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Orientamento: anti­do­to alla disper­sione sco­la­sti­ca e pro­mo­to­re dell’inserimento lavorativo 
di Marco Schiavetta
03 Febbraio 2015
   

Il “Rapporto Italia 2015” dell’Eurispe, dichiara che le cifre dell’abbandono scolastico nel nostro Paese sono “ancora” in crescita: la media nazionale è del 17%, contro quella europea dell’11,9%.1 In Italia i numeri di alunni che lasciano la scuola prima dei 16 anni sono “allarmanti”, la quantità di giovani che lascia prematuramente i banchi di scuola allontana sempre di più l’obiettivo indicato da Bruxelles, ovvero, il raggiungimento del 10% massimo entro il 2020 per i Paesi EU (in Italia è stato ridelineato al 15%); impossibile da centrare, almeno nel breve periodo. Per comprendere la gravità di questa situazione stagnante, occorre ricordare che tra i Paesi che hanno meno alunni “dispersi” figurano la Croazia (3,7%), la Slovenia (3,9%) e la Repubblica Ceca (5,4%): tutte realtà, sulla “carta” meno floride dell’Italia, dove evidentemente il sistema scolastico e organizzativo è organizzato in modo tale da motivare adeguatamente il corpo studentesco. Ricordiamoci che un giovane che lascia la scuola presto quasi sempre diventa un Neet (acronimo inglese di: Not (engaged) in Education, Employment or Training).2

Con la Legge 133/08, che ha attuato (anche) la riduzione di un sesto del tempo scuola, cancellando centinaia di ore di offerta formativa l’anno, abbiamo posizionato la nostra quantità formativa tra le più basse dell’area Ocse.3 Un segnale in controtendenza sembra arrivare con lo stanziamento di nuovi finanziamenti alle attività di alternanza scuola lavoro: un settore che negli ultimi anni, sconfessando i tanti annunci di rilancio, si è progressivamente sempre più “sgonfiato”, con i fondi per gli stage aziendali ormai ridotti del 97% rispetto a quelli inviati dal Miur-Mef appena 15 anni fa.4 Se si vuole pensare di ridurre l’altissima percentuale di alunni che lasciano la scuola prima del tempo, quelli che non arrivano alla maturità, bisogna invece puntare forte sui tirocini aziendali, soprattutto negli istituti tecnici e professionali, dove gli abbandoni dei banchi hanno raggiunto livelli record. Inoltre, se si considerano coloro che non lasciano a tutti gli effetti la scuola, ma nemmeno poi raggiungono la maturità, poiché convogliati nei Cfp (Centri di formazione professionale), il computo nazionale del 17,6%, già ben oltre la soglia indicata dall’Ue, andrebbe incrementato di altri 10 punti percentuali.

Riassumendo in Italia il 17% di giovani tra i 18 e i 24 anni in Italia, ovvero circa 500 mila persone, abbandona la scuola prima di finire la maturità, inoltre, nel nostro Paese arrivano al titolo massimo di studio appena il 22,4% dei cittadini della fascia di età tra i 30 e i 34 anni, contro una media dell'Unione del 36,5%: gli uomini fermi addirittura al 17,7% (l’obiettivo fissato da Bruxelles, il 40%, rimane lontanissimo). Il problema non è poi limitato alla fascia di età 30-34 anni; ma va esteso a tutti gli italiani adulti: se si considerano tutti i cittadini che rientrano tra i 25 e i 64 anni, solo il 15% ha un livello di istruzione universitario. Meno della metà della media Ocse, dove i laureati in questo spazio anagrafico sono il 32%.5

Questi numeri rappresentano, purtroppo, una costante da diversi anni: già nel 2012/13 gli iscritti ad un corso universitario sono stati 1.709.407, il 2,4% in meno rispetto all’anno precedente. Nello stesso periodo, in 297.0000 si sono laureati, 1.400 in meno (-0,5%) rispetto all’anno precedente. Si tratta di numeri deludenti, che non possiamo permetterci: basterebbe ricordare che l’Italia vanta un numero di 30-34enni che ha conseguito un titolo di studio universitario (o equivalente) davvero basso: circa il 20%, a dispetto dell’obiettivo del 40% fissato dalla strategia “Europa 2020”.

Questa è la fotografia scatta dal “Rapporto Italia 2015” dell’Eurispes al nostro sistema di istruzione, i numeri sono lapidari e molte le colpe a cui attribuire questi risultati: l’Italia investe sempre meno nella scuola, ma anche nell’insegnamento accademico. Il nostro Paese si contraddistingue perché è l’unico dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente, contro un aumento in media del 62% degli altri; all’Università si registra una perenne situazione di stand by, con sempre meno iscritti, troppi studenti fuori corso.

La mancanza di risorse economiche sono sicuramente un aspetto di peso, però in una visione propositiva e costruttiva possiamo iniziare a riflettere su cosa è ancora migliorabile partendo dalle reali possibilità oggi presenti nel sistema istruzione. Il 19 febbraio 2014 il Miur ha pubblicato le “Linee guida per l’orientamento permanente”, sottolineando che: nelle politiche europee e nazionali per la realizzazione degli obiettivi e delle strategie di “Lisbona 2010” e di “Europa 2020”, l’orientamento lungo tutto il corso della vita è riconosciuto come diritto permanente di ogni persona, che si esercita in forme e modalità diverse e specifiche a seconda dei bisogni, dei contesti e delle situazioni.

