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Simone De Andreis. Educazione: come l'Africa vincerà la sfida del futuro
12 Marzo 2015
 

La lettura di un articolo presente sul numero di febbraio 2015 della rivista NewAfrican ha permesso il delinearsi di alcune riflessioni riguardanti l'educazione e il continente africano.

Dagli ecosistemi della Silicon Valley alle periferie di Nairobi, passando per le strade pulite di Doha, gli esperti stanno informando che l'educazione, così come noi la conosciamo, sta cambiando. Non serve più ai bisogni globali un sistema educativo formalizzato e strutturato in modo rigido, oggi il sistema deve nutrire creatività e innovazione. L'educazione oggi cambia nella ricerca di soluzioni creative. Gli esperti riuniti nei vari summit puntualizzano l'importanza di un po' di "pazzia", di capacità di adattamento, di problem-solving, di innovazione, di lavoro di gruppo e di scompiglio. Dopo tutto, con un elemento di pazzia e di innovazione, Apple e Google hanno scompigliato il modo con il quale noi comunichiamo e ricerchiamo la conoscenza e le informazioni. Internet e l'utilizzo delle email ha rivoluzionato i servizi postali.

Tutto è possibile attraverso la collaborazione, la competizione e il lavoro di gruppo.

Pertanto dove sta andando l'Africa nel campo dell'educazione? Quale tipo di educazione è più adatta a servire i bisogni dello sviluppo del continente e ad essere contemporaneamente globalmente competitivo? Come riuscirà l'Africa ad imbrigliare e a utilizzare le vaste risorse umane e naturali nella direzione necessitata, come l'icona del panafricanismo Kwame Nkrumah ha sottolineato: «Consentire alla genialità africana la piena espressione».

Più di cinquanta anni fa, Nkrumah notò anche il bisogno di fornire gli studenti di una comprensione del mondo contemporaneo all'interno della cornice delle civiltà africane, delle loro storie, istituzioni e idee.

Gli studi africani furono inseriti nelle università che lui contribuì a costruire in Ghana.

La prima università nel mondo fu la africana Al Karaouine, a Fez in Marocco (859 d.C.), fondata da una donna africana. Quindi ben 229 anni prima della prima università europea fondata a Bologna nel 1088 d.C. Prima della disgregazione causata dalla schiavitù, dal colonialismo, dall'oppressione e dalla distruzione a partire dal quindicesimo secolo, la storia ci racconta delle grandi civiltà africane medievali, e della parte che le più alte istituzioni di apprendimento hanno giocato nella vita accademica e culturale africana. Non c'è dubbio che nel tredicesimo secolo, i centri dell'apprendimento come Walata, Djenna e Timbuktu hanno avuto un'impatto singolare sull'educazione africana e che l'Università di Sankore, con 25.000 studenti, è già stata qualificata tra i maggiori centri intellettuali di ispirazione nel mondo.

 

Il paradigma storico

In tutto il continente i governi hanno stabilito dei compromessi con l'eredità coloniale anche nel settore educativo. Ma l'unico paese che sta seriamente cambiando il paradigma esistente in un sistema educativo appropriato è l'Uganda.

Bwesigye Bwa Mwesigire, scrittore, avvocato e accademico ugandese, ha scritto un articolo, ospitato sul portale online This is Africa, a proposito del processo di decolonizzazione in opera in Uganda. In esso possiamo leggere: «L'esperienza africana in materia educativa è stata in sostanza guidata dai missionari. Il buonsenso convenzionale suggerisce che questo era principalmente basato su considerazioni altruistiche – anche se con sfumature razziali – al fine di portare luce nel continente nero e illuminare i suoi nativi».

La lingua utilizzata era la lingua delle potenze colonialiste. Questo sistema educativo occidentale raggiunse la popolazione nativa e introdusse la letteratura e le nuove competenze tecniche. C'è stato sicuramente del buono e del male. Molti leader africani, del passato e del presente hanno avuto una educazione occidentale. Ma era un sistema elitario.

Il sistema educativo ha significato la soppressione della conoscenza locale, ha promosso ineguaglianze attraverso un accesso iniquo, e ha contribuito a creare una mentalità cieca piuttosto che menti aperte ai nuovi modi di pensare. In definitiva la conoscenza è stata definita dai dominatori. Inoltre il sistema è stato progettato per servire gli interessi economici dei colonizzatori, che è stata, in primo luogo, la motivazione primaria.

