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Palma il Vecchio. Lo sguardo della bellezza
31 Marzo 2015
 

Altri fiumi, altri laghi, altre campagne

Sono là su, che non son qui tra noi;

altri piani, altre valli, altre montagne,

c’han le cittadi, hanno i castelli suoi…

e vi sono ample e solitarie selve,

ove le ninfe ognor cacciano belve.

(Ludovico Ariosto, Orlando furioso, 34, 72)

 

I versi ariosteschi rispecchiano le sublimi atmosfere dell’opera di Ninfe al bagno (1519-1520) di Palma il Vecchio (Vienna Kunsthistorisches Museum). Le Naidi, le ninfe d’acque dolce, venerate perché nutrivano le piante e quindi anche gli animali e gli uomini, erano amiche del canto e della poesia. L’evocazione idealizzata del mondo pastorale nel rapporto fra stati d’animo e la descrizione del paesaggio dell’Arcadia di Jacopo Sannazaro pare, anch’esso, visualizzarsi nella composizione armoniosa del dipinto di Palma, in cui “Uscirai de’ suoi nidi ombrosi e foschi / Le vaghe Ninfe, e per le rive e i fonti / Spargerai di sue man divini odori”.

Palma il Vecchio sa cogliere con maestria ogni accenno di malizia ogni sfida in quegli sguardi che sembrano “bucare la tela”, ogni piega erotica in quei corpi nudi, che precorrono di secoli Goya e Modiglioni. E i prati, i boschi, i castelli, i piccoli paesi degli sfondi, paiono magici ma veri.

Insomma, Palma il Vecchio è davvero un grande artista, come conferma la sua prima mostra monografica mondiale, organizzata in occasione dell’Expo milanese 2015 alla GAMeC – Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo, "Palma il Vecchio. Lo sguardo della bellezza" (aperta fino al 21 giugno, catalogo Skira): più di una quarantina di opere tra pale d’altare, ritratti, dipinti mitologici e allegorici, giunte da musei italiani e stranieri, che permettono di riscoprirlo e dargli il suo posto accanto a grandi colleghi come Giorgine, Tiziano, Lorenzo Lotto, Sebastiano del Piombo e vari ferraresi, veneti, emiliani, padani che respirano la stessa aria.

La mostra ideata da Giovanni C.F. Villa, permette non solo di ammirare il pittore, ma di ripercorrere idealmente o in pratica tutto il territorio bergamasco grazie a varie iniziative collegate, itinerari nelle chiese e restauri di opere come il Polittico della presentazione della Vergine e l’Adorazione dei pastori della parrocchiale di Santa Maria Annunciata di Serina e di San Lorenzo Martire di Zogno.

Palma il Vecchio nasce a Serina in Val Brebana intorno al 1480, con il nome di Jacopo Negretti o “Nigreti de Lavalle” (o anche “De la Valle”), figlio di Antonio. La data si desume dalla testimonianza di Giorgio Vasari che, nell’edizione delle Vite del 1550, lo dice morto all’età di quarantotto anni, scomparsa che gli archivi veneziani registrano il 30 luglio 1528. Non sappiamo quando l’artista arrivi a Venezia, dove è ricordato come «Iacomo de Antonio Negreti depentor» in un testamento dell’8 marzo 1510. Due anni dopo, l’8 gennaio 1513 in un altro testamento è indicato come «Jacopo Palma depentor», con il soprannome che passerà al pronipote. Quest’ultimo si prenderà l’appellativo di Giovane lasciando al predecessore quello meno felice di Vecchio.

La prima formazione avviene in ambito locale, ma già intorno ai vent’anni il giovane pittore deve essere arrivato nella Serenissima, attratto dalla fama di Giovanni Bellini, Cima da Conegliano, Vittore Carpaccio e da Vivarini. Nel 1513 diventa membro della Scuola grande di San Marco e il 5 febbraio 1514 è attestato il pagamento per la sua prima pala d’altare nota, l’Assunzione della Vergine per la Scuola di Santa Maria Maggiore, giunta in mostra dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia.