In funzione di un orientamento permanente deve essere proposta una moderna formazione professionale che, in accordo con gli obiettivi della “Comunicazione di Bruges” (7 dicembre 2010) garantisca: il massimo accesso all’apprendimento permanente; maggiore mobilità dei giovani; maggiore qualità dei corsi che aprano all’acquisizione di competenze specifiche (tecnico-pratico); maggiore inclusione e accesso per le persone svantaggiate; mentalità creativa, innovativa e imprenditoriale. L’orientamento assume una caratura che va oltre al ruolo di strumento per gestire la transazione tra scuola, formazione e lavoro, diventa un valore permanente nella vita di ogni persona, garantendone lo sviluppo ed il sostegno nei processi di scelta e di decisione (decision making) con l’obiettivo di promuovere: l’occupazione attiva, la crescita economica e l’inclusione sociale.

In questa direzione gli articoli 8 e 8-bis (della legge n. 128 del 8/11/2013), sollecitano il rafforzamento e l’implementazione delle attività di orientamento nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, con la finalità di sostenere gli studenti nell’elaborazione di progetti formativi in linea con le proprie capacità ed aspettative, coinvolgendo in questo il tessuto socio-economico del territorio; viene allargata e rafforzata l’azione di alternanza Scuola-Lavoro per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado (professionali, tecnici e licei) e l’alternanza Università-Istituti Tecnici/Licei-Lavoro.

La necessità di promuovere ogni intervento necessario, ad attuare un’azione di inversione nella crescita del fenomeno della dispersione scolastica e nella difficoltà d’inserimento lavorativo, comporta da un lato un impegno per il miglioramento del sistema d’istruzione-formazione e dall’altro lato un esame di riflessione e ridefinizione sui servizi di orientamento (in ogni territorio) per garantire, in una logica di sussidiarietà, il successo personale e professionale di ogni individuo. Le “Linee guida del sistema nazionale sull’orientamento permanente” ed il Piano “Garanzia per i Giovani”, mettono al centro il sistema scolastico nella sua interezza, che viene riconosciuto essere il luogo insostituibile nel quale ogni giovane deve poter acquisire e potenziare le competenze base e trasversali per l’orientamento, necessarie a sviluppare la propria identità, autonomia, decisione e progettualità.

L’orientamento, in una prospettiva di auto-orientamento, deve aiutare le persone a sviluppare la propria identità, a prendere decisioni sulla propria vita personale e professionale, a facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di formazione e, successivamente, tra domanda e offerta di lavoro. Questo, oggi, è economicamente sostenibile partendo dalle reali possibilità presenti nel sistema istruzione, seguendo le indicazioni già recepite, ovvero, usando l’orientamento come: “un insieme di attività che mette in grado i cittadini di ogni età, in qualsiasi momento della loro vita di identificare le proprie capacità, competenze, interessi; prendere decisioni consapevoli in materia di istruzione, formazione, occupazione: gestire i propri percorsi di vita nelle situazioni di apprendimento, di lavoro e in qualunque altro contesto in cui tali capacità e competenze vengono acquisite e/o sviluppate”.6

 

Marco Schiavetta

 

 

1 Solo in Spagna, Portogallo, Malta e Romania la quantità di giovani che lascia prima i banchi di scuola è maggiore della nostra. Tra i Paesi che hanno meno alunni “dispersi” figurano, quasi incredibilmente, la Croazia (3,7%), la Slovenia (3,9%) e la Repubblica Ceca (5,4%).

2 Secondo le stime, non verificabili, in Italia i Neet sono già 700mila tra i 15 ed i 25 anni.

3 L’Italia detiene il triste primato negativo di 4.455 ore studio complessive nell’istruzione primaria, rispetto alla media di 4.717 dell’area Ocse: non solo, alle ex elementari è subentrato anche il maestro “prevalente” che svolge 22 ore, con il resto dell’orario assegnato anche ad altri 4-5 colleghi; non molto diversamente è andata per la scuola superiore di primo grado, dove oggi i nostri ragazzi passano sui banchi 2.970 ore l’anno, contro le 3.034 dei Paesi Ocse.

4 Dai 345 milioni di euro l’anno stanziati nel 1999 per gli stage aziendali, si è passati agli 11 milioni di euro dell’anno scolastico in corso. Procedendo nel verso opposto di altri Paesi, come la Germania, dove anche in tempo di recessione si è continuato ad investire per le attività di formazione in azienda.

5 E il futuro non promette nulla di buona, perché nel frattempo, la percentuale di studenti quindicenni che spera di conseguire la laurea è scesa dal 51,1% del 2003 al 40,9% del 2009.

6 Risoluzione del Consiglio d’Europa del 21/11/2008: “Integrare maggiormente l’orientamento permanente nelle strategie di apprendimento permanente”.


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