Noi scrittori siamo sempre stati braccati dai regimi totalitari. In genere, ci troviamo tra due fuochi perché, nello scenario di questi regimi, politici e intellettuali temono le idee allo stesso modo.
I politici e gli intellettuali, nel migliore dei casi, stabiliscono una tregua; il timore però non si placa mai, e ognuno di loro, felini quali sono, resta in agguato. L’esperienza degli scrittori cubani non è differente: sottoposti ad attacchi costanti, le loro conversazioni a mo’ di interrogatorio, senza smettere di sfruttare e marcare il territorio, rendere noti avvertimenti, minacce e ricatti.
Quando lo scrittore Daniel Morales fu arrestato, venne prelevato dalla propria casa, davanti alla moglie e il figlio, di appeni venti e passa anni. Un’ostentazione operativa per spaventarli e farli desistere dalle riunioni che si svolgevano in casa loro tra gli intellettuali della città. Non posso dimenticare la madre del maggiore dei suoi figli che urlava: “Comportati da uomo”, e nemmeno il rancore che andò a insediarsi in Daniel. Non fu mai più lo stesso, e l’idea di abbandonare il paese iniziò a germogliare in lui con più forza.
La stragrande maggioranza di noi scrittori ha ricevuto, grazie al totalitarismo dei fratelli Castro, estorsioni, pestaggi, celle, carcere, censura, elargizioni, e a volte l’espulsione dal paese, l’esilio, e a riprova ho i loro nomi, giusto per citarne alcuni della mia generazione, che per di più furono per me come dei fratelli: Guillermo Vidal, espulso dal sistema universitario dove esercitava la professione di insegnante per la visione sociale critica dei suoi libri, censurato, perseguitato; Jorge Luis Arzola, picchiato, portato in cella, assediato, interrogato, censurato; Antonio José Ponte, perseguitato, censurato, espulso dall’Unione degli Scrittori e Artisti di Cuba (UNEAC), vilipeso pubblicamente dal Ministro della Cultura davanti ai suoi colleghi; tutti quanti ora creano le loro opere e le loro vite fuori da Cuba, e più di recente, Rafael Vilches, espulso da due centri di lavoro, censurato, costantemente assediato.
Sono solo alcuni nomi, perché altri hanno messo le loro barbe al riparo prima che bruciassero come quelle dei loro vicini. La nostra realtà è triste, ma un giorno sarà ancora più triste per quelli che hanno collaborato con la dittatura, che hanno preferito nascondere la loro opinione e il loro pensiero pur di ricevere i favori del potere, specie quelli che a volte sono stati vilipesi, per lunghi anni duramente castigati dal regime e che ora si prestano a fare lo stesso alle generazioni successive. Questi colleghi agiscono come se quel momento, quello del tribunale delle loro coscienze, non dovesse arrivare mai; e almeno io, e di questo sì che ho timore, come se la storia dovesse accogliermi come un pusillanime.
Prisión Unidad de Guardafronteras. La Habana. Febrero de 2015.
Ángel Santiesteban-Prats
(da Los hijos que nadie quiso, 20 febbraio 2015)
Traduzione di Silvia Bertoli