Si possono fare buoni film applicando le teorie di Freud? Certo, la verità di cui va alla ricerca l’arte non si può ottenere attraverso l’applicazione di una formula, sia pure delle formule geniali dell’inventore della psicanalisi. Quella verità, quando è raggiunta, è evidentemente il frutto di una libera intuizione, che certo può nutrirsi di varie fonti culturali, ma assimilandole, rielaborandole in modo autonomo e originale.
È uscito un film che ha più di un debito con le teorie di Freud, senza tuttavia applicarle scolasticamente; ma facendone anzi il principio di un gioco.
Si tratti di Una nuova amica, diretto da quel regista di grande talento che è François Ozon.
L’amica a cui si riferisce il titolo è in effetti un uomo: il marito dell’amica del cuore di una ragazza, il quale, alla morte prematura della moglie, vuoi per compensare quella perdita, vuoi per una sua vecchia inclinazione, si mette a indossare gli abiti che erano della moglie, si trucca e calza una parrucca bionda per essere biondo come lei.
Questo cerimoniale, inizialmente privato, segreto, quando viene scoperto per un caso proprio dall’amica della moglie, diventa per la ragazza un’occasione, prima inquietante, poi liberatoria, per mettere in discussione le certezze su stessa, sul marito, sul sesso e sulla famiglia.
Scriveva Freud che la vita sessuale di ognuno di noi assomiglia al delta di un fiume: ha tante ramificazioni, sia pure inconsapevoli o inaridite.
Sembra chiedersi la ragazza: quel legame così forte, esclusivo, con la sua vecchia amica era davvero privo di un’attrazione sessuale? Lei stessa si sente coincidere del tutto con l’identità femminile? E suo marito, tanto amichevole, tanto premuroso, con l’uomo rimasto vedovo, non cela una tendenza omosessuale? E d’altro canto, l’amico che si traveste non può allo stesso tempo amare soprattutto o unicamente le donne?
È un disorientamento, il suo, che potrebbe preludere a una grave crisi. Ma l’esito finale del racconto è positivo. Non è il caos, ma un nuovo ordine: la creazione di una nuova famiglia, che rispetti la natura e i desideri più autentici dei suoi componenti.
Come anticipavo, il film di Ozon è un gioco. Quelle ambiguità, che in un film più realistico sarebbero state alluse, sfumate, qui sono nette e conclamate; rivelate attraverso una successione di colpi di scena, come in un giallo. È certo un film che non intende rispettare il principio della verosimiglianza. Ma seppure si tratta di un gioco intellettuale, di un divertimento a sfondo psicanalitico – assai raffinato: orchestra con maestria diverse “maniere” cinematografiche (e si avvale di un attore, Romain Duris, nel ruolo del travestito, che non ricordo mai così bravo) – non è un meccanismo arido, grazie allo spirito libertario che lo anima e lo illumina.
Gianfranco Cercone
(da Notizie Radicali, 23 marzo 2015)