Ma prima di quella data Palma ha già realizzato dipinti sacri, mitologici, pale d’altare (La Madonna leggente della Germäldegalerie di Berlino, la Madonna col Bambino in trono tra sante Barbara e Cristina e due committenti della Galleria Borghese di Roma, le Due ninfe in un paesaggio del Städelsches Kunstinstitut di Francoforte), mettendo a punto un suo linguaggio originale in continuo dialogo con la lezione di Giorgine e la pittura di Tiziano. Un ruolo, il suo, che Giovanni Battista Cavalcaselle nel 1871 definisce come quello di «modernizzare e rigenerare l’arte veneziana» insieme ai due celebri colleghi. Nasceranno così nel secondo decennio del Cinquecento Sacre conversazioni con sfondi paesaggistici, destinate a chiese lombarde e venete. Forse al 1523-1524 risale il Polittico di Santa Barbara e vari santi per la scuola dei Bombardieri nella chiesa di Santa Maria Formosa a Venezia, ricordata dal Vasari nel 1568: «Ma la Santa Barbara è delle migliori figure, che mai facesse questo pittore».

Nasceranno dipinti mitologici come le varie Ninfe al bagno o distese in profondi paesaggi verdi sole o in gruppo, destinate a una committenza intellettuale raffinata.

Dipinti biblici come Incontro di Giacobbe e Rachele (o Promessa d’amore nel paesaggio montano), uno spaccato contadino del tempo tra nugoli di animali al pascolo: emerge un nuovo naturalismo, intriso di poesia. Ritratti femminili capaci di creare una nuova estetica, come il Ritratto di giovane donna in abito blu con ventaglio (1518 circa) del Kunsthistorisches Museum di Vienna o la Sibilla di Hampton Court, o il Ritratto di donna, detta La bella del Thyssen-Bornemisza di Madrid, figure dalle forme morbide e ampie, le vesti di seta e velluto, gli incarnati chiari e rosati. Ritratti maschili intensi, come il Ritratto d’uomo coi guanti (1517-1518) dell’Ermitage di San Pietroburgo o l’affascinante Ritratto d’uomo con mantello di pelliccia (1516 circa) dell’Alte Pinakotheke di Monaco lodato dal Vasari.

E a proposito di ritratti c’è un aspetto interessante, che la rassegna sottolinea.

Quelle opere permettono di seguire lo sviluppo della moda nel territorio della serenissima, dove si diffonde uno stile “all’italiana”, caratterizzato da una continua ricerca di novità, varietà tagli fantasiosi, ampi volumi e colori accesi, in auge nelle maggiori corte padane.

Una moda già superata nel 1528, come lamenta Baldassare Castiglione nel Cortegiano (II, XXVI), pubblicato a Venezia in quello stesso anno, quando ormai vanno per la maggiore vesti «alla francese, alla spagnola, alla tedesca», ma che i ritratti di Palma documentano nel dettaglio. Nel Ritratto di giovane donna in abito blu con ventaglio, per esempio, troviamo un look tipico italiano-lombardo di quegli anni: una veste abbondante con ampia scollatura quadrata, il corpetto allacciato da fiocchi, le maniche a sbuffo staccate con sottomaniche strette all’avambraccio, una camicia di batista di lino finissima. Il Ritratto virile, il cosiddetto Ariosto della National Gallery di Londra del 1520-1525 presenta invece l’abbigliamento di un gentiluomo: veste, sopravveste con pelliccia, camicia di battista di lino plissettata, guanti di pelle. Molta cura era poi data ai capelli sulle spalle come nel magnifico Ritratto di tre donne (1518-1520) della Germäldegalerie di Dresda. Oppure raccolti in trecce a costruire complicate acconciature trattenute da sottili turbanti di seta, secondo una moda femminile diffusa da Isabella d’Este. Capelli rigorosamente lunghi e fluenti per gli uomini, che addirittura ne aggiungevano di posticci per aumentare il volume, corta barba dal terzo decennio sull’esempio di Francesco I di Valois.

 

Maria Paola Forlani


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