Ha tredici anni e con il libro di storia, aperto sul capitolo dedicato all’illuminismo mio figlio mi guarda e dice:
– Mamma, mi piace molto questa parte della storia, perché non ci sono guerre, si parla di libertà e di grandi idee.
Oltre a tanta Juventus, in quella testolina ci sono davvero bei pensieri. È un piccolo individuo che si sta formando e le sue inclinazioni e attitudini naturali stanno emergendo un passo alla volta, anche grazie agli studi.
– Vorrei parlare sempre di cose belle. Perché un ragazzo come me deve trovarsi a rispondere alle domande sul terrorismo, a spiegare che non c’entra niente con quello che dice la televisione?
Bella domanda, specie se fatta ad una mamma giornalista e ‘quelli della televisione’ sono colleghi che leggono notizie e mostrano servizi, video e immagini, spesso drammatiche, che arrivano ogni giorno dal mondo. Bei tempi quando andavo a scuola io e le uniche domande che mi facevano insegnanti e compagni erano “perché non mangi il panino col prosciutto” e “ti chiami Asmae perché soffri di asma”? Nell’ultimo ventennio le cose sono cambiate, in Italia sono aumentati gli stranieri, anche musulmani, nel mondo il numero delle guerre è cresciuto invece che diminuire e la cronaca è costellata di eventi terribili che vengono raccontati ormai in tempo reale attraverso tutti i dispositivi che, anche i nostri figli, hanno a portata di mano: non più solo giornali, radio e tv, ma anche internet sui tablet e telefonini.
Bei tempi anche quando ai figli si compravano costruzioni e palloni, evitando le armi giocattolo, finché poi non sono arrivati i videogame che, tramite rapidi gesti delle dita fanno ‘giocare alla guerra’ senza nessuna consapevolezza di cosa significhi davvero e degli orrori che produce. Orrori che oggi entrano nelle nostre case e nelle nostre vite senza filtro, spesso senza una vera mediazione. Ampio spazio ovunque agli atti, alle dichiarazioni minatorie e ai video (trasmessi spesso senza alcuna verifica sull’attendibilità) di terroristi e guerrafondai e marginalità o perfino silenzio sulle guerre che stanno sterminando intere popolazioni.
Così, solo nell’ultima settimana, oltre alle vittime dei bombardamenti che mai, negli ultimi quattro anni, sono cessati in Siria, decine di profughi sono morti assiderati nelle tendopoli; uccisi dal freddo soprattutto bambini e anziani. In Nigeria le milizie di Boko Haram avrebbero ucciso in un solo giorno oltre 2mila persone e la lista dei morti dimenticati nel mondo è ancora lunga. Morti innocenti vittime del terrorismo di cui si parla, a volte persino in modo strumentale per propaganda politica e morti innocenti vittime di guerra lasciati all’oblio.
Come si racconta tutto questo a un bambino, ad un adolescente? Perché purtroppo questi discorsi vanno affrontati. Lo si fa trasmettendo alcuni valori fondamentali, primo tra tutti la sacralità della vita umana, con il conseguente ripudio di ogni forma di violenza, del terrorismo e della guerra. Si spiega che il terrorismo è padre e allo stesso tempo figlio della guerra, che chi commette questi atti non ha un Dio in cui credere, né tantomeno una religione a cui si ispira, ma è un assassino senza valori, senza fede, senza una morale. Si ribadisce infinite volte che come esseri umani abbiamo il dono della razionalità e della parola e sono quelli gli strumenti con cui dobbiamo agire e le fonti che devono dettare i nostri comportamenti. Si insegnano ogni giorno principi come la legalità, il rispetto, la democrazia, il pluralismo che regolano i rapporti tra individui e comunità e portano ad un’armonia sociale. Si parla del bene e del male, di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Il miglior messaggio che si può dare è senza dubbio il buon esempio, il comportamento di ogni singolo giorno, che permette di trasformare la teoria delle regole in pratica.
Oggi però accade che molti bambini vedano associata la propria immagine, la propria appartenenza, le proprie origini, a quella galassia di sigle e nomi che commettono crimini ignobili contro l’umanità, trovandosi spesso in una sorta di incubo, a doversi dissociare, discolpare per qualcosa a cui non sono mai stati minimamente vicini. Penso a quei bambini musulmani che di fronte agli sconvolgenti fatti di cronaca che angosciano grandi e piccoli si trovano spesso a dover affrontare un tema, quello del terrorismo, che non dovrebbe mai e poi entrare nella vita di un bimbo. Si trovano a dover rispondere alle domande, alle paure e perplessità di amici e a volte di adulti che chiedono spiegazioni, che hanno bisogno di capire, che vogliono essere rassicurati sul fatto di non avere a che fare con un potenziale pericolo. I bambini non sono mai un pericolo e non dovrebbero subire la gogna per la loro appartenenza etnica, sociale o religiosa, nemmeno quando adulti spregiudicati e senza cuore li trasformano in soldati: in quella situazione sono doppiamente vittime perché è stata rubata loro l’infanzia e si trovano sbarrate le porte del futuro.
Il terrorismo non si spiega agli adulti, perché ci sono troppi misteri e contraddizioni e tantomeno si spiega ai bambini. Si può solo aiutarli a capire che è un male, il peggior male che affligge l’umanità.
Asmae Dachan
(da Diario di Siria, 17 gennaio 2014)