Il professor ugandese Mahmood Mamdani sostiene, nel suo articolo Politics and Class Formation in Uganda, che l'educazione missionaria fu progettata come uno strumento di controllo, non di sviluppo e di crescita. Mamdani puntualizza: «la politica utilitaristica dell'educazione missionaria, aveva in se stessa una duplice natura: tecnica ed ideologica, che è stata impartita attraverso l'incremento di competenza quali la lettura, la scrittura, l'aritmetica, così come attraverso valori quali la fedeltà all'ordine esistente e alla disciplina del sacrificio del sé a favore del mantenimento dell'ordine».

«Questa non era educazione, ma addestramento; non liberazione, ma schiavitù. Il suo scopo non era educare una persona alla comprensione e benessere collettivo, ma addestrare una persona ad accettare e anche gestire i limiti in un modo efficiente».

In un elevato numero di casi, il sistema elitario portava a replicare e a mimare i valori e i punti di vista occidentali piuttosto che seguire le conoscenze e le pratiche locali, incluse quelle progressiste. Ma viene anche segnalata la morte dello spirito comunitario della nazione, a causa della diffusione del severo individualismo europeo, che ha soppiantato lo spirito africano del benessere collettivo.

«Lo sviluppo veloce del materialismo ha prodotto giovani uomini piuttosto educati, ma che hanno perso la capacità intellettuale di connessione di cause-effetto».

Questi giovani uomini sono in grado di leggere e di scrivere, ma hanno bisogno di un aiuto per assolvere al compito di costruire una nazione stato.

L'eminente accademico Edward Said scrive, nel suo libro Culture and Imperialism:1

«imperialismo e colonialismo non sono un semplice atto di accumulazione o acquisizione. Entrambi sono supportati e forse anche implementati da una formazione che include nozioni che certi territori e persone richiedono e necessitano di essere dominati, così come hanno bisogno di forme di conoscenze legate alla dominazione».

Bweigye Bwa Mwesigire, scrive a proposito del processo di decolonizzazione:

«Gli studenti africani imparano che gli esploratori Mungo Park (scozzese) e John Speke (inglese), scoprirono, rispettivamente, il fiume Niger e le sorgenti del fiume Nilo nonostante il fatto che le persone che vissero attorno a questi fiumi già conoscessero la loro esistenza e il loro nome. Come se non fossero vere fino a che non furono pronunciate, viste e udite dagli inglesi. E ciò che proviene dagli uffici coloniali giustifica il colonialismo. Pertanto anche attraverso l'educazione, fu nutrito il complesso di inferiorità degli africani».

Lo schema del lavaggio del cervello per giustificare la sudditanza fu replicato ovunque ed è ben illustrato nell'ultimo paese africano ad ottenere l'indipendenza, il Sudafrica, dove l'infame educazione Bantu fu progettata per fare della popolazione nera degli autisti di autobus e dei proletari.

 

Decolonizzando il curriculum educativo

Dopo aver ottenuto l'indipendenza, alcuni pensatori e politici post-coloniali, si sono orientati verso la decolonizzazione del sistema educativo, in modo da poter venire incontro ai bisogni degli africani. Tutto ciò ha avuto vari gradi di successo e di insuccesso. La maggior parte dei fallimenti può essere attribuita alla mentalità della politica africana, influenzata e formata dagli ex dominatori.

Ragionando sull'abolizione del Dipartimento di Inglese e sulla fondazione del Dipartimento di lingue e letterature africane presso l'Università di Nairobi, diversi anni fa, Ngugi wa Thiongo ha scritto:

«Noi vogliamo stabilire la centralità dell'Africa nel dipartimento. Ciò che noi abbiamo pensato è giustificabile a vari gradi, il più importante è che l'educazione ha a che fare con la conoscenza di noi stessi. Pertanto dopo che abbiamo esaminato noi stessi, noi ci apriamo all'esterno e scopriamo le persone e il mondo attorno a noi. Ponendo dunque l'Africa al centro, non come un'appendice o un satellite di altri paesi e di altre letterature, le cose possono essere viste dalla prospettiva africana».

Mwesigire osserva che in Uganda diversi passi sono stati compiuti per la decolonizzazione dei curricula educativi.

