Vi siete mai chiesti perché alcuni cubani hanno bisogno di picchiare per imporre le loro idee?
Sarà che quando certe idee iniziano a traballare è necessario passare al secondo livello: obbligare il prossimo a credere a suon di percosse.
Da quando sono bambina il Notiziario Nazionale alla Televisione trasmette frammenti in cui il popolo colpisce un “gruppuscolo” di propri fratelli che, non essendo d’accordo con il resto, ricevono la lezione che meritano.
Le percosse, ogni volta, vengono giustificate in maniera ufficiale. “Non potevamo fare nulla, poiché si tratta dell’infervorato popolo fuori controllo”. In altri casi è possibile reprimere atti di violenza, ma diventa ingestibile quando “il popolo infervorato trattiene una manifestazione di scontento”.
La repressione ha molti volti, lo scontro pubblico è per me lo spettacolo più ovvio e meschino che un popolo si possa permettere per far valere un’idea.
In occasione del Vertice di Panama ci sono stati terribili spettacoli di violenza tra i cubani. Qualche ora prima che i presidenti Obama e Raúl si stringano la mano, piovono le offese e gli scontri abbondano mettendo in mostra la volgarità, la villania, il declino e, soprattutto, l’incapacità di alzare la testa e difendere senza paura, in maniera educata, civica ed energica il proprio punto di vista.
Dove sono gli anni di formazione spesi in tante generazioni a Cuba? Dov’è la nostra intelligenza e la nostra capacità?
È questa l’immagine barbara che vogliamo dare al mondo qualche giorno prima che il nostro paese si liberi dal marchio terrorista che per anni abbiamo portato?
È questo, seriamente, il giusto modo di recarsi a un Vertice per la pace a difendere un punto di vista, un ideale?
Questo accade da quando ho uso di ragione, oggi si nota molto di più perché ci troviamo sotto i riflettori internazionali e il nostro doloroso, deplorevole modo di agire è ben visibile. Esiste già uno stile, una scuola cubana di violenza pubblica che abbiamo deplorevolmente saputo esportare. In tutta l’isola si aggrediscono fratelli, cittadini, esseri umani in nome della politica. Le eterne fazioni di aggrediti e aggressori impazziscono. Gli opposti finiscono per compattarsi e a volte non sappiamo che accade.
La violenza incomincia nel maltrattamento verbale tra cubani, ovunque si trovino, gli scontri sono lo sfogo di questi anni di incapacità a comprenderci, perdonarci, ascoltarci, accettarci.
La guerra si scatena tra famigliari, dentro le case, sulle porte delle ambasciate e degli hotel fuori e dentro Cuba, negli aeroporti, nelle sale convegni, nei parchi e negli uffici pubblici.
Non importa se si tratta di studenti, politici, mercenari, dissidenti, militanti, artisti e intellettuali, militari, casalinghe, giornalisti, sportivi, imprenditori, ballerini; questo ormai non conta, lo scontro tra cubani arriva sempre.
All’Avana, a Santiago, a Parigi o a Miami, la situazione politica continua a creare quel fatidico impeto che finisce per allontanare un popolo che ha bisogno di pace e unità.
Cubani, attenti agli scontri, le ferite potrebbero non chiudersi mai. La parola non arriva con il sangue e credere a suon di percosse non è credere.
Wendy Guerra
(Habáname, 10 aprile 2015)
Traduzione di Silvia Bertoli