Subito dopo l’ignobile strage compiuta nella redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo, il Movimento Nonviolento ha emesso un incisivo comunicato dal titolo “Matite temperate e fucili spezzati” in cui, oltre a condannare l’accaduto, si ribadiva la necessità di uscire fuori dal gorgo vizioso rappresentato dalla convinzione che la violenza possa rappresentare la soluzione dei problemi umani.
Tra le altre cose, in detto comunicato, è possibile leggere: «E dunque oggi più che mai è tempo di opporsi all’oscurantismo con la satira, al fondamentalismo con la dissacrazione, ai proiettili con i libri, alle bombe con l’informazione, all’orrore con la bellezza, all’ignoranza con la cultura, alla bestialità con l’umanità, al clericalismo con l’ironia, e i protagonisti principali di questa opposizione nonviolenta sono i giornalisti, gli insegnanti, gli studenti, gli scrittori, i registi, i musicisti e gli artisti, donne e uomini.
Ora è il momento del lutto, perché ancora una volta sono state uccise delle persone utilizzate come simboli. Da domani sarà il momento dell’intelligenza e dell’apertura per non cadere nella trappola della violenza e per costruire una civiltà della convivenza».
Proseguiamo, quindi, le nostre conversazioni di riflessione critica intorno alle recenti dolorose vicende parigine, rivolgendoci a Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento e direttore della rivista Azione nonviolenta.
– Perché “Matite temperate e fucili spezzati”? Le matite potranno mai spezzare i fucili?
Per vincere militarmente e fisicamente contro un fucile, ci vuole un'arma più potente, un Kalashnikov... e poi per vincere su un Kalashnikov ci vorrà un bazooka, e così via... fino alla bomba atomica e oltre, cioè all'annientamento del genere umano.
Occhio per occhio rende il mondo cieco, diceva giustamente Gandhi.
Le matite, invece, vincono sui fucili perché vanno ad incidere sulle ragioni, sul pensiero di chi quei fucili tiene in mano.
È per questo che i terroristi hanno avuto paura più delle vignette che delle armi.
– Ma, allora, non è vero che “Siamo in guerra ma deboli e disarmati” (titolo dell'articolo di Gianpaolo Pansa, Libero, 11/01/2015)?
No, non è vero. Intanto, per essere in guerra ci vuole un nemico ben identificato, e il terrorismo non lo è. Non sappiamo bene chi siano, da dove vengano, chi li finanzi. Con chi saremmo in guerra? Con tutto l'Islam, un miliardo e più di persone?
Sappiamo, però, che l'idea di esportare la guerra per “esportare la democrazia” e vincere il terrorismo in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, ecc. non ha funzionato. Non abbiamo esportato la democrazia e, al contrario, ci siamo importati il terrorismo in casa.
Il confronto con il terrorismo lo si vince con più libertà, più diritti, più democrazia, più istruzione, più integrazione. E, per non stare sulle nuvole, io dico anche con più intelligence e più controllo territoriale, che significa maggiore finanziamenti alle forze di polizia (che è cosa ben diversa dall'aumentare le spese militari e gli armamenti); e i fondi per la sicurezza nelle nostre città li dobbiamo trovare togliendoli alle spese militari.
– Condividi, quindi, quanto afferma Vauro, dicendo che «guerra e terrorismo sono sinonimi» e che «nessuno dei due giustifica l'altro» (Intervista di Salvatore Cannavò, Il Fatto Quotidiano, 11/01/2015)?
Sì. La guerra è terrorismo su larga scala (basti pensare ai bombardamenti su villaggi e città, con il carico di morti civili che si portano dietro), e il terrorismo è una guerra dichiarata all'umanità (ogni attentato è potenzialmente fatto contro qualsiasi uomo o donna del mondo, presi a caso).
La spirale guerra-terrorismo-guerra-terrorismo la si spezza solo cambiando prospettiva e logica.
– Purtroppo, però, sembra che a riuscire a vedere nella nonviolenza l'unica risposta valida alla spirale guerra-terrorismo-terrorismo-guerra siamo rimasti davvero in pochi...
No, non sono d'accordo. I milioni di persone che sono scesi in piazza a Parigi e in tantissime altre città d'Europa, cercano una soluzione al terrorismo diversa dalla guerra. Invocavano libertà, fraternità, uguaglianza, che sono nomi della nonviolenza!
Roberto Fantini
(da Free Lance Internationa Press, 20 gennaio 2015)