«Al momento presente gli studenti dalla classe prima alla terza, della scuola primaria, apprendono dall'ambiente circostante attraverso l'oralità. Loro imparano dalla famiglia, dalla casa, dalla scuola, dai vicini e dalle interazioni con gli alti abitanti della provincia. Questo è denominato curriculum tematico, e gli studenti studiano utilizzando la loro lingua locale, e studiando l'inglese come una materia scolastica accanto alle altre.

È dalla classe quarta che gli allievi passano allo studio in inglese. Nello studio delle Scienze Sociali, i ragazzi imparano dove è localizzata la loro scuola, dal punto di vista geografico, naturalistico, sociale. Infatti vengono studiate le popolazioni e i bisogni delle persone in quello specifico luogo. Nella classe quinta i ragazzi guardano e studiano l'Uganda, nella sesta classe l'Africa Orientale e nella settima l'Africa nel suo insieme. Non c'è dubbio che il curriculum è contestualizzato ad ogni livello. I libri di testo adottati sono quasi tutti prodotti localmente. L'industria editoriale nel Paese dunque sta crescendo perché il materiale prodotto all'estero non può essere usato nei nuovi curricula scolastici. Quindi dove John Speke sarebbe potuto essere indicato come lo scopritore del fiume Nilo, il testo della classe quinta informa che il fiume era chiamato Kiira dal popolo dei Basoga, che visse in quelle zone, e John Speke fu il primo europeo a vederlo».

 

Nuove tendenze, risorse e lezioni dal Medio-Oriente

Come può l'Africa superare il deficit educativo e rilanciare il genio africano? In altre parole come potrà liberare il genio dalla bottiglia?

Il medio-oriente sta rapidamente convertendo le sue limitate risorse naturali in risorse umane. All'interno dei propri contesti culturali, i Paesi del Golfo come gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain, il Qatar e l'Arabia Saudita stanno facendo grandi passi nel campo dell'educazione, e stanno divenendo globalmente competitivi nel mondo degli affari. Per esempio le loro linee aeree, i loro centri commerciali e di investimento stanno divenendo globali, e sono tutti costruiti tenendo in considerazione la loro cultura e la loro lingua. Le loro scuole e le loro università sono all'avanguardia e sono affiliate con le maggiori istituzioni internazionali, ma nello stesso tempo hanno profonde radici nella propria cultura e nella propria autodeterminazione.

Questo tipo di buonsenso ha guidato negli ultimi sei anni la Qatar Foundation's World Innovation Summit for Education (WISE). Il patrono è Sua Altezza Reale Sheika Moza Bint Nasser. All'annuale summit WISE a Doha nel Qatar (4-6 Novembre 2014), dal tema "Fare, Creare", il presidente Sheik Abdulla bin Ali-Thani, ha osservato che le risorse naturali e petrolifere che hanno catapultato la Penisola arabica nel novero dei più ricchi Paesi nel mondo per reddito pro capite, diminuiranno nei prossimi 35 anni. La maggior parte dei guadagni del Qatar sono stati impiegati così per lo sviluppo delle infrastrutture e dell'educazione.

Le ragioni per lo spostamento d'attenzione e investimenti sull'innovazione e la creatività non sono difficili da comprendere. Dopo tutto le risorse naturali sono esauribili, mentre la creatività e le idee innovative come Facebook o Google possono generare imprese da miliardi di dollari, che superano in valore le attività di estrazione di oro o petrolio. La conoscenza e la creatività sono risorse infinite.

Gli esperti del WISE a Doha osservano che con strumenti creativi come Google, e con connessioni internet la conoscenza è come le dita di una mano, ovvero è in grado di esplorare il sapere più velocemente. L'ignoranza non è più una scusa. Oggi conoscere è innovare e creare qualche cosa di nuovo che permetterà di guidare il mondo.

L'epoca in cui si usavano test e metodi standardizzati a scuola è in via di superamento. Oggi la scuola è online, le istituzioni sono connesse in rete e devono nutrire il pensiero creativo degli allievi. Una dissertazione, ad esempio, potrebbe anche riguardare l'influenza che un brano dance come Gangnam Style ha avuto sulla economia della Corea del Sud. Dopo tutto questo brano è stato diffuso attraverso Youtube, che è una forza creativa della tecnologia.

