Selma Lagerlöf
L’imperatore di Portugallia
Iperborea, 2014, pp. 288, € 14,50
Premio Nobel per la Letteratura nel 1909, Selma Lagerlöf (1858-1940) è forse la scrittrice svedese più nota al mondo le cui opere “sono state tradotte, filmate e illustrate ovunque”. L’imperatore di Portugallia – edito la prima volta a Stoccolma nel 1914 – conquista fin dal suo incipit, per l’atmosfera di attesa che sa creare: «Per quanto vecchio diventasse, Jan Andersson di Skrolycka non poté mai stancarsi di raccontare di quel giorno in cui la sua bimbetta era venuta al mondo». Se si ritorna sull’incipit terminata la lettura, si capisce che esso contiene la sintesi di tutto il romanzo: perché Jan era un uomo che non pensava affatto alla nascita di un figlio, il suo matrimonio – lui garzone e lei serva a casa di Erik di Falla – era dovuto al fatto che volevano dormire sotto un loro tetto, in una casetta costruita con legname di scarto che gli aveva regalato il padrone, non certo per avere bambini. E al momento del parto gli prende la disperazione perché sa che la moglie Kattrina non potrà più lavorare insieme a lui, dovendo occuparsi della bambina, e verranno tempi duri.
Era talmente arrabbiato che pensava che non avrebbe di certo degnato di uno sguardo il nuovo nato. Poi la levatrice gli mette in braccio un fagottino da cui spunta il visetto rugoso di una bambina, e Jan è attraversato da un terremoto: è il suo cuore che batte forte, lo sente martellare come mai. Capisce che è il miracolo della sua vita, perché mai aveva voluto così bene ad un essere umano da sentire il cuore battere forte in petto, e solo allora diventa uomo vero, «perché chi non sente battere il cuore nel dolore o nella gioia non può di certo essere considerato un vero essere umano».
La bambina si chiamerà Klara Fina Gulleborg, equivalente di chiara, bella, dorata, e darà un nuovo corso alla vita di Jan, indivisibili padre e figlia tanto da oscurare la figura della madre, lei orgoglio di Jan, bella ed intelligente. Ma nubi nere si addensano sulla casetta scricchiolante, nuovi padroni mettono in ginocchio la famiglia costretta a sborsare soldi che non ha. La figlia ormai adolescente decide di guadagnare quei soldi andando a lavorare lontano da casa. Passano i mesi, i soldi arrivano ma le sue lettere cominciano a scarseggiare, poi scompaiono e lei non torna. Intanto arrivano notizie dolorose nella sperduta valle delle Askedalar, sul modo in cui Klara avrebbe guadagnato quel denaro, e ammiccamenti maliziosi alla spalle del padre.
Come hanno fatto altri grandi della Letteratura, la Lagerlöf sceglie per Jan la via della pazzia, uno stato di pazzia cosciente, che gli serve da autodifesa ma soprattutto per tutelare il nome della figlia. Lei ritarda il ritorno, racconta a tutti Jan, perché è diventata imperatrice, tornerà trionfale. E lui è il padre dell’imperatrice di Portugallia. Da povero imperatore straccione si aggirerà per le strade del villaggio, contatterà i potenti senza averne più timore, attenderà per giorni senza fine sul molo l’arrivo di un traghetto che gli riporti la figliola. Una condizione di vita fuori del comune: «Jan non è matto» dice sua moglie Kattrina. «Il Signore gli ha posto uno schermo davanti agli occhi, perché non veda quello che non sopporterebbe di vedere».
Se è diventato lo zimbello dei monelli, gli adulti tuttavia lo temono, perché Jan è uomo di straordinaria bontà, capacità di accettazione e di intermediazione, ma soprattutto gli è stato fatto dono di prevedere gli eventi. Nessuna forma di egoismo sarà mai dietro ogni sua mossa, anche la più tragica, ma solo il desiderio che lei, Klara, non faccia scelte sbagliate che la possano far soffrire.
Magico il mondo innevato in cui si muovono personaggi che sembrano usciti dalle saghe nordiche, tenaci e profondi i sentimenti ed i principi etici, lento il ritmo della narrazione che ricorda quella delle fiabe, forte l’amore che prevale su tutto, che è la base su cui si reggono i rapporti umani e le famiglie.
Marisa Cecchetti