una legge. Spetterà poi ai giudici applicarla. Nei casi delle violenze a Sassari, Napoli, Diaz, Bolzaneto, Asti avrebbe aiutato le vittime ad avere giustizia. Sappiamo che la questione della tortura è principalmente questione culturale degli operatori della giustizia e della sicurezza.
– Il magistrato Enrico Zucca, a proposito della tortura, ha recentemente parlato di «fenomeno endemico a tutte le strutture militari» e al contempo, di «tentazione di tutte le democrazie».
È triste dirlo ma sono d'accordo. Accade però che coinvolge anche pubblici ministeri e giudici. Poliziotto e Stato si sentono la stessa cosa in quanto il primo assicura la ragion di vita del secondo. Il giudice se ne fa spesso carico, così accade che la 'entificazione' del poliziotto sia fatta propria anche dal magistrato, nel nome della sovranità intangibile e illimitata del potere punitivo. Una entificazione così forte da rendere vana ogni invocazione alla primarietà fondativa della dignità umana o alla doverosità morale o alla obbligatorietà giuridica internazionale e interna delle norme sui diritti umani…
Roberto Fantini
(da Free Lance Internationa Press, 13 aprile 2015)