La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per l’irruzione delle forze dell’ordine alla scuola Diaz, il 21 luglio 2001, qualificando quanto avvenuto come tortura.
Il ricorso di Arnaldo Cestaro, un uomo all’epoca sessantenne, coinvolto anche lui come altre novantadue persone nei pestaggi di quella terribile azione, ha dunque trovato accoglienza: «Alla Diaz vidi un massacro» sue le parole: «mi ruppero una gamba, un braccio e dieci costole. Vidi ragazzini invocare il nome della mamma, in inglese, in tedesco e altre lingue. Non auguro a nessuno di vedere i propri figli chiedere aiuto così…»
Una sentenza approvata all’unanimità, che mette sotto accusa non solo le autorità italiane di polizia – quelle che diedero gli ordini e quelle che materialmente commisero i fatti – ma che lascia anche intendere la poca volontà di collaborare attivamente con la magistratura che indagava, dimostrata dalla Polizia italiana, fino a parlare di mancanza di cooperazione, di rifiuto di apportare alle autorità competenti l’aiuto necessario all’identificazione degli agenti suscettibili di essere implicati negli atti di tortura.
La mancanza di una legge italiana che preveda il reato di tortura ha fatto il resto. E così, grazie a questa falla cui si cerca ora tardivamente di porre rimedio, promettendone la discussione alla Camera (dove peraltro giunge assai modificata rispetto al disegno già approvato al Senato nel marzo 2014, e in peggio… a detta di osservatori competenti esterni) si è consentito ai responsabili delle atrocità compiute nel corso del blitz alla Diaz di restare impuniti, o di beneficiare di riduzioni di pena, prescrizioni e riammissioni ai propri incarichi… Col paradosso di avere perfino degli avanzamenti di carriera.
È così che le pesanti condanne di appello per falso (le uniche restate in piedi, al contrario di quelle per lesioni gravi, cadute appunto in prescrizione) comminate a Franco Gratteri, capo della Direzione Centrale Anticrimine, Gilberto Caldarozzi, vicecapo del Servizio Centrale Operativo, Giovanni Luperi, capo dell’Ucigos – Ufficio centrale per le investigazioni generali e le operazioni speciali –, Filippo Ferri, capo della Squadra Mobile della Spezia, fanno sì che vengano espulsi, ma per pochi (cinque) anni. Ferri diventerà responsabile per la sicurezza del Milan, Caldarozzi consulente per la sicurezza in Finmeccanica, proprio dal suo vecchio capo (Gianni De Gennaro, allora Capo della Polizia). Oppure Vincenzo Canterini, comandante di quel VII Nucleo Antisommossa, i cui agenti furono i primi ad irrompere alla Diaz, che, in pensione all’epoca della sentenza, dopo il 2001 assumerà prestigiosi incarichi nelle ambasciate europee e scriverà pure un libro-memoir su quanto accaduto… Altri imputati, tra le forze dell’ordine che realizzarono il blitz, torneranno addirittura ad indossare la divisa, come quel Pietro Troiani, all’epoca vice-questore della Mobile di Roma, che ordinò al suo autista di introdurre nei locali della Diaz le famose bottiglie molotov, servite a giustificare il blitz stesso e gli arresti. In quanto beneficiario di affidamento ai servizi sociali, per quei pochi mesi restati esclusi dall’indulto, Troiani ha infatti ottenuto la cancellazione dell’interdizione.
I capisquadra condannati, invece, non hanno subito alcuna interdizione a causa della prescrizione per il reato di lesioni gravi, e non hanno fatto un solo giorno di sospensione dal loro lavoro.
Ecco perché, a buon diritto, Cestaro, titolare del ricorso che ha portato ora alla condanna del nostro Paese, dice di non potersi definire felice.
«L’Italia ha ancora molto da imparare; non basta la Corte Europea. La sentenza deve essere realizzata fino in fondo. Occorre la legge sulla tortura e altre leggi giuste, finalmente. Gli Italiani dovrebbero ricordarsi della Costituzione. Il prossimo 25 aprile sia quello degli Italiani che vogliono davvero lottare per cambiare le cose», conclude, intervistato da Repubblica.
Insomma, per ora l’Europa condanna. L’Italia, no. Il nostro Paese assolve i mandanti (vedi il comportamento ancora poco noto nella sua chiarezza di De Gennaro, per il quale oggi, come Presidente di Finmeccanica, si chiedono da più parti le dimissioni, se non altro, almeno per senso di responsabilità), condanna a pene lievissime pochi tra gli esecutori materiali, assegna risarcimenti irrisori alle vittime, non si preoccupa di introdurre nuove regole per l’identificazione con numero dei propri agenti, come richiesto anche dalla Corte, non fornisce collaborazione alle indagini…
E questa nuova pagina, che arriva dopo quattordici anni dagli eventi, non sarà l’ultima: altri ricorsi sono stati presentati a Strasburgo per le violenze perpetrate presso la caserma lager di Bolzaneto, vergognoso capitolo seguito ai fatti della Diaz. Torture e trattamenti inumani, di cui si hanno ampie testimonianze, protrattisi per diversi giorni.
Attendiamo perciò una legge, e una buona legge, sulla tortura, dopo una condanna così pesante che il nostro Paese ha dovuto subire, incapace com’è stato di mettere in moto le proprie difese immunitarie, per così dire, come si dovrebbe sempre fare, per attendere ai principi di un’autentica democrazia.
E importante sarebbe pure una chiara presa di posizione del Governo, delle istituzioni, che facciano ammenda per quei terribili giorni di sospensione della democrazia in Italia e per il persistere, almeno fin qui, di colpevoli negligenze e omissioni, quando non di atteggiamenti illeciti e criminali.
Annagloria Del Piano