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Giuseppe Galimberti. Moia Balera
06 Marzo 2015
 

La mente è un poco confusa nel freddo di una mattina di vento nel marzo appena arrivato: sente la primavera ma sa che siamo ancora in inverno, la neve si difende nel gelo notturno ma il sole di giorno la scioglie in acqua, lì sotto pronto a sostituirla sta il croco col suo bianco dal cuore arancione.

Fiore enigmatico che sa d'inverno ma profuma di primavera, fiore che ha segnato il mio modo d'essere quando mi sono affacciato alla vita.

Non andavo ancora a scuola, guardavo la montagna scura alla base, bianca appena un po' sopra, nelle boschine sull'Adda la primula dipingeva di giallo la terra ai piedi di alberi spogli, il sole di mezzogiorno scaldava la nudità delle gambe: a quel tempo le braghe erano corte anche d'inverno.

Era domenica, decisi di andare a conoscere i luoghi dove la neve si stava sciogliendo: sensazione magnifica nel prato montano fiorito di crochi fra grandi macchie di neve, silenzio assoluto reso più vero dal fruscio di acqua che corre.

Ancora oggi mi affascina salire sul confine che segna l'agonia dell'inverno e la nascita della primavera, un tempo appartenevo a lei oggi mi sento neve che sa di divenire acqua; è una sensazione dolcissima: sto seduto sul sasso di sempre ad ascoltare l'acqua di neve che va verso il mare, è il canto del mondo ed io vado con lui.

 

Un tempo accendevo la sigaretta e seguivo il suo fumo azzurro nella sua danza col vento, le ragazze della Moia dicevano che un uomo che non bestemmia e non fuma non è certo un uomo: io volevo essere uomo.

Moia è luogo zuppo di acqua e di mille e mille primule gialle, lì era una "balera" frequentata alla sera del sabato da contadini, operai, studenti e ragazze bellissime con le trecce raccolte sul capo, era la moda di quel paese che non vedeva il sole per tre mesi in un anno.

Era il contatto fra due mondi che non si conoscevano, chi aveva le trecce raccolte sul capo parlava di telai e di spole di filo del cotonificio, di orti, di campi e di stalle, ascoltavo affascinato i racconti di chi già conosceva la fatica del vivere, loro seguivano lo strano linguaggio di chi sentiva nei fiori la storia astratta del mondo.

Erano serate piene zeppe di conoscenza, il mio modo d'essere deve a questa scuola una riconoscenza infinita: il mio socialismo è nato lì e vive tutt'ora in questo mondo scardinato alla base da chi mai ha conosciuto il fascino e la sua proposta di vita nel discorrere di due adolescenti che ballano nella "balera paesana" in un luogo zuppo di acqua e fiorito di giallo.

 

Giuseppe Galimberti


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