Tresivio (So), nel corso della Guerra di Liberazione è stato in Valtellina uno dei cardini portanti del contrasto alla virulenza nazifascista; tra l’altro, dalla primavera all’autunno dell’anno 1944 ha ospitato tre famiglie ebraiche. Una di esse purtroppo è stata intercettata e deportata, le altre due sono riuscite a salvarsi. Tra queste due c’era l’uomo che aveva fatto amicizia con un ragazzino di cui raccontiamo la storia, per l’importante giornata del ricordo.
Il mio amico ebreo dal sigaro toscano
Nell’anno 1944 ho nove anni, abito con i miei genitori nell’antico borgo di Tresivio, dove mia madre gestisce un negozio di sale e tabacchi.
Il borgo sorge al centro della Valtellina a mezza costa sulla sponda destra del fiume Adda. Un massiccio sperone roccioso sulla destra del fiume si eleva per 250 m. e sul lato Nord genera una depressione, dove si adagia il centro abitato. Questo massiccio toglie dalla vista il borgo di Tresivio alle persone che percorrono la strada per lo Stelvio e ne consegue che il centro abitato è racchiuso in un catino naturale.
Sul lato dello sperone esposto a mezzogiorno risplende rigoglioso il vigneto, in parte a terrazzamenti e il rimanente come maestoso anfiteatro che fornisce l’ottima uva per la produzione del famoso, forte e fumoso vino “Inferno”.
Tresivio è un borgo tipicamente agricolo ma già nella prima metà del secolo XX, rispetto ai suoi omologhi della valle, è vivace e direi, dato il periodo, economicamente sufficiente, per il semplice motivo che sull’Alpe del Borgo, la Provincia e il Comune di Milano hanno costruito un ospedale sanatoriale per la cura della malattia di petto che era, soprattutto per i bambini della bassa, assieme con la guerra, il flagello dell’epoca.
L’anno 1944 è il tempo in cui la Guerra di Liberazione Nazionale raggiunge il picco massimo, io sono un bambino. I nazifascisti sono… disperati, sparano ovunque e su ogni bersaglio mobile, sia esso animale oppure uomo. Si sentono persi, hanno paura. Arrestano uomini e donne, spesso usano la tortura per un’informazione magari anche inutile o di poco conto. Il borgo di Tresivio è sotto il controllo dei patrioti (in quel tempo i partigiani si chiamavano così). I nazifascisti minacciano ma hanno anche qualche timore ad apparire.
Un pomeriggio della prima settimana del mese d'ottobre, sono solo davanti al negozio di mia madre che mi trastullo con le cicche (biglie). Poco lontano da me vedo apparire un uomo, non tanto alto, piuttosto grassoccio, indossa un cappotto chiaro (impermeabile) che non ho mai visto indosso ai contadini e porta un copricapo nero con la falda ampia. Guardo quell’uomo con curiosità perché, solitamente vedo soldati in uniforme, contadini e Patrioti malvestiti.
L’uomo entra nel negozio, si ferma per circa dieci minuti a conversare con la tabaccaia mia madre, esce con un sigaro in mano. Si ferma davanti a me. Mi guarda e sorride. Io lo guardo e sorrido. Comincia a parlare e mi chiede le solite cose che i grandi chiedono ai bambini. Rispondo a tutte le sue domande, poi, soddisfatto mi saluta, accende il sigaro, se ne va a passi lenti lasciando dietro di se l’acre e forte odore del sigaro toscano.
Questa scenetta si ripete a giorni alterni della settimana e francamente io non vedo l’ora di incontrarmi con l’uomo del sigaro toscano, come l’ho chiamato. Al terzo incontro con il mio anziano amico, mia madre mi mette in piedi davanti a lei e mi dice:
– Guardami bene negli occhi e apri le orecchie: Nel modo più assoluto devi dire ai tuoi amici di scuola e ancòra meno alla maestra che conosci quell’uomo. Ho detto a nessuno! ci siamo capiti? Per adesso promettimi quello che ti ho chiesto, quando sarai più grande ti dirò il motivo.
Naturalmente ho mantenuto la promessa fatta a mia madre.
Gli incontri sono proseguiti fino all’ultima settimana di ottobre, poi, da quei giorni, non vedo più il mio amico del sigaro toscano. Non mi sono chiesto il motivo, anche perché come tutti i bambini sono assorto nei giochi, poco interessato per la scuola, soprattutto attratto dal continuo cambiamento degli eventi, tra giornate fredde, mitragliamenti aerei, scoppi di mine e qualche funerale di un giovane patriota o un giovane fascista.
Nella terza settimana del mese di novembre, Tresivio, subisce un massiccio attacco nazifascista. Sull’alpeggio di Boirolo è lotta aspra. Crepitio di mitragliatrice, colpi isolati di moschetto, scoppio di bombe a mano e fumo che sale al cielo sprigionato dalle baite che ardono per il fuoco alimentato dal fieno secco. L’odore del fieno che brucia copre il profumo dei Caduti sul campo che alla fine della giornata se ne contano otto complessivamente e qualche ferito, sia da una parte sia dall’altra. A questo fatto cruento ne seguono altri non meno dolorosi e alla fine delle operazioni militari, tra il 26 e il 30 aprile, l’antico nobile borgo conta ben quindici figli Caduti.
Mia madre non dimentica di dirmi chi è quel simpatico personaggio del sigaro toscano con cui in poche ore ci siamo fatti amici. È un ebreo, un ebreo che sfugge alla persecuzione nazifascista e s’è trovato con la sua famiglia in questo borgo mandato dall’organizzazione di protezione.
Per i ragazzi dell’epoca sono anni di maturazione e dopo i crudi eventi si affacciano alla nuova vita. Si cresce, si studia, si lavora, si entra nelle dimensioni di vita molto più dolce, anche con qualche illusione, si sogna poco perché il tempo del recente passato non ha permesso lo sviluppo di questo sentimento giovanile e presto si entra nella… mischia del nuovo clima sociale.
Personalmente gironzolo un po’ per i mari e un po’ per le grandi città nazionali.
Non ho mai saputo la sorte del mio amico ebreo, se sia stato catturato oppure sfuggito alla persecuzione.
Quello che sono certo invece è che fin dal tempo della nostra conoscenza è sempre rimasto nello scrigno dei miei ricordi. Un ricordo di serenità nell’amicizia tra un bambino e un uomo adulto, tra un uomo che vive un momento di sofferenza e un bambino ingenuo, che non può rendersi conto chi ha davanti.
Caro amico ebreo dal sigaro toscano, in ogni occasione che ti faccio uscire dallo scrigno, ti vedo in Paradiso seduto a fumarti il sigaro preferito ed io ti assicuro che il ricordo del tuo sguardo l’ho sempre portato con me e lo porterò fino alla fine dei mie giorni, e chissà… se al caldo della vita eterna non ci s’incontri ancòra. “Mai dire mai”.
Giorgio Gianoncelli