Uno sguardo e fu subito intesa. Avevano due cose in comune: la vecchiaia e la solitudine.
Lei era un’anziana signora che abitava in una delle vecchie case che circondano la piazzetta del borgo. Lui era un cane nero di grossa taglia arrivato chissà da dove.
– Resta – disse Lucia (nome di fantasia) – quando lo vide bere alla fontana della piazzetta.
– Resto – sembrava rispondere il cane strofinando il muso sulla sua mano.
– Cosa ti hanno fatto povera creatura? – Doveva aver fatto un gran vagare. Il suo aspetto parlava per lui. Il lungo pelo nero era opaco, impolverato e cosparso di ferite, le zampe gonfie e sanguinanti, gli occhi arrossati e lo sguardo diffidente.
Si avventò su un’abbondante zuppa di pane e acqua che Lucia gli preparò all’istante e si addormentò esausto davanti all’ingresso. Finalmente aveva trovato una casa e una persona di cui si poteva fidare.
Lucia era povera, come lo erano molte persone a quei tempi. Nutriva il cane con patate lesse, minestra e pane intriso nell’acqua. Quel cibo a lui sembrava però nettare degli dei, tanta era la fame che aveva patito.
Ma il destino beffardo era in agguato.
Il cane era libero in quanto all’epoca non c’era la psicosi che i cani dovevano stare legati alla catena, così come, purtroppo, non esisteva la legge a tutela del randagismo.
Il cane nero faceva la spola tra la fontana e la casa di Lucia (dieci metri in tutto). Non osava allontanarsi perché aveva timore di rivivere l’amara esperienza del passato lasciato da poco alle spalle...
In una delle case vicine abitava Barbara (nome di fantasia) che aveva una vera e propria fobia per gli animali.
– Quel cane mi guarda torvo.
– È una tua impressione.
– Ha la rabbia. Non vedi che ha la bava alla bocca?
– È solamente un cane senza denti.
– L’altra sera ha ringhiato quando sono passata.
– Quando passo io non ringhia mai.
Il cane era indubbiamente sulle difensive perché captando l’ostilità di Barbara ha avuto paura di essere nuovamente picchiato a sangue.
Un giorno, mentre mi trovavo con un gruppo di amici, Barbara si avvicinò con aria di trionfo:
– Oggi il cane di Lucia… pam!… – disse facendo con le dita il gesto di chi spara.
– Cosa intendi dire? – chiesi in preda a un oscuro presagio.
– Oggi la guardia municipale Rossi (nome di fantasia) andrà al borgo per uccidere il cane.
– Sei contenta? – riuscii a malapena a dire con il pianto in gola.
– Sono felice – rispose Barbara sfoderando un sorriso a 64 denti.
Quell’aria di trionfo scatenò il mio peggiore istinto primordiale. Mi uscirono dalla bocca due insulti che mai in vita mia avrei pensato di pronunciare: – Carogna… Vacca…
Gli amici con cui stavo parlando mi guardarono allibiti come se improvvisamente si fossero trovati davanti a un mostro. La cosa non mi scalfì. In quel momento l’unico mio pensiero era quello di salvare il cane. Mi precipitai a cercare la guardia municipale Rossi che aveva avuto il macabro incarico. Ma... troppo tardi.
Mi raccontarono di una scena straziante. Lucia cercava di far scudo con il suo corpo al cane nero piangendo disperata e urlando – Nooo! Il mio cane noooo!
L’animale, per non mettere a repentaglio la vita della sua amica si allontanò ponendosi come bersaglio per la fucilazione (Offrendo il petto al nemico, si sarebbe detto di un eroe).
Cadde a terra con un rantolo e indirizzò con dolcezza il suo sguardo agonizzante a quella cara vecchia compagna che gli aveva regalato quei pochi giorni di amore intenso, un amore che andava oltre la vita.
Vanna Mottarelli