 

Il dopo MDGs e MDG2

Con il superamento dei Millennium Development Goals (MDGs),2 e l'avvio del MDG2 (obiettivi del millennio 2 elaborati a partire dai MDGs), l'idea di una educazione primaria universale è sempre più dibattuta e percepita come necessaria. Gli esperti sostengono che il raggiungimento o il fallimento di questi obiettivi, avrà ricadute sulla salute pubblica, sulle infrastrutture, sulle risorse naturali ed umane.

Questo è probabilmente uno degli argomenti che si discutono al WISE e che riguardano come e perché avere un approccio olistico rappresenti una strada vitale per l'educazione dei bambini. Al Summit di Doha, gli esperti di educazione stimano che sono necessari circa 26 miliardi di dollari per consentire ad ogni bambino di andare a scuola, e questa cifra è solo una frazione di quanto viene speso dalle maggiori potenze per i conflitti armati.

Sul fronte africano, gli esperti di educazione del Summit sono d'accordo che la qualità dell'educazione in Africa ha ancora bisogno di un notevole cambiamento, e molti sostengono che la sola alfabetizzazione letteraria e matematica, auspicata dal MDG2 non sia sufficiente.

L'incremento della sete di conoscenza, della creatività, dell'innovazione e lo sviluppo di una mentalità aperta, sono alcune delle suggestioni richieste per il continuo progresso. Ma quale è la posizione dei leader africani in materia? Dopo 25 anni di MDGs non vi è ancora unanimità.

 

Liberando il genio africano

Le migliori pratiche dovrebbero costituire una parte integrale dell'agenda africana. Questo significa che di dovrebbero acquisire le migliori pratiche applicate nel mondo (Gran Bretagna, Cina, India, Corea del Sud, Singapore e Malesia), e poi adattarle al contesto specifico. Alcuni esperti africani di educazione sostengono che la via è quella di progettare formazione centrata sull'Africa. Posizioni simili sono stare adottate nello sviluppo di Paesi che hanno raggiunto grandi risultati, per esempio la Cina e la Germania. Molti genitori oggi in Africa scelgono di mandare i proprio figli in scuole che attuano curricula centrati sull'Africa.

Ma cosa significa un' educazione centrata sull'Africa? Significa educare per sviluppare la gente africana, superando il senso di inferiorità al quale sono state indottrinate generazioni e generazioni di giovani africani.

L'antropologo americano Linus A. Hoskins scrive in un articolo del 1992: «Nella gente africana c'è una necessità vitale di usare le armi della educazione e della storia per liberare se stessi dal complesso psicologico di inferiorità, al fine di poter veramente percorrere una via di libertà [...]. Se la maggioranza del popolo africano diverrà afro centrica, si avrà la definitiva fine del domino europeo. L'afrocentrismo è uno stato mentale, che ha radici in una eredità ancestrale e in un comune sistema di valori».3

A partire da questi valori, la creatività dei bambini africani deve essere liberata nelle scuole, in modo da poter sviluppare strategie di problem solving e creatività da vendere in tutto il mondo.

Le idee dunque si spostano, dalle sabbie del deserto del Qatar verso l'Africa, dove i politici devono ripensare l'educazione, avendo molto chiaro in mente che è il meglio che possano fare per il loro continente. Devono altresì resistere alle forze che vorrebbero che tutto fosse lasciato così com'è, perché questo equivarrebbe a condannarsi ad un lento, ma inesorabile, suicidio. Ecco perché è urgente un cambiamento nell'educazione, che coinvolga tutti gli africani in un lavoro di gruppo.

 

Simone De Andreis

 

 

1 Edward Said, Vintage Books; Reprint edizione (1° giugno 1994).

2 La Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, firmata nel settembre del 2000, impegna gli stati a: sradicare la povertà estrema e la fame; rendere universale l'istruzione primaria; promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne; ridurre la mortalità infantile; migliorare la salute materna; combattere l'HIV/AIDS, la malaria e altre malattie; garantire la sostenibilità ambientale; sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo. Cfr. www.cooperazione­allo­sviluppo.­esteri.it; www.un.org/­millennium­goals/­education.shtml; The Millennium Development Goals Report 2014.

3 Linus A. Hoskins, “Eurocentrism vs. Afrocentrism: A Geopolitical Linkage Analysis”, Journal of Black Studies (1992).


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